Parlar tanto e parlare di niente
CULTURA E SPETTACOLO - 24 05 2018 - Méngu
Fatemi la carità! Non invitatemi a convegni, a riunioni dove vi sono relatori che parlano di tutto e alla fine dei loro lunghi ed elucubranti discorsi non hanno detto nulla. Come è bello sentire un relatore che sotto lo scroscio di pioggia battente dice: “piove!”. Quello lo si capisce poiché ci sta avvertendo, con un vocabolo diretto e sintetico, che obbiamo aprire l’ombrello per non bagnarci il capo. Ma un altro che dice: “Oibò, il cielo si è improvvisamente coperto di nuvole minacciose, la temperatura si è abbassata ed ora grosse gocce di pioggia cadono copiose sul terreno rendendolo bagnato. Ora rendiamo grazie al Signore se abbiamo il parapioggia perché potremmo aprirlo per non bagnarci il capo pensoso. ..ecc ecc ... “. Ecco che l’ascoltatore, avvolto dal vortice inutile di vocaboli, rimane stordito e con l’ombrello chiuso sotto la pioggia. Forse era più conciso il Duce quando in una sua adunata oceanica disse al popolino che chiedeva più modernità nelle case: “Gente, volete l’acqua in casa? Bene! Scoperchiate i tetti!”. Potenza della sintesi e della programmazione del Duce. Ho conosciuto, ahinoi, un relatore che per dire una cosa semplice avvolgeva le parole come fossero trote al cartoccio. La cosa semplice diventava così un pacco ben cotto di parole inutili che rimbombavano in sala in un valzer sconclusionato e che rendeva ubriachi gli auditori. Ricordo che l’amico Roberto, seduto accanto a me, dopo aver recitato tre rosari dei misteri dolorosi, nell’attesa che il campione di logorrea terminasse, si era accasciato sulla sedia come uomo morto. Lo rinvenni alitando nel suo orecchio sinistro: “Risorgi, ha finito!“, mentre tutti, come automi, battevano mani e piedi per togliersi di dosso i crampi e per svegliarsi reciprocamente. Quel relatore gongolava d’orgoglio ai battimani e ai batti piedi per il suo discorso e non sapeva che aveva afflitto una tremenda tortura agli uditori. “Amo molto parlare di niente. E’ l’unico argomento di cui so tutto“. Questa battuta di Oscar Wilde (Dublino, 1854-1900, poeta e scrittore ) andava a pennello per quella persona. Quello non diceva nulla ma lo proferiva al pubblico con grande autorità che rasentava la boria. Questa in fondo è l’arte di molti nostri politici. Che ne dite di certi nostri giovani quando, come galline affamate che beccano il grano, si affannano sul telefonino scambiandosi infiniti messaggini per dirsi poco o nulla? O quando, tra il loro concitato confabulare via etere, per richiamarli e per renderli presenti ad una spanna distante da noi occorre dire la parolina magica “Pronto? Mi senti?“. Solo a queste due paroline rinvengono dal loro stato soporoso elettronico e rispondono all’interrogativo del presente con un “cosa” da zombi . Purtroppo, ai nostri tempi, oltre a mettere un morso di cavallo sulle nostre fauci occorrerebbe anche togliere il segnale o non aver “campo“ per i telefonini. Solo così si potrà togliere un poco di vaniloquio che ci affligge sia nei programmi televisivi, sia in molti di noi del parlar tanto per non dire niente. Méngu
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