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Un cane ubriaco e un maiale in fuga

CRONACA - 09 06 2021 - Ezio (Méngu)

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/‘L ciùn de l’àva, tiràa sü a patàtini de Rùnch
‘L ciùn de l’àva, tiràa sü a patàtini de Rùnch

Vicende di Gente di montagna

Avete mai visto un maiale in fuga? No?  Peccato, perché corre come un levriero con un difetto: se cambia traiettoria nella sua corsa, per effetto della forza centripeta causata dal suo peso vola per la tangente. Avete mai osservato un cane ubriaco ? Sappiate che anche i cani possono ubriacarsi come il loro padrone. A loro basta poco, solo qualche leccata di vino e sono fuori di testa. Nel nostro caso è bastata una pagnotta imbevuta di vino e il cane pastore Jeck  di Stefano ha scambiato un maiale per una pecora e ….”  a mì ‘l ma scàpa amò la grìgna !! “  .

 

Un cane ubriaco e un maiale in fuga

Quel giorno di settembre la “bruzzéra“ (mulattiera) presso l’osteria di Ronco era bloccata. Sei “ priàle “ di fieno erano in colonna con i rispettivi muli scalpitanti che aspettavano di scendere a Valle con il loro carico di fieno. Stranamente nel piazzale dell’osteria non c’era anima viva se non mia nonna che girava impaziente  guardando verso i prati dei “ Gòss “ che confinavano con l’impervia valle della Ganda. Dove erano andati tutti i “ viciurìn” delle “ priàle”  che erano soliti  fermarsi per bere il  calicino per poi avviarsi in colonna verso Tirano con le loro “ priàle “?. Cosa poteva essere successo per esserci quel silenzio innaturale in quell’osteria? Una disgrazia ? Mia nonna era nervosa più di uno stambecco e continuava a guardare il Crocefisso poco sopra nel bosco e a implorare : “ Car Signur, fa  che ‘l mè ciùn ‘l tùrnis andrée san e sàlvu. L’è dé  ‘n quintal e mezz e lùu tiràa su a patàtini, fa che ‘l tùrnis ‘n stàla dubòt “. Cosa era successo poco prima ? Era un bel pomeriggio di settembre. L’aria era tersa  e laggiù i monti della Caronella erano puliti dalla neve e le cime rosee come il sedere di un bambino. La giornata stava per finire e i “ viciurìn “ con le loro “priàle” scendevano a valle con l’ultimo carico di fieno settembrino. Stefano,  il primo,  come sua consuetudine si era fermato come diceva lui “ ars de la sée “ per bersi il calicino di rosso fresco di cantina. Quelli che lo seguivano avevano preso il suo esempio e tutti si erano riuniti in gran “ simposio “ per raccontarsi le loro avventure. Nessuno aveva fretta, nemmeno i muli che sembravano godersi l’ultimo sole. Mia nonna usava ogni settimana pulire il “trèss del ciùn “ e l’angolo delle galline e anche  quel dì aveva liberato le sue bestie dalla stalla. La mucca se ne era andata lenta e solenne a brucare l’erba nella prima “ fascetta “  del terrazzamento di prati, le galline con ampio svolazzare si erano sparpagliate nei prati in cerca di cavallette, mentre il maiale si era messo a gironzolare grugnendo tra  il piazzale e il retro della casa. La nonna era  indaffarata con un “ avanti e ‘ndrée “ dal cantinin per rifornire di beveraggio i nostri che con il  loro vociare e il battere alla morra sembravano indemoniati e dimentichi del tutto dei loro carri e dei muli. Stefano aveva un cane pastore a cui mancava solo la parola ed è lui l’autore del crimine che leggerete. I nostri, come la consuetudine dei loro padri, erano usi alla fatica ma quando c’era da far merenda non esitavano nell’abbondanza. La nonna oltre ai fiaschi di vino aveva portato una fila di salsicce “de cà “  e del pane di segale. I nostri padri erano usi, per ammorbidire il pane di segale duro come pietra, immergerlo nel vino, poiché a molti mancavano i denti e pochi di loro avevano ancora  quelli del “giüdizi “.  Era successo nella baldoria che una “ brasciadèla “ era caduta dal tavolo e il cane pastore Jeck  di Stefano se l’era mangiata in un baleno. E si sa che il vino va alla testa in un attimo nelle bestie. Il cane ha incominciato a dare i numeri quando ha visto il maiale che gironzolava nel piazzale. Deve averlo scambiato per una pecora poiché ha attaccato il maiale tanto caro a mia nonna,  mordendogli un orecchio. Il maiale aveva lanciato un grugnito aguzzo e tagliente come un coltello  e s’era messo a correre all’impazzata nei prati inseguito da Jeck  in  una furibonda gincana. Mia nonna vide tutto. Lanciò un grido alla compagnia : Al mée ciùn, ciàpii dubòt ‘l me ciùn “. Il maiale zigzagava nei prati, inseguito dal cane pastore che ubriaco   rotolava  sul prato per subito balzare sulle zampe abbaiando furibondo. Il maiale correva ventre a terra. D’un tratto le due bestie in volata imboccarono il sentiero che conduce ai prati dei “ Gòss “ confinanti con l’impervia valle della Ganda. Stefano e l’amico Carlo intuirono il pericolo e, malgrado il loro grado alcolico nelle vene,  scattarono dal tavolo come molle all’inseguimento delle bestie. Gli altri quattro amici continuarono la loro morra a colpi di beveraggio. Successe in un baleno. Il maiale, sempre con ventre a terra, era  a pochi passi innanzi al cane. Il dirupo della Ganda era a pochi metri. Il  maiale corridore, con il cane alle costole e con il suo peso di centocinquanta chili, fece una stretta  sbandata ma non riuscì a evitare il dirupo. Colpa della forza centrifuga, direbbe  Newton e andò per la tangente. Così rotolò per più di 50 metri in valle come un masso sollevando una nuvola di fogliame di faggio con un fracasso di rami spaccati, mentre il cane si fermò sull’orlo del precipizio abbaiando furiosamente. Stefano e il compagno  intuirono la disgrazia. Il compagno sottovoce disse : “ ‘l ciùn dé la Verginia l’è ‘ndàch giù a burèli per la Val de la Ganda! ” . Giunsero sull’orlo del canalone e videro il maiale incastrato tra due faggi,  grugniva flebilmente ma era ancora vivo, mentre il cane avendo ricevuto due secche minacce dal padrone, si era quietato. Raggiunsero il maiale con non poca fatica. Il maiale era tramortito così da lasciarsi facilmente toccare. Stefano si lisciò i baffi e studiò una strategia per trarlo da quel dirupo. Si ricordò che mia nonna gli aveva detto che era di centocinquanta chili e ingrassato a patate e che lo avrebbe goduto per tutto l’inverno. Ebbe paura pensando a cosa gli sarebbe successo se il maiale non fosse ritornato in stalla. Si guardò intorno. Con la sua “ pudèta “ che portava sempre con sé tagliò un grosso ramo  di faggio. Con la  cinghia dei suoi pantaloni e quella del suo compagno legarono i piedi della bestia e passarono il palo nel sottopancia del maiale. Con il palo sulle spalle,  Stefano davanti  e Carlo dietro con  il maiale a penzoloni  iniziarono la salita. Il peso era tremendo ma fortunatamente il maiale era quieto e ancora sedato dal colpo ricevuto nella caduta. Giunti quasi in  cima al bosco  Carlo sopportando quasi tutto il peso del maiale scivolò sulle foglie umide. Il carico subì uno sconquasso,  Stefano resistette all’urto ma il palo si abbatté sullo stinco della gamba destra di Carlo che lanciò un urlo, mentre il maiale sembrava crocifisso al palo, Stefano prontamente tolse il peso dalla gamba di Carlo. Ispezionò la gamba e  sentenzio: “ l’é ‘n pit svèrgula ma l’è mìga rùta !  “ mentre Carlo borbottava la solita speciale corona di imprecazioni. Stefano raggiunse il piano dei prati dei “ Goss “ e chiamò a gran voce aiuto ai quattro compagni ancora intenti al gioco. In un baleno accorsero e per circa mezz’ora vi fu silenzio. Anche i muli , dal loro annusare l’aria , capirono che doveva essere successo qualcosa di grave. Mia nonna, con la sua vista d’aquila , seguì da lontano i movimenti  e mi disse.” Vàn ‘n del bùsch a ramà scià ‘n mazulin de ciclamin .“ Poco dopo ecco giungere dai prati del “ Goss “ tutti i sei amici in colonna come  una armata Brancaleone.  La capitanava Stefano con il suo cane scodinzolante, dietro di lui due compagni portavano a braccia  Carlo con la gamba dolorante. Seguivano altri  due , uno innanzi e l’altro dietro,  che portavano sulle spalle il palo con appeso il maiale che ogni tanto grugniva. Quando la “ processione” arrivò sul piazzale dell’Osteria, mia nonna si rasserenò vedendo il maiale ancora vivo, poi rincuorò Carlo che si lamentava per il dolore alla gamba . Lo medicò con impacchi caldi di foglie di malva e gli fasciò la gamba. Con fare truce mia nonna guardò Stefano e il suo cane.  Io avevo tra le mani il mazzolino di ciclamini che avevo raccolto nel bosco. Mia nonna disse: cur e pòrtai  sü al Signùr dèla segùnda Crus , parchè la salvàa ‘l nos ciùn “.   I “ viciurìn “ tutti sudati si misero di nuovo a sedere ai tavolo raccontandosi la loro fatica. Solo dopo aver svuotato altri calici di rosso Stefano con un cenno di capo diede il via alla tradotta  di priàle” per scendere a valle.  A Carlo erano bastati due calici di vino del Mazzacavàl per non sentir più il dolore alla gamba. Il maiale di mia nonna era salvo, pronto per essere  “goduto “  nel prossimo inverno. Lassù nei cieli qualcuno aveva compiuto “ un miracolo”.   

 

Ezio (Méngu)

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