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2^ parte - Le calamità del 1987 in Valtellina

CRONACA - 10 03 2017 - Ezio Maifrè

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Questo scritto di Ezio Maifrè, diviso in diverse puntate, è dedicato alle 53 vittime delle calamità che si abbatterono nell’estate dell’87 in Valtellina e ai giovani, perché non dimentichino il “male antico” della valle.

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Parte 1

 

Parte 2

Di tanto in tanto, in alta quota, si udivano i rumori degli elicotteri che passavano veloci lasciando cupi interrogativi nell’animo della gente. Il rumore delle pale, secco e deciso, erano dei colpi di maglio al cuore. La paura, l’angoscia, uno smarrimento totale, mi assalirono e di scatto misi le mani sul volto e chiusi gli occhi. Ecco ! Fu in quel momento che ebbi una visione di quello che stava per accadere ! “Prima vi fu un silenzio di tomba, poi udii un urlo lacerante di dolore, lungo, interminabile che rimbombò in tutta la valle e subito dopo si alzò un vento caldo. 
Vidi, laggiù in valle, un lungo serpente nero d’acqua e fango avanzare furioso tra turbini di vapori. Allora capii e inorridii! Il corpo frana del lago di S. Antonio, durante “la tracimazione controllata “, si era sgretolato come fosse di cartapesta. Tutta l’acqua del lago si era riversata di colpo in modo catastrofico in valle! 
Fu la paura e l’angoscia che mi fecero immaginare la catastrofe, oppure fu la visione di ciò che sarebbe successo se una mano Santa non fosse intervenuta a protezione della valle?

 

Così incominciò la terribile alluvione  

L’estate dell’ ’87 fu una strana estate di calura e densa d’umidità. Il sole cocente batteva implacabile in un’alternanza di nubi dense di pioggia rendendo l’aria calda, pesante, irrespirabile. Verso la prima metà di luglio, le temperature si erano gradualmente elevate in modo anomalo. L’isoterma dello zero gradi si era spinta man mano sempre più in alto fino ad arrivare nella zona dei nevai e dei ghiacciai perenni e a quella quota sostava ormai da alcuni giorni.

 

Il sole cocente, l’aria torrida avevano incominciato lentamente ma inesorabilmente a sciogliere la neve accumulata in anni normali nelle conche e sulle creste dei monti. Più su, i ghiacciai stavano ormai perdendo il loro mantello di neve invernale e mostravano il ghiaccio vivo, compatto, di color azzurro; le bianche distese di ghiaccio erano senza pelle; sotto la calura, la loro linfa brillava di luce vivissima. Nessuna mano d’uomo poteva fermare quel lacrimare! 

 

Si vedeva l’acqua correre sopra i ghiacciai, scintillare e scomparire negli anfratti rugosi per poi riunirsi tumultuosa sulla roccia sottostante formando piccoli ruscelli schiumosi che andavano poi a gonfiare i torrenti, diventando scuri e impetuosi a valle.
Ancora non pioveva e l’acqua scorreva già veloce e limacciosa nell’Adda trascinando limo e pietrame. Dai ponti gli anziani guardavano l’Adda e dicevano:

 

“ Non è piovuto! Da dove viene l'acqua tumultuosa e scura ? E’ forse successo qualcosa sulle dighe ?” La paura delle dighe è una paura arcana, una paura inconscia e mai sopita nell’animo della gente della valle. Le disgrazie della diga del Gleno del 1 dicembre 1923 con più di 500 vittime e di quella del Vajont del 9 ottobre 1963 con circa 2000 morti non erano state dimenticate.
La più recente catastrofe del 19 luglio 1985 in Val di Stava che aveva ucciso 268 persone incuteva terrore. No! No! Si poteva stare tranquilli. Questa volta le dighe non c’entravano; esse erano dei graziosi laghetti, pronti a ricevere quell' acqua senza pioggia, pronti a svolgere l’eccellente servizio di contenimento dell’acqua quando essa è abbondante per poi rilasciarla gradualmente nelle turbine delle centrali elettriche fornendo preziosa energia pulita. L’acqua nelle dighe era addirittura scarsa ed esse si stavano invasando lentamente senza pioggia.

 

Era quel caldo torrido e umido di luglio che aveva fatto sciogliere i ghiacciai e che aveva gonfiato l’acqua nei torrenti. Nelle strade si vedevano i cani scodinzolare con il respiro d’affanno. I contadini che si erano alzati all’alba per il lavoro nei campi, nel pomeriggio erano seduti nelle corti in maglia di lana pensierosi e accaldati. In valle da giorni non spirava un alito di vento; il cielo era  plumbeo, le nubi scure cariche di pioggia non davano nulla, erano immobili scure e minacciose.

 

Era luglio. Il grido di “ andiamo in vacanza !” aveva fatto in parte spopolare la valle e le famiglie, come ogni anno, erano andate felici in villeggiatura per godersi il sole sulle spiagge dell’Adriatico e della Liguria. I pensieri erano quelli della vacanza e nessuno pensava a cupi presagi. Quelli sdraiati al sole sulle spiagge al mare erano tranquilli e immaginavano la loro valle quieta, sicura meta da raggiungere dopo le dolci e spensierate vacanze.


Calura e affanno

Ascolta!
Non spira un alito di vento!
Sotto il sole cocente
si sente il respiro d’affanno
della natura.
Un’ estate strana è arrivata.
La neve lacrima
nelle conche dei monti,
rivoli spumeggianti
brillano tra le aguzze cime
in un cielo senza pioggia.
Gioiscono i ragazzi gridando
“ tutti al mare “
mentre i vecchi annusano
nell’aria il caldo della terra arsa.

 

Mattino del 17 luglio

Il cielo si rese ancora più plumbeo in valle. La pioggia incominciò a cadere a scrosci, il barometro precipitò segnando tempesta. Ecco! Dopo la gran calura era arrivata la pioggia; fu un susseguirsi di violentissimi rovesci sul terreno arso dal sole. L’acqua batteva sui tetti delle case e sull’asfalto torrido con violenza. Leggere nuvole di vapore si alzavano dalla terra arsa mentre l’acqua incominciava a scorrere in mille rivoli. Nel caldo e nell’afa  i forti temporali continuarono per tutto il giorno seguente. Giunse il giorno 17. “Quel giorno era di tristi presagi” dicevano i vecchi e avevano ragione. Era l’inizio della sventura che avrebbe messo in ginocchio per mesi l’intera valle.

 

I nostri avi dicevano: ” l’acqua è una buona serva quando riesci a dominarla “ e non avevano torto.
Fuoco, vento e acqua sono le forze potenti della natura, sono le forze che scatenate portano danno e morte, ma la più temibile è la forza dell’acqua. Irruente essa avanza inesorabile in ogni luogo e lo invade, l’inghiotte per poi riprendere la sua corsa trascinando ogni cosa che incontra. Essa poi si quieta in pozze, ma, subito dopo averle riempite, inizia di nuovo la sua corsa e di nuovo invade, inghiotte e trascina. Sembra trovar pace solo quando incontra una piana che la contiene e solo lì restituisce il suo fardello di morte, solo lì appare domata e senza forze; la sua corsa verso quel luogo di pace ritrovata è però luogo di devastazione; il suo percorso è segnato dalla sventura; la sua furia lascia dietro di sé vittime, case distrutte, frane, smottamenti, detriti d’ogni genere. Lascia l’angoscia nei cuori, porta la rassegnazione e lo sconforto nei vecchi; fa esplodere la rabbia nei giovani e fa emergere il senso d’impotenza nell’animo dell’uomo di fronte forza della natura. Infine lascia un cupo e profondo dolore in tutti nel vedere i beni e i valori più cari della vita distrutti senza un significato. In queste sventure c’è chi prega e chi impreca.

 

E’ la fede in Dio, la fede nella madre Celeste e nei Santi l’ancora di salvezza! Essa è l’albero a cui aggrapparsi per non essere trascinati nel gorgo della disperazione. La fede nella Vergine Maria della Folla di Madonna di Tirano , patrona della valle, è l’ombrello sicuro sotto cui ripararsi in questi tristi eventi.

 

(Continua... )

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