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Civiltà occidentale e mondo Islamico: è sempre possibile?

CULTURA E SPETTACOLO - 08 04 2017 - ROSSI MAURO 59

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/Dietro il velo, Jean Sasson

"Dietro il velo" di Jean Sasson

Si è già parlato in queste pagine della scrittrice Jean Sasson, americana che ha vissuto in Arabia Saudita per oltre 10 anni e profonda conoscitrice del mondo medio-orientale, riferendoci al suo best -seller “Tradita”, in cui si narrano le vicende di una giovane donna Irachena di famiglia benestante negli anni bui del regime Baath di Saddam Hussein.

 

In questo caso parliamo di un'opera precedente (1993), un racconto sconvolgente nel quale si descrivono le condizioni terribili, inverosimili agli occhi di noi occidentali, ma purtroppo tristemente reali ed ancora attuali, nelle quali sono costrette a vivere le donne in Medio Oriente in generale ed in Arabia Saudita in particolare.

 

E' la vera storia di una giovane principessa araba nata nel 1956 e discendente diretta della famiglia regnante dei Saud che, nonostante le ricchezze e gli agi in cui può vivere (e paradossalmente è costretta a vivere), decide, ad un certo punto della sua vita,di denunciare al mondo intero una situazione che non tende minimamente a cambiare con il passare degli anni in quel Paese; una donna che non smetterà mai di lottare.

 

“Sono principessa in una terra dove governano ancora i Re, dovete quindi conoscermi solo come Sultana. Non posso rivelare il mio vero nome per non mettere i pericolo me stessa e la mia famiglia, faccio parte della famiglia reale dei Saud, che attualmente governa l'Arabia Saudita. Data la mia condizione di donna che vive in un Paese governato da uomini, non posso parlare direttamente con voi, quindi ho chiesto aiuto ad un'amica scrittrice. Ero nata libera ed ora sono in catene, non ricordo molto dei miei primi 4 anni di vita, suppongo di aver giocato come tutti i bambini, beatamente inconsapevole che il mio valore, mancandomi l'organo maschile, non aveva alcun senso nella terra in cui ero nata”.

 

Basterebbero queste poche righe iniziali per sconvolgere anche gli animi più insensibili, ma la storia di Sultana, che è poi la storia di tutte le donne arabe, è solo all'inizio. La dinastia dei Saud regna in Arabia Saudita dal 1902, da quando il 25enne capostipite Abdul Aziz, nonno di Sultana, riprese possesso delle terre del Nadj, la patria dei beduini, da cui lui e la sua famiglia erano stati costretti a fuggire e riparare in Kuwait più di 10 anni prima. Nel corso del suo regno questo signore è riuscito a sposare più di 300 donne, che gli hanno “donato” più di 50 figli maschi ed 80 femmine. Ad oggi, la famiglia regnante in Arabia Saudita conta più di 21.000 membri, più di 1000 dei quali sono diretti discendenti del Capostipite, come Sultana.

 

Benché già allora, agli inizi del secolo scorso, la condizione delle donne nella società fosse di pura e semplice sottomissione, con il passare dei decenni e l'arricchimento sfrenato dovuto ai proventi del petrolio, la situazione paradossalmente è andata via via peggiorando, con il maschio sempre più padrone e tiranno e la femmina sempre più ridotta a puro e semplice oggetto decorativo e di piacere. In un mondo tutto sommato ancora arcaico, patriarcale e prettamente maschilista, all'interno del quale i Mutawa, i “guardiani dell'Islam”, poliziotti fanatici religiosi hanno un'enorme potere “di vita o di morte” su tutta la popolazione e possono permettersi di interferire negli affari e nella vita privata persino della famiglia reale, muoversi, istruirsi, esprimere opinioni o anche solo parlare, non è cosa facile per le donne saudite; e sicuramente peggiore è la condizione delle decine di migliaia di ragazze straniere giunte nel Paese per prestare servizio nelle case dei ricchi signori, ma ridotte di fatto in schiavitù e costrette a soddisfare qualsiasi tipo di desiderio dei loro padroni.

 

Racconta Sultana: ”E' sbagliato però incolpare la fede musulmana per la posizione umile della donna nella nostra società; sebbene il Corano affermi effettivamente che le donne sono subalterne agli uomini nella nostra terra, il Profeta ha predicato solo gentilezza e giustizia verso le persone del mio sesso. Lui disprezzava la pratica dell'infanticidio, usanza comune per disfarsi delle figlie non desiderate. Chi ha una figlia femmina e non la seppellisce viva, né la maltratta, né preferisce il maschio a lei, possa Dio condurlo in Paradiso”. Queste le parole di Maometto.

 

Sultana è l'ultima di 11 figli che suo padre ha generato con la “moglie prediletta” tra le 4 sposate, e con le quali alternava le sue giornate e le sue nottate. Disgraziatamente, tra questi 11 figli, con grande delusione e disappunto del padre, vi è un solo maschio, Ali, circondato da 10 “bocche da sfamare” e da mantenere in vita finché non abbiano raggiunto l'età per essere “date in sposa” al miglior contendente,( in genere qualche amico di famiglia o ricco imprenditore), cioè non appena sopraggiunto il ciclo mestruale, momento in cui saranno anche costrette ad indossare il velo e l'abaaja, il lungo mantello nero, per il resto della loro vita.

 

Nel 1968, quando suo zio Faisal diviene Re, detronizzando di fatto il fratello maggiore ritenuto inadatto a regnare, e promettendo grandi modernizzazioni nel Paese ed opposizione allo strapotere dei “Mutawa”, Sultana ha solamente 12 anni, ma possiede già uno spirito ribelle, una notevole intelligenza ed un grande altruismo e già da allora si dimostra intollerante verso le ferree regole vigenti nel Paese.

 

Detesta il padre, ritenuto colpevole di aver rovinato la vita di sua madre e delle sue sorelle già date in sposa, e di essere in procinto di rovinare anche la sua. Detesta anche il fratello Ali, ritenuto dal genitore “l'unico membro della famiglia (oltre a lui naturalmente) ad avere un cervello” e sempre pronto ad approfittare della sua condizione di privilegio nei confronti delle sorelle. Ma soprattutto detesta la totale rassegnazione delle sue amiche e coetanee e delle donne in generale rispetto alla situazione femminile.

 

”Le nostre donne si rassegnano ad una società rigida che non sopporta che possano voler esprimere le loro opinioni. Tutte le donne imparano sin da piccole a manipolare la realtà piuttosto che a confrontarsi con essa”. Saranno molti gli episodi drammatici cui dovrà assistere impotente nel corso degli anni a rafforzare e radicare in lei il suo spirito indomito ed il desiderio di libertà per sé e per tutte le persone del suo stesso sesso.

 

Il tentato suicidio di una sorella appena più grande di lei, data in sposa appena sedicenne ad un uomo tre volte più vecchio, l'uccisione di un'amica, annegata nella piscina di casa dal padre per il solo fatto di aver scherzato con uno straniero nelle vie della città, la lapidazione di una ragazzina appena dopo il parto, colpevole di essere stata violentata da un gruppo di coetanei naturalmente ritenuti innocenti, l'assassinio di Re Faisal, ultima speranza di rinascita culturale e morale del Paese, il desiderio del marito di avere altre mogli, fatti che incutono in lei grande rabbia di fronte all'impotenza, ma anche un forte desiderio di riscatto.

 

“Se ci sono femmine vostre che si rendono colpevoli di scandalo, Cercate tra voi quattro testimoni contro di esse, Se in realtà la loro testimonianza è vera ,Tappatele in casa nei recessi segreti, Fino a che morte non sopravvenga, O che Dio porga loro una via d'uscita”.

 

Un Paese nel quale una ragazza viene rinchiusa in una stanza isolata, senza finestre, al buio e con un buco nel pavimento per i bisogni, solo per essere stata con un uomo di altro credo religioso, sfamata, ma lasciata lì a consumarsi nel corpo e nell'anima, un Paese nel quale fino a pochi anni fa (ma in certe zone a tutt'oggi) veniva ancora praticata l'infibulazione femminile su bambine inermi, un'usanza tanto disumana e crudele quanto assurda e di certo non dettata da alcun versetto del Libro Sacro, spesso messa in opera non da medici, ma da fanatici religiosi vicini alla famiglia o dalla famiglia stessa, con i danni fisici e psicologici immaginabili, un Paese nel quale le donne non hanno il diritto di guidare un'auto ma neppure di entrare in una moschea, un Paese nel quale l'informazione, qualsiasi tipo di informazione, prima di essere diffusa viene “vagliata e filtrata” dal Consiglio degli Ulema, gli studiosi della religione islamica che regolano la vita religiosa ma non solo quella, un Paese nel quale la carta dei diritti umani viene sistematicamente calpestata, un Paese così, per Sultana, non ha speranza.

 

Questa donna ha avuto il coraggio di “rapire” i propri figli ed allontanarli temporaneamente dal loro padre e dal loro Paese, rischiando la decapitazione in piazza, per rivendicare un vita libera per sé e per loro nella propria terra, ma concezioni ed usanze secolari sono dure da sconfiggere. Se nel 1990 con la guerra del Golfo e la presenza anche sul suolo arabo di personale occidentale (soprattutto americano) si era riaccesa la speranza in parecchie donne che le loro condizioni di vita potessero essere rese note al mondo intero, questo sogno svanì molto presto.

 

Né mariti, né padri, né figli sono disposi a sfidare le grandi forze religiose per la causa delle donne, forze religiose che dopo la fine del conflitto nel 1991 hanno addirittura accresciuto il loro potere, arrivando addirittura talvolta a dare ordini alla Casa Reale e ad arrestare ricchi e potenti come sempre fatto con la popolazione normale. “Chissà quando giungerà un'altra opportunità, come la guerra, per apportare radicali cambiamenti sociale per le donne arabe”; questi sono pensieri di una donna che ha la piena consapevolezza delle difficoltà, ma che non mollerà mai.

 

Da molti mesi a questa parte si parla, nel mondo intero, dell'Arabia Saudita in relazione a fatti di cronaca molto gravi, ma quello che colpisce è il silenzio direi quasi assordante da parte dell'occidente sulla problematica femminile in Medio Oriente ed in particolare nel paese Arabo. Dice l'autrice: “gli uomini occidentali al potere non hanno nessun interesse a tenere alto il vessillo della giustizia per chi non ha peso politico; vale a dire le donne. L'eminente storico Saudita Saleh al-Saadoon, in un'intervista del febbraio 2015 riguardo al divieto di guida delle donne arabe, ha dichiarato: “le donne occidentali guidano perché a loro non interessa venire stuprate per strada, ma a noi si. Per loro invece non sarebbe un grande problema.” E ancora: “non è un grande problema per loro (le occidentali), a parte il danno morale. Nel nostro caso, invece, il problema è di natura sociale e religiosa”.

 

Vede, signor Saleh, il problema è che nel suo Paese le donne violentate vengono lapidate in piazza, e c'è pure la possibilità che a tirare le pietre ci vadano anche i loro aguzzini, e qui non c'è niente di sociale né di religioso; qui c'è solo ignoranza e disprezzo, non si possono attribuire le nefandezze dell'Uomo al volere divino. La vostra principessa Sultana l'ha detto 20 anni fa, ma il vostro, purtroppo, è ancora un paese senza speranza.

 

ROSSI MAURO 59

TIRANO


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Dietro il velo, Jean Sasson, Sperling e Kupfer ed., pag 235, €10.50

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