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Il Santo, Bernardo Lambertengo e l'atto di pentimento del Podestà

CULTURA E SPETTACOLO - 08 02 2017 - Ivan Bormolini

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/Tirano, via san carlo
Uno scorcio di Via S. Carlo

Siamo nell'agosto del 1580, la nostra valle era suddita dei Grigioni già dal lontano 1512 e in quegli anni la famosa questione religiosa era al culmine.

 

Andiamo con ordine: la diffusione del protestantesimo aveva ulteriormente compromesso i rapporti fra i governanti Grigioni ed il popolo valtellinese. I primi, in larga parte, avevano sposato la riforma protestante, mentre nei nostri territori era fortemente radicata la fede cattolica.

 

Pur avendo sancito negli anni '20 il principio della libertà religiosa, che almeno sulla carta decretava la libertà di abbracciare la fede riformata oppure quella cattolica, la storia in merito alla questione religiosa ci ha tramandato ben altre vicende, un po' troppo lontane dal principio di libertà.

 

Esisteva per esempio il divieto, emesso dai signori delle Tre Leghe, che proibiva alle autorità ecclesiastiche forestiere di venire in Valtellina; tuttavia, almeno in tre casi ci sono state delle visite pastorali: la prima nel 1579 vedeva giungere in valle il vescovo di Vercelli e visitatore apostolico di Como Giovan Francesco Bonomini; una seconda, l'anno successivo, da parte di San Carlo Borromeo e la terza, nove anni dopo, quando era giunto tra le nostre località il vescovo di Como Feliciano Ninguarda, che proprio in quell'occasione aveva nominato la chiesa di San Martino, in Tirano, parrocchia, stabilendo così un primo distacco dall'arcipretura di Villa di Tirano.

 

Ma concentriamo la nostra attenzione sulla visita, breve ma intensa, di San Carlo Borromeo. A Tirano, nel cuore del centro storico, vi è una via a lui dedicata, così come nello stesso luogo, nel cuore di palazzo Salis, troviamo la chiesetta intitolata al Santo. Sulla bella facciata di palazzo Torelli possiamo ammirare, seppur stinto, un affresco di Antonio Caimi che raffigura la visita si San Carlo.

 

Molti testi di storia locale raccontano brevemente questo straordinario evento; recentemente, però, ho trovato un articolo dettagliato che narra dei particolari molto interessanti in merito.

 

Verso la fine di agosto del 1580, il Borromeo si trovava in visita come delegato apostolico in alta Valcamonica; ben sapendo dei famosi divieti, aveva preso la decisione di raggiungere Madonna di Tirano per far visita al nostro santuario.

Scendendo da Aprica era giunto a Stazzona, da qui, attraverso Villa e la località Ragno, con passo deciso era arrivato al cospetto della nostra Madonna.

 

Le genti di quei luoghi accorrevano al suo passaggio e lui si fermava ad insegnare loro “ le cose della nostra fede e della dottrina cristiana”. Il popolo di Tirano lo attendeva con grande euforia e si dice che tutti gli erano andati incontro con entusiasmo, sia cattolici che protestanti. I primi erano desiderosi di parole di incoraggiamento e di speranza, e gli altri si presentavano dinnanzi al Santo spinti da grande curiosità.

 

Davanti a questo folto gruppo di persone vi era il nobile Bernardo Lambertengo, uomo molto cattolico e pio; egli, inginocchiandosi al cospetto del Borromeo, ne chiese umilmente la benedizione ed ancor prima di giungere in santuario “ lo pregò a favorirlo d'alloggiare con esso lui, o almeno andarvi a desinare la mattina seguente”.

 

Di questo invito si può dedurre che fosse spontaneo e generoso, ma anche un po' interessato; il nobile Lambertengo era infatti una tra le personalità più in vista di quella terra e, sicuramente, se San Carlo Borromeo fosse andato ad alloggiare nella sua casa ne avrebbe aumentato la sua reputazione.

 

Sta di fatto che il visitatore apostolico aveva declinato l'invito del buon uomo asserendo, con una certa risolutezza, che avrebbe preferito restare nelle case della chiesa.

A quel punto il Lambertengo si era sentito profondamente ferito nel suo orgoglio e ne sentì tanto cordoglio che piangeva dirottamente dicendo che aspettava qualche grande disgrazia, non essendo degna la casa sua d'essere benedetta con la presenza di lui”.

 

Ma la vicenda tra il Borromeo e il Lambertengo non si era del tutto conclusa con il piagnisteo di quest'ultimo, più avanti vi dirò il perché.

Essendo questa visita storica, e avvenuta in un momento molto delicato, desidero approfondirne qualche particolare in più.

 

Era la sera del 27 agosto, una sera che viene descritta come "chiara", quando il corteo giungeva sulla piazza gremita di folla.

Il santuario, nitido e pulito, fresco di marmi, era pronto ad accogliere il principe della chiesa nel più solenne dei modi. Dopo le solenni funzioni “ il Santo stette in oratione buona parte della notte, avanti alla miracolosa immagine di Maria Vergine, senza hauer riposo alcuno dopo sì lunga e faticosa strada”.

 

Nel frattempo, alle prime luci del mattino di domenica 28 agosto, festa di Sant'Agostino, la chiesa e la piazza si erano affollate in quanto non solo i tiranesi erano accorsi ad ascoltare il Santo, ma anche le popolazioni delle zone vicine.

Dopo la lettura del Vangelo Borromeo predicò in pergamo con la mitra in capo e cosa che rese molta ammirazione a quel popolo, che non hauer mai visto altro Cardinale far quella funtione”.

 

Ma la visita del Cardinal Borromeo come era stata vista dai governati Grigioni?

Assieme alla folla e sempre di buon mattino era giunto al cospetto del Santo anche il Podestà di Tirano per portare ufficialmente l'ossequio della comunità e dei pubblici poteri.

A quel punto, sbrigati i convenevoli pubblici, il Podestà aveva chiesto al Cardinale un'udienza privata; quest'ultimo, pur con una certa titubanza, in quanto il governate locale era “eretico”, aveva deciso di riceverlo.

 

All'inizio il colloquio si era svolto nella normalità protocollare: i soliti complimenti, il saluto suo della valle e a nome dei Signori Governanti (ovviamente il tutto appariva in netto contrasto con la realtà delle cose, in quanto era fin troppo chiaro che la visita del Cardinale era seguita con molta diffidenza dal potere politico).

 

Durante il colloquio il Podestà, però, era rimasto affascinato dalla personalità del Borromeo, e così, per dirla con un termine che mal si presta in questo contesto, aveva deciso “ di vuotare il sacco della sua coscienza e aprire il suo cuore”.

Prendendo il disparte il Cardinale gli aveva manifestato dei particolari che forse nemmeno lo stesso alto prelato pensava di sentirsi dire.

Il Podestà aveva asserito che conosceva benissimo il suo mal stato e che desiderava ritornare alla Santa fede cattolica, e l'avrebbe fatto pure presto. Tuttavia egli aveva una carica importante ed era trattenuto dal “rispetto delli Signori”.

 

Forse, se ci pensiamo bene, il termine rispetto non calza proprio a pennello; possiamo considerare una sorta di dramma umano da una parte il richiamo di una fede che ritiene vera e dall'altra, non il rispetto, ma un altro sentimento.

Non avrà avuto paura quel Podestà di compromettere la sua carriera dicendo apertamente di non credere nelle idee religiose dei suoi superiori?

Non avrà avuto paura di dover avuto affrontare il potere costituito? Evidentemente sì, in quanto una simile decisione presa in quell'epoca così convulsa avrebbe necessitato di una buona dose di coraggio, ma egli si rivelava invece timoroso, debole ed indeciso sulla sua umanità.

 

A quel punto, prima di congedarsi, il Cardinale gli aveva dato un consiglio conciso, chiaro e saggio: “Laudato assai il suo buon pensiero, l'essortò effettuarlo quanto prima e mentre hauea tempo tempo, senza alcun riguardo di altri”.

Concluse dunque le celebrazioni e la visita con il Podestà, il buon Santo non si era scordato nemmeno di quel Lambertengo, pranzando da lui.

Ivan Bormolini

 

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FONTI:

“ IL TIRANESE n° 5, gennaio, febbraio, marzo 1977, Cooperativa Editrice Tiranese, stampa Tipografia Bonazzi Sondrio. Tratto dall'articolo di Dante Tozzi “Visita di S. Carlo in Valcamonica e in Valtellina” pag da 49 a 56.

“ STORIA DI VALTELLINA E VALCHIAVENNA” di Dario Benetti e Massimo Giudetti, pag 96/97, finito di stampare nel novembre 1998 da Polaris srl, Sondrio.

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