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Un brindisi di ringraziamento al Signore della Seconda Croce

CRONACA - 17 08 2023 - Ezio (Méngu)

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/Il Signore della seconda Croce di Ronco
Il Signore della seconda Croce di Ronco

Pochi ricordano la storia del Crocefisso della Seconda Croce di Ronco. Il Crocefisso fui costruito durante la grande guerra del 1915-1918, al tempo in cui i soldati erano di guarnigione al forte Sertoli e avevano la loro caserma all’alpe Piscina. Il Crocefisso ha una struttura essenziale. Ha la piantana centrale in ferro angolare, per intenderci, un pezzo di quel profilati metallici usati per formare con i reticolati lo sbarramento dagli assalti del nemico nelle trincee ed ha il tettuccio in lamiera, probabile recupero di opere militari di allora. Sulla lamiera potete ancora leggere le firma e data di soldati di allora e anche i nomi di alcuni “ burelée “ ( boscaioli ) dei nostri alpeggi. Il Cristo in metallo, di recente fattura, è inchiodato su una croce in legno vecchio.   

 

Sulle nostre mulattiere si usava costruire Crocefissi e Santelle, in particolare nei luoghi dove la fatica e i pericoli per i contadini erano reali quando scendevano a valle con il “ broz”  ( carro con due ruote ) e la “ priala” ( carro carico di fieno o legnami ) . Il Signore e i Santi erano spesso invocati dai boscaioli, con espressioni a volte bonarie ma a volte anche “ forti “ al fine di aver la Grazia di portare a casa il carico e il cavallo salvi e anche se stessi.

 

 A Ronco c’era una baita, con un locale ad uso cucina, una piccola stanza ad uso dormitorio e sotto la stalla. Chi saliva per la mulattiera a piedi o con il cavallo, di solito portava un grosso zaino carico di cibo a masserizie per la baita di montagna e dopo un saluto al Signore della Prima Croce, si arrivava sudati e a volte accompagnati da una aureola di tafani a Ronco dove c’era l’osteria della Virginia. Nulla di eccezionale se non due tavoli grandi di legno con alcune panche, un “cantinino” dove si tenevano al fresco birre, gazzose e vini e la cortesia della donna che sapeva tutto di tutti, comprese le mille storie di quel pezzo di montagna.

 

Un giorno la “ sciura “ Virginia di Ronco  “ che poi era mia nonna mi raccontò  un fatto che lei ritenne d’essere un  aiuto  o forse un prodigio del Signore della Seconda Croce. Era la fine del mese di settembre del 1944, la nonna aveva aperto la sua osteria i prima di maggio, e oltre al suo normale lavoro di distribuzione di bibite e calici di vino a coloro che si fermavano per prendere fiato o per fare quattro chiacchere “ conduceva “ anche una stalla con un maiale, una decina di galline, e alcuni conigli. Tutte bestie ben tenute, poiché al mattino mia nonna apriva la stalla, mandava al pascolo galline e conigli nei recinti dei prati presso la baita e il maiale era un fior fiore di ormai 180 kg alimentato con tutti gli avanzi del giorno e di quelli che si fermavano a mangiare un boccone e a bere alcuni calici di rosso. Insomma, in stalla vi erano bestie che a fine stagione sarebbero state portate a Tirano e pronte per essere godute.

 

Così raccontò la nonna: “Verso le tre del pomeriggio si era formato sulla mulattiera una “ colonna “ di cinque “priale” cariche di fieno. Era successo che un “viciurìn” ( conducente di carri di fieno e legname )  si era fermato a bere il solito calicino di rosso e per “ tirare “  poderose manate del gioco delle “ morra “sui tavoloni . A mala pena riuscivo a servire i cinque scalmanati, poiché se avessero avuto la gola secca e il calice vuoto avrei sentito nominare Santi e Madonne.

Fortuna che la Croce del Signore era stata posata a circa 100 metri più a monte della osteria, per fare in modo che il Signore non potesse sentire quello che i “viciurìn” dicevano durante le partite a carte o al gioco della morra. Quei momenti erano un chiamarsi per soprannome con il titoli onorifici e di cultura che non si possono dire.  

 

Si erano fermati alle 3 del pomeriggio e verso le quattro in fondo alla Valposchiavo e sui monti del Bernina si fece scuro, d’un nero, come diceva lo Stefano, come ‘” ‘na sciòta “ ( sterco di mucca ) e alcuni lampi balenavano tra le montagne. Michele gridò agli amici “ tanquìi , l’àqua Pusciavìna la bàgna mìga la Valtulina “ ( tranquilli, l’acqua Poschiavina non bagna la Valtellina). Così continuarono a giocare alla morra mentre i loro cavalli con le loro “priale” di fieno formavano una colonna fin su al Crocefisso della seconda croce. La colonna era normale, poiché , ferma la prima “ priala “ ,anche chi veniva dopo doveva fermarsi in quella “bruzzera” ( mulattiera ). Non c’era la corsia di sorpasso e fin che il primo non si muoveva gli altri erano fermi. I cavalli scodinzolavano scacciando i tafani, e  tranquilli più dei loro padroni  mangiavano dal sacco di fieno.

 

In meno che non si dica si alzò un ventaccio da spaccare alcuni rami dei tigli del piazzale, rovesciare bicchieri, bottiglioni mezzo vuoti. Non il tempo di dire “ amen”  che oltre alla bufera arrivò una pioggia   da buttare giù brente di acqua al minuto. Aprìi la porta della baita, e feci entrare tutti, tranne il Michele che andò a ricuperare il cappello nel bosco a dopo alcuni secondi arrivò “slùz “( fradicio ) da strizzare la camicia.

 

La baita ( osteria ) aveva il tetto in lamiera e il ferro attira i fulmini. Per una decina di minuti sì è scatenato il finimondo da far tremare i tavoli della cucina. L’ acqua scorreva sulla mulattiera come fosse un torrente, i fulmini e tuoni facevano rimbombare il tetto come un tamburo, mentre Michelino se ne stava zitto- zitto a causa della sua “ ravanada “ ( stupidaggine )  per aver detto che l’acqua della Valle Poschiavina non avrebbe mai bagnato la Valtellina.

 

Tutti erano in pensiero per i loro cavalli, ma bisognava aspettare che il finimondo finisse. D’un tratto una saetta di quelle a sette rami come i candelabri degli ebrei colpì il tetto di lamiera della baita.  Fu un colpo di frusta come quello di un tappeto sbattuto dalla forza della Rosina. Dalla spina metallica del lavandino della acqua piovana della cucina uscì una lingua di fuoco. La lingua proseguì sul pavimento in pietra e si ramificò in scintille sui chiodi degli scarponi di Michele che sembrò prendere per un attimo il “ delirio tremèns “, mentre gli altri rimasero ammutoliti per alcuni secondi.

 

L’unica che ebbe il coraggio di dire qualcosa in quei momenti fui io e dissi : “ vergün de vòtri ‘l gà de èss cagàa adòs per via déla spüzza che  senti “ ( qualcuno di voi deve essersela fatta adosso a giudicare della puza che si sente “). Non una risposta se non dopo alcuni secondi quando uno di loro disse  “ por i nòs cavai i saràa restàa sèch “( poveri nostri cavalli, saranno morti ). Corsi in stalla per vedere se il maiale era ancora vivo. Miracolo ! I cavalli erano un poco agitati ma sani e salvi, ma a lato strada c’era un larice fumante. Un ramo del fulmine l’aveva scortecciato e la sua ferita fumante pareva un serpente che l’avvolgeva dall’alto in basso. In stalla le bestie erano tranquille come tre lire.

 

I viciurìm dissero “ lè ‘ndàcia bèe “ ( è andata bene ). Raggiunsi i “ viciurìn “ che stavano accarezzando le loro bestie e dissi : l’è tütt a post ? “  ( è tutto a posto ? ) Stefano rispose “ al par de sì “ ( sembra di sì ) . Li guardai bene in faccia e vidi che avevano perso parte della loro consueta favella. Dissi: “ e adèss cùsa duìì fa ? “ ( ora che cosa dovete fare ? ) ‘ “ Michele risponde: “ ‘n sa ‘nvia giù par Tiràn cùn  li nòsi priali “ ( ci avviamo per Tirano con le nostre priale )  .

 

Risposi :” svergugnàa che sìi mìga d’òtru, sìi bun gnàa de ringrazià il Signur della segunda Crus che  ‘l và salvàa i cavài e la pél, fasìi almenu sègn dè la Crus che lè ilò derèe de viòtri che ‘l va vàrda ) “ ( vergognatevi , non siete nemmeno capaci di ringraziare il Signore della Seconda Croce che vi ha salvato i cavalli e la vostra pelle, fategli almeno un segno di Croce  che è dietro a voi che vi guarda ). Per un attimo si fece silenzio, poi io feci il segno di Croce e tutti e cinque seguirono l’esempio. Poi dissi: Matèi,  adès fasùm ‘n brindisi de ringraziamént al Signur , staòlta paghi  mi ‘l calisin “  ( ragazzi , ora facciamo un brindisi per ringraziamento al Signore , questa volta offro io il calicino ).

 

Non si fecero pregare due volte e poi si avviarono lungo la mulattiera con le loro “priale” verso Tirano per raccontare alle loro mogli cosa era successo in quel di Ronco e anche il prodigio che aveva fatto il Signore della seconda Croce.”  

 

Ezio  (Méngu)

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