MENU

I due rabdomanti che trovarono una sorgente di vino

CULTURA E SPETTACOLO - 29 01 2024 - Ezio (Méngu)

CONDIVIDI

/Il “cantinìn” sotto i prati di Ronco
Il “cantinìn” sotto i prati di Ronco

Tra qualche mese ci saranno le elezioni per la carica prestigiosa di Sindaco di Tirano. Orbene non me ne voglia nessuno dei pretendenti, ma il mio voto lo darò solo a chi conosce tutte le tradizioni e le storie di Tirano e soprattutto chi conosce il nostro dialetto o perlomeno lo capisce.

 

Inutile che mi mettano “giù ‘l pot “ ( broncio ) quando incontro certa gente per strada, ma devono capire che Tirano ha la sua “anima” pregna di storia, di vicissitudini, di speranze,  di delusioni e tutte queste cose sono racchiuse nella storia delle nostre contrade, nella nostra campagna, nei nostri monti . Sono storie preziose che contengono verità che brillano come diamanti alla luce della luna. Come si può dare la chiave della porta dell’ufficio in Comune del “ sciur Sindack “ per poi sedersi su quella sedia dal sedile piena di spilli  se non si conosce per filo e per segno il passato del nostro territorio ?

 

I pretendenti sindaci, anche se sanno scrivere la teoria della relatività generale di Einstein su un pacchetto di sigarette, o se macinano la meccanica quantistica come masticare fagioli cotti , ma hanno dimenticato le tradizioni e specie i nostri “ scutüm “ di famiglia non li sento idonei a quella carica pubblica. .

Un esempio banale: tiranese doc è uno che quando sente dire  lo scutüm “ galèt “sa a chi si riferisce.

 

Ora per non far torto a nessuno, narrerò una storia “ véra e verénta “   che gli aspiranti sindaci dovrebbero aver già nel loro bagaglio culturale e se non lo hanno  potrebbero essere declassati a “ survegnüü”.   

 

Era l’anno 1952  e il luogo è Ronco . Mia nonna per avere quel poco di acqua per far da mangiare, mi mandava “al funtanin” ( sorgente ) della Valle della Ganda con il brentino da dieci  litri in spalla. Andata e ritorno erano quasi due chilometri e io arrivavo in baita sudato e tenevo il broncio alla nonna per almeno due ore. Della mia fatica lo seppe il boscaiolo Michele e un giorno disse alla nonna  : “Verginia, non stroncare tuo nipote dalla fatica. Da militare ho conosciuto due bravi rabdomanti, di quelli che con la bacchetta in mano e con il pendolino scoprono le sorgive d’acqua nella Pianura Padana. Quei due non hanno mai fallito una volta: ogni colpo una sorgiva d’acqua ! “. La nonna gli disse: “ Falli venire a Ronco ! “. A inizio giugno del ’52 giunsero con il treno alla stazione di Tirano. Io e mia nonna li accompagnammo a Ronco e la nonna disse: “ Girate tra i boschi, i miei  prati, la mia costa soliva sono a vostra disposizione, trovatemi una sorgiva d’acqua e vi ricompenserò a dovere. Potete, se volete, dormire nel fienile. Io ho da fare a Tirano, ma se avete novità fatemelo sapere”.

 

I due si misero al lavoro il giorno dopo con la loro bacchetta e un pendolino di ricerca acqua   e dopo alcune ore ecco il gran sussultare della bacchetta. Il loro pendolino oscillava come un turibolo e sembrava fumasse. La loro attrezzatura si era messa a vibrare all’impazzata sulla costa soliva del prato poco distante dal crocefisso, poco sotto la mulattiera. Segno che sotto il prato e alla profondità di pochi metri doveva trovarsi dell’acqua o perlomeno del liquido, del petrolio sarebbe stato un caso raro.

 

Lì sotto c’era il liquido sperato. Trassero dai loro zaini una specie di trivella simile ad un cavatappi ma lungo più di un metro. Lo stelo era fatto in modo che si potessero aggiungere altri pezzi lunghi più di due metri. Non so spiegarvi come fecero tutta la trivellazione manuale che durò due ore, ma dopo due metri buoni lo stelo della trivella affondò di colpo con un secco battito. I due estrassero la trivella del buco e annusarono.

 

Uno disse. “ che frescura, che profumo, abbiamo trovato una vena d’acqua antica da frana paleolitica”. L’altro estrasse un tubo di plastica dallo zaino, lo infilò nel foro, poi con arte aspirò l’aria da sembrare il suo corpo una sardina e di botto il rabdomante si riempì la bocca di vino.  

Come un sommelier lo vece ballare in bocca, poi bevve. Miracolo disse: è una vena di vino di antiche viti paleolitiche sepolte e subito passò la canna al compagno che per ben sette volte fece la stessa manovra.

 

Si guardarono in faccia stupiti e corsero verso il crocefisso della Seconda Croce. Si inginocchiarono e gridarono al prodigio però senza farsi troppo sentire dalla gente che passava. Non sto a raccontarvi l’estrazione del vino con il tubo di gomma dal buco della vena “ paleolitica “,  ma i “ viciurin “ che passavano con le “priale” sulla mulattiera li sentirono  cantare per cinque giorni sdraiati come “ Neroni “ e con il tubo di gomma in mano.  

 

Passato la settimana io e mio nonna siamo tornati a Ronco per aggiornarci sul lavoro dei due rabdomanti padani che non si erano più fatti sentire.  Li abbiamo visti sul prato distesi che cantavano: la bella Gigugin . Uno aveva ancora il tubo in bocca, mentre l’altro disse a mia nonna biascicando: “ In tanti anni di esperienza, mai abbiamo trovato una sorgiva di vino così buono “. Mia nonna si guardò intorno, sentì il loro alito che profumava di vino . Capì il misfatto   e lanciò un urlo. I due avevano trivellato il prato proprio sopra dove c’era il “ cantinin  “ con dentro la botte di vino del “ mazzacavàl “.

 

Dallo tasca trasse la chiave del “ cantinìn “ , entrò e vide il tubo di plastica che entrava nella  botte da 50 litri. . La nonna la scosse. Era quasi vuota, Diede uno strappo al tubo che penzolava dalla volta del “ cantinin “  e il rabdomante sul prato che aveva ancora in mano il tubo di plastica si trovò con la mano vuota.

 

Tralascio gli improperi di mia nonna verso quei due “ rabdomanti “ ai quali fece poi pagare i cinquanta litri di vino del “ mazzacavàl “ e anche l’alloggio nel fienile per i cinque giorni. La cosa poi si seppe per tutti gli alpeggi della montagna di Trivigno. Ci furono risate così potenti che alcuni si bagnarono le mutande. Uno si sganasciò  e poi fu chiamato “ sganasìn “ poiché ogni volta che pensava all’accaduto “ ‘l grignàva de per lüü “ e i due   “ rabdomanti “ della Padania furono costretti ad andarsene da Tirano alla chetichella, ma contenti perché avevano trascorso cinque giorni d’incanto all’alpe di Ronco.

 

Di sorgenti d’acqua a Ronco ancora non se ne parla, ma l’acqua ora c’è poiché giunge a Ronco con l’acquedotto dell’Alpe Canali, ma “ il prodigio “ dei due rabdomanti fece capire al Sindaco che a Ronco doveva essere portata l’acqua, comodità mai finita per un alpeggio così bello.

 

Ezio (Méngu)

LASCIA UN COMMENTO:

DEVI ESSERE REGISTRATO PER POTER COMMENTARE LA NOTIZIA! EFFETTUA IL LOGIN O REGISTRATI.

0 COMMENTI