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5^ parte - Le calamità del 1987 in Valtellina

CULTURA E SPETTACOLO - 31 03 2017 - Ezio Maifrè

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Questo scritto di Ezio Maifrè, diviso in diverse puntate, è dedicato alle 53 vittime delle calamità che si abbatterono nell’estate dell’87 in Valtellina e ai giovani, perché non dimentichino il “male antico” della valle.

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Parte 1Parte 2Parte 3, Parte 4

 

Parte 5

Erano successe cose incredibili ! Alcune case erano state costruite in vecchi alvei di fiumi, sotto ampi conoidi che i nostri padri chiamavano siti di rovina. Erano state deviate e incanalate acque senza calcolare che in tempi normali sono poco più che ruscelli mentre in tempi di forti piogge diventano torrenti.

 

Qualcuno aveva sussurrato: “ Costruiamo e facciamo affari; se in futuro lontano si avranno dei danni qualcuno pagherà. Fare e disfare è pur sempre lavoro. Piene con ricorrenza secolare ? Noi non le vedremo più.Le vedranno forse i nostri pronipoti . Chi le vedrà interverrà e si arrangerà”.

 

Piovve tutta la notte di venerdì 17 e il mattino del giorno 18 la valle appariva spettrale.

I tuoni , l’un dietro l’altro, facevano rimbombare la valle; la pioggia non dava un attimo di tregua e la furia della natura si era scatenata.

I più ottimisti pensavano che era bene non inquietarsi e lasciare che la natura sfogasse la sua rabbia . Dicevano che agitarsi non serviva a nulla poiché l’acqua va sempre in giù e il fumo va sempre in su.

 

Prima o poi la pioggia sarebbe cessata.

Ma i più anziani erano inquieti. Sapevano bene che l’acqua va sempre in giù, ma avevano visto che quando era tanta portava grandi rovine. Sapevano anche che il fumo va sempre in su , ma quando sale in alto si dissolve nel cielo senza danni.

Le prime avvisaglie del disastro in Valtellina arrivarono nel pomeriggio di sabato 18. Giunsero da Valdisotto, poi da Tartano, dalla Valfontana , da Chiuro, da Morbegno, dalla Valmalenco, da S. Pietro Berbenno, da S. Antonio Morignone.

Sotto la pioggia incessante, la Prefettura continuava a dare allarmi, mentre ovunque scattava lo stato di emergenza.

In quel diluvio universale si allertarono, per portare i primi soccorsi alla popolazione, le forze di polizia, i pompieri, gli uomini del soccorso alpino, quelli dell’esercito.

 

Nella valle si incominciarono ad udire rumori di elicotteri, suoni laceranti di sirene che correvano chissà dove in una atmosfera irreale e da incubo. La valle martellata dalla pioggia era immersa in una atmosfera ovattata e da purgatorio a causa della nebbia. Nelle valli risuonava cupo il fragore dell’acqua tumultuosa che scorreva negli alvei; gruppi di persone osservavano dai ponti e dagli argini l’imponente portata d’acqua. S’udivano i botti sordi dei sassi trascinati dall’acqua limacciosa, si vedevano passare a saetta grossi tronchi d’albero sradicati dalla furia dell’acqua dei torrenti. Qualcuno aveva visto passare carcasse di animali tra i flutti fangosi.

 

Dal fondo valle salivano lentamente scure nubi pregne d’acqua che avvolgevano ogni cosa facendo apparire le case un inferno.

Lo scrosciare violento dell’acqua dalle canali traboccanti dei tetti, il correre di piccoli fiumiciattoli sul selciato delle strade facevano impaurire persino le bestie.

Si sentivano nelle corti i cani latrare; s’udiva il muggire forsennato e monotono delle mucche nelle stalle; i topi guizzavano nelle fognature, scalando le ripide pareti e correvano a girotondo come impazziti.

Si ! Le bestie sono le prime ad intuire i pericoli e per questo erano impaurite, disorientate.

 

L’aria portava l’odore di terra di campo delle frane. Quell’odore acre faceva fermare i vecchi a lato delle strade che, pensierosi, annusavano l’aria umida, poi scuotevano il capo, si portavano la mano al mento torcendosi i baffi , si grattavano il collo e rimanevano immobili e pensierosi.

I loro occhi vedevano il passato, vedevano le vecchie disgrazie “dell’antico male” della valle poi scuotevano il capo sussurrando: “ Signore salvaci dalla sventura “.

Non avevano torto i vecchi. Loro, al pari dei loro cani, sentivano ciò che stava per accadere.

 

Nel pomeriggio le sirene dei vigili dei fuoco erano laceranti e rimbombavano in tutta la valle.

Cosa era successo ? Dove andavano ?

Nelle contrade si sentivano le madri chiamare i loro figli.

Sì, proprio come le chiocce che cercano nel pericolo i loro pulcini per riunirli sotto di sé.

 

 

Il male antico

E’ il diluvio!

Il drago che tutto inghiotte

si è svegliato.

Il male antico della valle

con furia è risorto.

Chiedono gli anziani:

quando finirà la nostra pena ?”

Con ira il drago risponde:

finché ci saranno i monti

e l’ acque scorreranno in valle,

alluvioni e frane saranno con voi .“

I vecchi ubbidienti chinano il capo,

brividi di paura penetrano

taglienti nella carne tra

il suono delle sirene e

il secco battere d’ali di elicotteri.

 

 

Ogni tanto si udivano rumori cupi nella valle; quei rumori che gli anziani conoscevano bene non erano tuoni, erano scariche di sassi che rotolavano a valle da chissà dove. Quei rumori, lunghi e ovattati risuonavano in modo sinistro. Erano tonfi che pareva sorgessero dal suolo o da dietro un sipario; il sipario era di nuvole basse e scure, il velo era di pioggia battente.

 

La gente raccolta in gruppetti nelle corti, sotto i porticati, cercava spiegazioni; dai suoi visi traspariva sgomento.

I figli ora tacevano e guardavano i vecchi cercando conforto. Tutti volevano sapere, ascoltavano la radio, guardavano i telegiornali.

Intanto lentamente giunsero le prime notizie .

 

Erano cadute delle frane a S. Antonio Morignone e la strada statale 38 era interrotta.

Un’altra ancora! Il torrente Valfontana a Chiuro aveva invaso la statale e per andare a Chiuro si doveva, a Tresenda, fare il giro per Teglio. La piana di Morbegno era invasa dall’acqua e la strada statale 38 era allagata , i binari della ferrovia erano stati divelti dalla forza dell’acqua. Cos’era successo a Tartano?

 

Giungevano voci incerte! Qualcuno parlava di morti. Quel tam tam di notizie era inquietante; la gente voleva sapere.

Niente! La televisione ancora non dava notizie.

Nemmeno le radio locali avevano detto qualcosa, solo i pompieri sapevano ma parlavano a frasi mozze; parlavano di una grande frana abbattutasi su un condominio pieno di gente proprio sopra il lago di Tartano.

Intanto la pioggia non smetteva un momento.

 

Calava la sera di sabato e ancora pioveva a dirotto quand’ecco giungere altre notizie da quel di Tartano.

Si diceva che intorno alle ore 18 una grande frana di sassi e fango fosse caduta trascinando con sé alberi e massi e si fosse abbattuta sul condomino “ La Quiete “ e sull’albergo “ Gran Baita “. Vi erano state delle vittime, dei dispersi, ma ora non c’era il tempo per pensare ad altro che rimuovere le macerie, il fango, per salvare le vite che si potevano ancora salvare. Il lago di Tartano era scuro, pieno di alberi trascinati dalla frana; sembrava una grande palude. La val Tartano era isolata, solo gli elicotteri potevano portare aiuto.

 

Era spaventoso!

 

(Continua... )

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