La leggenda del frate orso dei "Trìi-vin"
CULTURA E SPETTACOLO - 18 08 2021 - Ezio (Méngu)
Non c’è luogo ove non vi sia leggenda, quasi si può dire che la leggenda fa il luogo, lo fa vivere, lo fa amare. I colori, i suoni, gli odori, l’immagine di una casa, di un albero, di un fiore e qualsivoglia oggetto li percepiamo come esperienza visiva, sonora, olfattiva in onde elettromagnetiche che il nostro cervello elabora. Il Mondo è fatto di vibrazioni d’onde , tutto sarebbe spento e insignificante senza di esse e il nostro cervello non potrebbe percepire nulla del mondo che lo circonda . I sogni sono tutt’altra cosa, essi non provengono dall’esterno, essi sono parte di noi. Provate a chiudere gli occhi, non vedrete ma sognerete lo stesso immagini, colori e suoni. Così è anche per la leggenda di un luogo. Esiste perché è stata creata da un vissuto particolare e misterioso. Per chi la sente raccontare può essere una magia del luogo e un passaparola di sensazioni sempre nuove. Detto questo, racconterò la leggenda di fra Dolcino. Padronissimi di credere o non credere. Ai tempi di Tolomeo, tanti erano convinti che la terra fosse il centro del Creato, ma noi abbiamo scoperto che anche il sole, piccola stella, ruota in un braccio della nostra Galassia tra miliardi di galassie vaganti. Come vedete tutto è relativo e non credere a cose “ inverosimili i “ quasi si fa peccato perché tutto è evoluzione e sogno. Siamo ai tempi “de unòrum“ (di tantissimi anni fa ) e presso lo xenodochio di S. Perpetua sulla strada medioevale che portava alle valli dell’Inn c’erano i così detti frati e conversi, brave persone religiose che aiutavano i pellegrini nel transito tra la nostra Valle e la Valle di Poschiavo. Quei conversi coltivavano molte vigne. Dalla più bella e soleggiata traevano il vino dedicato alle Sacre funzioni. La vigna non produceva tanto vino , solo una brenta che bastava per l’intero anno e lo deponevano in sacrestia. Per tagliar corto, un frate di nome fra Dolcino, persona santa ma amante del vino e allegro a dismisura con le fedeli, si scolò tutta quella deliziosa scorta di vino che l’abate di Villa usava per celebrava la Messa allo xenodochio alla domenica; il buon frate Dolcino tirò la botte secca più di un “braschè “ ( caldarrosta) e non ne rimase una goccia per le funzioni religiose. L’abate si infuriò con i conversi e bevve, in seguito ma a malincuore il suo vino di Villa. I confratelli imposero a fra Dolcino, quale penitenza per aver scolato tutto il vino Santo dell’intero anno, quella di fare tre volte il giro della chiesa di S. Perpetua di corsa. Il frate , un po’ perché era brillo, un po’ perché era un confratello ubbidiente eseguì l’ordine, ma al primo giro cadde dalla rupe. Si udì un urlo, come d’ uomo straziato e il suo corpo non fu più ritrovato. Alcuni contadini però dissero d’aver visto il frate rotolare come una botte tra le vigne con un palo conficcato nel sedere, cadere nell’alveo del torrente Poschiavino, per poi rialzarsi e fuggire verso il “Dòss “ ( località amena di Tirano ) e a tre gambe prendere la strada dei monti. Passarono sette anni e un giorno un pastore di pecore e capre , per curiosità, sbirciò in una grotta in località “ la Culùm “. Cosa vide ? Era un uomo o un orso ? Forse era un uomo perché il suo vestito era come quello d’un frate, ma la sua voce e i suoi movimenti erano quelli di un orso. I suoi occhi erano di fuoco e i denti come quelli di un cane lupo. Il pastore fece il segno della croce e scappò! Passarono anni e l’anziano pastore, che nel frattempo aveva compiuto cento anni, prima di morire parlò del fatto ai conversi di S. Perpetua e questi ricordarono del loro confratello fra Dolcino che per la brenta di vino Santo si era dannato l’anima cadendo dalla rupe di S. Perpetua ubriaco. Dedussero, dopo molto meditare e molte preghiere che quell’uomo vestito da frate e simile ad un orso era l’incarnazione maligna del loro Confratello. Passarono settantasette anni quando un altro pastore , rincorrendo una sua pecora, entrò nella grotta. Gli comparve innanzi il frate orso. Era vestito con una lunga tunica lercia e aveva in mano tre calici vuoti . I suoi occhi erano spenti, le sue mani erano scheletriche , il suo viso era fasciato d’una lunga barba bianca. Disse al pastore : “ Rivuoi la tua pecora ? Allora portami del vino buono perché devo riempire le mie tre coppe di vino in onore alla S. Trinità e berle d’un fiato una dopo l’altra , solo così la mia anima sarà redenta e sarà in Pace.” Il pastore tremante di paura fece un cenno d’assenso e se ne andò di corsa. Su quel monte vi erano tre pastori, suoi grandi amici, che durante l’anno in valle producevano un ottimo vino e d’estate lo bevevano quando andavano al pascolo con le loro bestie. Un pastore era di Tirano, uno di Villa e l’altro di Bianzone. Durante il pascolo andavano d’accordo ma durante il desinare era una tragedia. Ognuno diceva che il suo vino era il migliore e ogni tanto si prendevano a bastonate. Dopo il racconto del pastore tremante si accordarono di andare in quella grotta per portare ognuno un poco del loro vino, e così fecero. Con tremore e alla presenza del frate orso , il pastore di Tirano riempì una coppa con il suo vino e così fecero gli altri due. Subito dopo il frate orso iniziò il Sacro Rito con litanie lugubri e dopo essersi inginocchiato scolò una dopo l’altra le tre coppe, elevandole al cielo in onore della Santa Trinità. Con occhi gaudiosi e con voce pastosa e biascicante disse ai quattro pastori: “ Santi, santi, santi sono questi “ trìi vin “ ( tre vini ) ! Per la vostra lode e la potenza mi sacrifico bevendo questi “ trìi vin.” D’un tratto nella grotta risuonò una musica soave e una voce baritonale disse: “ Fra Dolcino, ti sciolgo dalla tua pena non per tuoi meriti ma per merito della bontà dei “ trìi-vin “. Il frate orso, subito dopo svanì come in una nebbia di temporale, la pecora uscì dalla caverna belando contenta con il suo padrone e con i tre pastori e da quel giorno non litigarono per la bontà dei loro vini poiché il Signore li aveva graditi tutti e tre. Quella caverna fu chiamata dei “ Tre – vin” in ricordo di quel fatto prodigioso. Forse per questo motivo , io credo, che a quella magnifica “ conca di cielo “ fu poi dato il nome di Trivigno. Ezio (Méngu) “Qualcuno deve contribuire a creare le antiche leggende” (detto di Charles Monroe Schulz)
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