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15 gagliardi giovanotti Engadinesi bevitori di corona-vinus

CULTURA E SPETTACOLO - 23 03 2020 - Méngu

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/foto d'epoca viale italia

15 gagliardi giovanotti Engadinesi bevitori di corona-vinus

(Ovvero l’umor terapia del sorriso aiuta a guarire)

 

 

Forse sono l’unico superstite che ricorda questa storia. Me la raccontò un anziano della contrada di S. Maria che di vino se ne intendeva e che dopo aver bevuto un bottiglione di un buon vino era rimasto più lucido di Einstein. In questa storia metterò un soggetto fittizio che a me piace chiamare Giàcumin che nel 1920 faceva il “ facchino “ alle due stazioni di Tirano. Una era quella della ferrovia F.A.V. e l’altra quella Retica. Devo dire, per onore del vero, che il personaggio era molto conosciuto in Tirano per la sua allegria e anche perché in gioventù aveva girato il Mondo. Conosceva ben quattro lingue, svariati dialetti locali e, quando gli idiomi dei suoi clienti avevano la “pelle” nera o gli occhi a mandorla, si districava a braccia e a sorrisi con amorevole simpatia. Aveva anche un calesse che usava per il trasporto dei signori e un carro da campagna trainato da un possente cavallo che chiamava “galèt” perché non stava mai fermo e gli mancava solo la parola. Ciò che conta nella storia però non è questo ma il fatto simpatico e allegro che successe nell’estate del 1920 in una antica osteria , che noi con affetto spesso in dialetto tiranese chiamiamo “ bétula” ed era presso il “büi vécc “. Racconto ciò che ricordo con la premessa che “ ambasciator non porta pena” e anche perché quel che successe non perturbò minimamente la quiete di Tirano, anzi ne ravvivò la notorietà per un eccellente prodotto. Orbene, Giàcumin , in una assolata mattina d’agosto del 1920, era presso il binario unico che aspettava dei clienti e in particolare il trenino rosso del Bernina delle ore 10.00 ( che allora era nero, poi diventato giallo e tutt’oggi è rosso ) composto da un locomotore elettrico nero che sembrava un grillo, con una carrozza ancor più nera e un vagone colmo di buon legname tagliato in Engadina. Il treno arrivava lento e possente a lato sull’allora viale Vittorio Emanuele , ora viale Italia. Man mano che si avvicinava s’ udiva un canto possente e il suono vivace di una bandella. Erano 15 giovani Engadinesi che avevano deciso di far visita al Santuario della Madonna di Tirano per ottenere , a uno di loro, potente protezione, poiché il giorno dopo si sarebbe sposato con una baldante e pretenziosa ragazzotta di nome Ermengarda di Zernez , donna dagli occhi azzurri, bionda, dalle trecce lunghe e possenti da far invidia alle funi in cuoio del carro del Giàcumin Con stridore di ferraglia il treno si fermò e in un attimo balzarono a terra i quindici. Era dunque logico per Giàcumin appropriarsi il gruppo per motivi di lavoro e li fece salire sul suo carro. Tutti con balzi atletici si appollaiarono come passeri a cavalcioni sulle sponde del carro. Uno di loro, forse il futuro sposo disse: “Grazia fitg , ir alla baselgia ( chiesa) di Tirano !” Giàcumin , forse un poco sordo e anche un poco birichino capi: “ Grazie tante , andiamo alla “ bètola” di Tirano “ . Un colpo di frusta e il cavallo “ galèt “ si impennò e, via andare, da sembrare conoscesse la strada, mentre Giàcumin era intento a contare i passeggeri. Nessuno di loro si avvide che invece di percorrere il viale Vittorio Emanuele, il carro dei pellegrini imboccò la strada verso il “büi vécc” . Lì il cavallo si fermò senza comando presso una osteria, che quelli dei capelli grigi ben ricordano per il buon vino che si beveva. Qui mi tocca fare un piccolo stacco per parlare del Corona-vinus. Non c’era tiranese che dicesse che il vino migliore della sponda soliva del Masuccio fosse quello prodotto dalle vigne del Mazacavàl. Lì, in quel tempo, un contadino che si chiamava Corona produceva un vino talmente buono e sincero che a paragone il vino che beveva il Papa quando celebrava la s. Messa era aceto. Un vino che ti faceva vedere la Madonna e non è da escludere che Mario, il veggente, non ne avesse in cantina. Quel vino lo produceva e beveva il Corona e un poco lo dava anche a quella osteria per i clienti di rango. Così i nostri quindici gagliardi Engadinesi hanno preso posizione nei banconi profumati di vino in quel locale. Non vi sto a raccontare l’andare avanti e indietro con i boccali d’una graziosa ragazza per servire quella masnada. Dopo quattro ore avevano tracannato per l’arsura più di trenta litri di Corona-vinus. Giàcumin aveva lasciato fuori dall’osteria il carro con il cavallo che trinciava la consueta balla di fieno. Era tranquillo come il suo cavallo e aspettava al varco il branco canoro al suono di bandella. In verità Giàcumin con grande umanità aveva dato l’esempio, tra l’entusiasmo generale, scolando d’un fiato un boccale di quasi mezzo litro di corona-vinus , nettare che lui ogni mattina mandava giù come rosolio. Poi i giovani avevano seguito il suo esempio e via bevendo. Canta e bevi, bevi e canta ed ecco giungere quasi le quindici, orario d’appuntamento alla stazione del treno per ritornare alle loro case in Engadina . Giàcumin lo sapeva e aspettava con occhio dolce e bonario con il suo carro fuori nell’androne , come la volpe aspetta la gallina fuori dal pollaio. Giunta l’ora chiamò tutti a raccolta. Non vi dico come giunsero fuori. I più, dopo aver pagato il conto biascicando e traendo i soldi dal portafoglio, con mani di cera, strisciavano nel banco per raggiungere l’uscita e il carro. Fortunati quelli che poterono aggrapparsi al Giàcumìn . Gli altri stramazzavano a terra, ma il buon uomo li rialzava , li sorreggeva con grande amore e li deponeva allineati sul cassone del carro. Uno, traballante e nelle nebbie dell’alcool, voleva salire in groppa al cavallo. Sta di fatto che dopo alcuni minuti , il cavallo “ galèt “ che aveva seguito ogni mossa si avviò al piccolo trotto fino alla stazione, mentre Giàcumin contava i passeggeri. Giunsero in tempo alla stazione. Giàcumin non volle nulla per il suo amorevole servizio; probabilmente il servizio era compreso nella consumazione del corona-vinus in trattoria. Fu poi compito del capotreno, esperto del carico di tronchi , caricarli sul vagone nero e portarli a casa. Nessuno si lamentò del fatto che non avevano potuto raggiungere la baselgia ( chiesa ) di Madonna di Tirano, per invocare la protezione del futuro sposo a causa del “ malinteso “ del Giàcumin. Si seppe poi, molti e molti anni dopo, che il matrimonio con la bionda Ermengarda dalle possenti trecce durò più di sessant’anni e i due ebbero figli, nipoti e pronipoti. Segno che il vino del contadino Corona era benedetto , e io lo credo , poiché quando si beve buon vino con moderazione e in sana compagnia, toglie tanti mali tra i quali la tristezza, lo sconforto, e anche molti virus.

 

Méngu

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