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6^ parte - Le calamità del 1987 in Valtellina

CULTURA E SPETTACOLO - 07 04 2017 - Ezio Maifrè

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Questo scritto di Ezio Maifrè, diviso in diverse puntate, è dedicato alle 53 vittime delle calamità che si abbatterono nell’estate dell’87 in Valtellina e ai giovani, perché non dimentichino il “male antico” della valle.

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Parte 1Parte 2Parte 3Parte 4, Parte 5

 

Parte 6

Condomino “ La Quiete “, albergo “ Gran Baita “.

 

Erano nomi deliziosi e perfetti per indicare la natura di quella splendida valle che ora suonavano nella mente sinistri e pieni di sventura. Chi vi alloggiava lassù altro non poteva trovare che la pace del luogo, la serenità del vivere contadino, del vivere lento nel tempo, ma pieno di emozioni, di sensazioni. Lassù si trovava la quiete tanto sognata dalla gente di città. E in quella pace, chi sostava aveva poi trovato uno splendido luogo in cui riposare. Un albergo ? Un condominio ? No! No! Una grande casa, una casa famigliare calda e serena, piena di affetti sinceri e schietti come si usa tra i montanari. Ora lassù era successo il finimondo !

 

Ma non bastava ancora! La pioggia continuava e cadere senza dare tregua con momenti da diluvio universale, le nuvole pregne d’acqua continuavano a portare il loro carico senza sosta, come fossero spinte da una mano vendicativa, assassina.

 

L’Adda si era ripresa i suoi antichi spazi, aveva ingoiato con rabbia ciò che le apparteneva da secoli. Lentamente, ma inesorabilmente aveva riempito con le sue acque fangose gran parte del fondovalle di Ardenno, di Morbegno e poi ancora non quietata si era riversata nel lago di Como, limacciosa, innalzando il livello dell’acqua in modo tale da portare allagamenti a Como e a Lecco.

 

Tempestiva, efficiente, ben organizzata era scattata la macchina dell’emergenza. Il rumore degli elicotteri, il suono delle sirene erano parte di una scena da incubo.

 

La magnifica valle, silenziosa, quieta ora appariva carica di mali, di tristi presagi. I rumori di elicotteri in volo, quel correre di autoambulanze, di pompieri che saettavano veloci in una corsa apparentemente senza senso lasciava attonita la gente nelle strade. Tutti volevano sapere.

 

Dove andranno ? Cosa sarà successo ancora? Ad ogni batter di pala di elicottero, ad ogni suono di sirena queste erano le domande che si facevano l’un l’altro con ansia.

Era calata la sera sotto la pioggia e il caldo era ancora soffocante. Il nubifragio non era mai cessato. La gente era atterrita.

Ecco, ora erano giunte finalmente notizie certe da Tartano.

 

Il condominio “ La quiete “era stato sventrato, tagliato a metà da una enorme massa di terra e fango scivolata dal canalone sovrastante, poi la furia della frana aveva investito in parte l’albergo “ Gran Baita” non distruggendolo ma devastando la parte esposta al canalone che si getta in valle. Era successo che con la intensissima precipitazione la situazione laggiù era precipitata. L’acqua aveva inzuppato il terreno come una spugna.

 

Dagli anfratti dei muri zampillavano con irruenza venute d’acqua. Le gronde e le canali dei tetti delle case, non potendo più contenere la massa di acqua, la riversavano dall’alto con scroscio di cascata. I chiusini delle strade si erano intasati e l’acqua correva a lato della strada come torrenti impetuosi.

 

Anche nella valletta dove sotto era stato costruito il condominio ” La Quiete” il canale di scolo che doveva far defluire le acque si era otturato per i detriti. Però l’acqua in un primo momento era chiara, pulita e quando l’acqua è chiara non ci si preoccupa molto perché è segno che essa non scava la terra. Poi l’acqua aveva invaso il piano seminterrato del condominio. La gente si era preoccupata e aveva incominciato ad abbandonare quella parte, ma nessuno poteva prevedere che una frana si stesse per abbattere sul condominio.

 

Anche nell’albergo “ Gran Baita “ nessuno si era reso conto di quel pericolo; alcuni ospiti si erano fermati sul portico e sul piazzale antistante a guardare quel torrente tumultuoso che scorreva in quella valletta. Quand’ecco che da lassù, da dietro il condominio, improvvisamente l’acqua da chiara e schiumosa si era fatta limacciosa. Dall’albergo però non si era visto nulla a causa della nebbia e della fitta pioggia, ma una piccola frana era caduta a monte del condominio e aveva sfondato un garage.

 

Poi subito, una e poi un’altra e un’altra ancora per quattro, cinque volte le piccole frane erano scese veloci. Esse avevano trascinato una grande massa di fango e sassi che, come un’enorme serpente, si era adagiato nella parte centrale del condominio che aveva trattenuto le frane per un poco facendo da sbarramento, ma poco dopo le strutture del palazzo avevano ceduto lasciando proseguire la massa d’acqua e fango fino a raggiungere la strada sottostante e a colpire a lato l’albergo “ Gran Baita “.

 

Fu un boato! La valle rimbombò; il condominio era stato spezzato in due in una nube scura e calda. L’enorme massa di acqua e fango, con parte della struttura del condominio, andava ad investire il porticato dell’albergo sfondando una sala e finiva la sua corsa nel lago sottostante. Purtroppo nella sala v’erano delle persone che non ebbero scampo.

 

Ora si stavano cercando i dispersi: le notizie erano incerte si parlava di 11 persone; alla fine si saprà che in val di Tartano perirono 21 persone, alcune delle quali non furono ritrovate.

Altre notizie non certe giungevano quella sera.

Valdisotto era allagata ; anche lassù erano cadute delle frane. A Chiuro il torrente Valfontana aveva invaso di detriti alcune strade del paese.

L’Adda in bassa valle aveva completamente allagato la statale 38. Giungevano anche notizie incerte dalla Valmalenco; si diceva che il Mallero avesse fatto disastri nella zona di Prato.

 

Calava la sera del 18 sotto la pioggia battente.

Un temporale seguiva l’altro in modo monotono e sinistro.

In valle la gente non poteva dormire tranquilla, l’aria era pregna d’odore di terra; il frastuono cupo e monotono delle acque dell’Adda risuonava sinistro nella notte in tutta la valle.

Intanto la macchina dell’emergenza girava a pieno regime.

 

I Sindaci, primi giudici della situazione, prendevano tutte le decisioni del momento, lavorando senza tregua per salvare il salvabile nei loro paesi.

Televisione e radio locali incominciavano a dare i loro bollettini di informazione sui disastri avvenuti. Erano notizie da bollettino di guerra e le notizie sulla meteo davano poca speranza.

Povera valle! I bollettini meteo avevano previsto la diminuzione delle intensità delle precipitazione solo da domenica 19, nel tardo pomeriggio.

 

La notte del 18 fu di angoscia. Pochi dormirono e moltissimi furono quelli che con stivali e badile, scope e sacchi di terra tentarono di limitare i danni alle loro case.

Giunse l’alba del giorno 19. Il cielo parve farsi meno cupo, ma la pioggia continuò nel caldo soffocante e solo nel primo pomeriggio essa andò gradualmente a cessare.

Furono resi noti i dati sulla piovosità dei giorni 17 e 18 luglio. Si parlò di 250 mm di pioggia; in alcuni siti si arrivò sino a 300 mm. Significava 250 - 300 litri al metro quadro.

 

I vecchi, parlando tra di loro, dicevano attoniti grattandosi la testa : “è piovuto sei brente al metro quadro!” Solo così potevano esprimere il loro stupore per l’enorme quantità d’acqua caduta; loro con le brente portavano il vino in cantina e sapevano quanto pesavano. Di vino però non ne era caduto. Solo acqua , tanta acqua che quei vecchi nella vita avevano spesso rifiutato di bere perché dicevano che l’acqua arrugginisce le budella.

 

Domenica mattina 19 luglio.

La gente della nostra valle la domenica si mette in ghingheri e va a messa. Se piove prende con sé l’ombrello, ma va a messa, vuol parlare con i suoi Santi e se è il caso brontolare per le tribolazione su questa terra.

Quella domenica mattina pioveva ancora a dirotto, il cielo era grigio e cupo, ma si intuiva che la pioggia stava per cessare. Le nuvole pian piano si muovevano verso la Bergamasca.

 

(Continua... )

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