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Pietro Ramus e l'ancona di Grosotto

CULTURA E SPETTACOLO - 15 12 2022 - Ivan Bormolini

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/L'ALTARE DEL RAMUS NEL SANTUARIO DI GROSOTTO
L'ALTARE DEL RAMUS NEL SANTUARIO DI GROSOTTO

(Di I. Bormolini) Come avevo ricordato due settimane fa nella precedente parte di questa mia ricerca inerente ai Del Majno, che avevano operato nel santuario di Grosotto e in quello di Madonna di Tirano, anche Pietro Ramus era stato attivo nel santuario della Madonna delle Grazie e nella nostra chiesa parrocchiale di San Martino in Tirano.

Ramus era nato a Osanna ( Trento ) il 7 gennaio 1638, era figlio di Giovanni Battista, scultore originario di Mù ( Edolo ) e di Barbara, sposata da Giovanni Battista nel 1629. Pietro era il terzo dei cinque figli avuti dalla coppia.

Pietro Ramus, trasferitosi poco più che ventenne a Mù, aveva lavorato in diverse chiese locali: nel 1664 aveva intagliato l'ancona dell'altare maggiore della chiesa di Tiolo, l'anno successivo quella della Vernuga di Grosio e come vedremo più avanti, oltre ad essere stato impegnato nel santuario di Grosotto, era stato attivo anche a Tirano tra il 1668 e il 1672 per la realizzazione del “tabernacolo” ligneo purtroppo andato per sempre perduto. Ramus aveva operato anche in altre chiese della zona e moriva a Grosotto all'età di soli 44 anni il 4 maggio 1682.

L'ancona del santuario di Grosotto si può definire come un'opera spettacolare e grandiosa, una composizione barocca ben ricca di elementi decorativi e sfolgorante di colori e dorature.

Il contratto per la realizzazione era stato stipulato tra i canepari del santuario e lo stesso artista ( Sig.r Pietro architetto et capo mastro ), in data 29 ottobre 1672. Il documento in questione, a firma del notaio Giovan Antonio Robustelli, prevedeva importanti clausole inerenti al recupero dei materiali da utilizzare, ai pagamenti ed altro.

Si sanciva inoltre che se il Ramus avesse avuto bisogno di operai doveva sceglierli “ se saranno idonei et sufficienti et di suo gusto per tal opera”, tra i paesani, cioè tra i residenti di Grosotto.

In effetti Ramus aveva avuto bisogno di aiuti per portare a termine il capolavoro ligneo e lo si evince dalle note descrittive dell'opera.

 

LA DATAZIONE DELL'ANCONA DEL SANTUARIO: l'opera come scritto nel contratto era stata cominciata nel 1673 “iniziata nelle Calende d'Aprile prossime venture 1673”,e doveva proseguire come si evince dal documento notarile “senza interpolatione alcuna”.

Il certosino lavoro del Ramus, avente un'altezza di cm. 1080 ed una larghezza di cm. 860, era stato concluso nel 1680. Successive sono invece le opere di doratura e coloritura eseguite da Giovan Pietro e Pietro Antonio Fogaroli, padre e figlio di Bormio tra il 1684 e il 1693.

 

PIETRO RAMUS MUSICISTA: tralascio qui l'intera descrizione dell'ancona del santuario della Beata Vergine delle Grazie, seppur nei suoi tre ordini meriterebbe ampie citazioni che mostrano la bravura e la finezza del Ramus. Voglio però citare un fatto inerente alla presenza abbondante e straordinaria di svariati strumenti musicali e tutti raffigurati con minuziosa precisione, questi risultano essere un importante documento che certifica l'abilità di Pietro Ramus anche come musicista.

Scriveva infatti il Quadrio “Sapeva egli sonare d'ogni fatta di strumento con meravigliosa perizia.....”

Sempre Quadrio citando la figlia di Pietro Ramus, Barbara, nata dal matrimonio con Giulia Appolonio di Edolo, la descriveva come amante della musica e meravigliosa suonatrice.

E forse era stata proprio la giovane, nata nel 1662 figlia Barbara e che portava il nome della nonna materna, ad essere ispiratrice del padre nella raffigurazione della “leggiadra di Santa Cecilia” intenta a suonare l'organo che ben appare nell'ordine mediano della meravigliosa ancona.

Ci ritroveremo domani per parlare dell'opera di Pietro Ramus a Tirano.

 

FONTE: IL SANTUARIO DELLA MADONNA DELLE GRAZIE DI GROSOTTO. AUTORE: GRAZIANO ROBUSTELLINI. STAMPA: Tecnografica- Lomazzo ( Co ). Dalle pagine 91,92 e 194.

L'immagine di copertina è tratta dalla stessa fonte. Pagina 90, fotografia di Andrea Basci.

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