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Maurizio Folini, il noto pilota di elicottero valtellinese sull’Everest

SPORT E TEMPO LIBERO - 14 06 2018 - Silvio Mevio

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/Maurizio Folini

In Nepal - da sette anni - per portare soccorso e per “insegnare” le tecniche di elisoccorso.

 

Maurizio Folini: il noto pilota di elicottero valtellinese in “aiuto” … agli alpinisti sull’Everest!

 

Anche quest’anno (2018) la guida alpina e pilota di elicottero di Chiuro sulla montagna più alta della terra – Everest (8848 metri) - per un periodo di “collaborazione” con una nota compagnia di elicotteri (Kailash) con sede a Lukla!

 

Chiuro (Sondrio) – Abbiamo avvicinato il noto pilota di elicottero valtellinese, Maurizio Folini di Chiuro, al suo rientro (fine maggio 2018) dal Nepal dove - per il settimo anno consecutivo - ha svolto un periodo di alcune settimane in veste di pilota di elicottero (elisoccorso) con la nuova compagnia nepalese “Kailash”.

 

Maurizio, ciao! Raccontaci questa meravigliosa avventura, oramai diventata una “consuetudine”.

<<Come sottolineato in precedenza, questo è il mio settimo anno “in missione” in Nepal; quest’anno sono diventato “parte integrante” di una nuova compagnia di elicotteri (un gruppo di amici che si sono staccati da un’azienda storica nepalese e mi hanno chiesto di fare parte di questo nuovo e dinamico gruppo) con sede a Lukla, ovvero la Kailash Helicopter Nepal! La stessa azienda ha acquistato un AS 350 B3 (Ecoureil) di ultimissima generazione per i soccorsi “in alta quota” (fino a 7000 metri) e un altro elicottero AD 350 b2 per i voli da Lukla a Kathmandu, oltre ad altre località per quote fino 5000 metri. Dopo le solite pratiche burocratiche per ottenere la convalida della mia licenza di volo, ho subito iniziato a operare nella zona dell’Everest! Attualmente esistono 27 elicotteri in Nepal ed 8 aziende di elicotteri. Quest’anno - attraverso la Kailash Helicopter Nepal - sono riuscito ad eseguire un “discreto” numero di interventi e in particolare di elisoccorso sull’Everest (una cinquantina e suddivisi tra i campi 1, 2 e 3); inoltre, abbiamo fatto anche altri “elisoccorso” al Makalu, al Dhaulagiri e all’Annapurna>>.

 

Come si sono svolti questi impegnativi e soprattutto particolari interventi di elisoccorso in “alta quota”, ovvero spesso oltre i 6000/7000 metri?

<< Molti di questi interventi sono stati eseguiti con la tecnica della “longline” (una corda/cavo “speciale” - lunga una ventina di metri - agganciata alla pancia dell’elicottero), con l’aiuto di sherpa (guide alpine nepalesi) specializzati in elisoccorso; la maggior parte di questi soccorsi li ho fatti insieme allo sherpa nepalese Lakpa Nurbu (tra l’altro istruttore per i corsi di formazione che da alcuni anni tengo proprio in Nepal per “formare” tecnici di elisoccorso in loco). Da questo anno (2018) – con le nuove normative - tutti i voli di elisoccorso dovevano essere autorizzati singolarmente da parte della aviazione civile locale e dopo il recupero, i “pazienti” dovevano “essere visitati” dal personale medico della H.R.A. (Himalayan Rescue Association) che opera - durante la stagione alpinistica - al campo base dell’Everest e successivamente – a discrezione dello stesso personale - portati in ospedale oppure in altre strutture mediche come ad esempio a Lukla. Questa procedura era necessaria per attestare - da parte del medico – la necessità dell’utilizzo/impiego dell’elicottero e perciò il “nulla osta” da fornire alle assicurazioni per il “saldo” dell’intervento effettuato oppure per “ottimizzare” gli stessi interventi; infatti, in alcuni casi, i “pazienti” non necessitano del ricovero e del trasporto in elicottero  presso un ospedale a Kathmandu, ma era sufficiente “fermarsi” presso una struttura come lo stesso ospedale di Lukla e in un secondo momento “trasportare” il paziente da Lukla a Kathmandu in aereo>>.

Da notizie apparse recentemente sui “media - website” internazionali abbiamo appreso che la stagione “alpinistica” in Himalya (in particolare sull’Everest) quest’anno (2018) è stata veramente importante; ci puoi raccontare qualcosa a riguardo?

<<Quest’anno - in totale - dal Nepal e dalla Cina sono salite (in cima all’Everest) circa 720 persone; questo soprattutto dovuto anche alle ottime condizioni della neve (poco ghiaccio) sulla montagna e dell’ottima “finestra di bel tempo” che si è protratta - praticamente – e con assenza di vento per 11 giorni consecutivi​; tante – inoltre - sono state anche le salite alle vette in prossimità del vicino Lothse e con molta probabilità per gli stessi motivi. Nessuno – quest’anno - è salito in cima all’Everest senza l’utilizzo delle bombole di ossigeno; vorrei sottolineare - a tale proposito - che due nostri bravi e preparati alpinisti italiani - Francois Cazzanelli e Marco Camandona - hanno salito senza l’utilizzo di bombole di ossigeno il Lothse (23 maggio 2018), mentre il tedesco Thomas Leammle - anche lui senza ossigeno - è arrivato in cima al Makalu il 13 maggio e in cima al Lothse il 22 maggio. A loro vanno i miei complimenti! Negli ultimi anni le agenzie che organizzano queste spedizioni commerciali sono per la maggior parte nepalesi ed alcune ingaggiano sherpa con il diploma di guida alpina U.I.A.G.M. Sono sempre in crescita il numero di sherpa con una buona preparazione alpinistica ed in particolare alcuni seguono lo schema americano e altre quello di guide della stessa U.I.A.G.M. In questo campo esiste una continua richiesta di organizzare corsi di formazione>>.

 

Maurizio ci puoi descrivere - molto sinteticamente – quali compiti hanno gli “sherpa” durante una spedizione commerciale?

<<I compiti – per riuscire a “scalare” il colosso himalayano, ovvero l’Everest - sono divisi per quanto riguarda gli sherpa in questo modo: ci sono sherpa che rimangono al campo base per le mansioni principali come la cucina oppure altri servizi; poi ci sono quelli che portano i materiali occorrenti ai campi alti e sono responsabili per la logistica. Inoltre, esistono i "climbing sherpa" che sono quelli che “accompagnano” i clienti sulla cima … un po’ come avviene sulle nostre Alpi! Per la parte della “Icefall” (zona - parte di ghiacciaio che collega il campo base dell’Everest con i campi superiori) ci sono gli “icefall doctor’s”: sono insomma i “responsabili” che dichiarano - ufficialmente - aperta o chiusa la “pista” di collegamento tra le due zone (un “tramite” questo molto pericoloso che - senza il loro intervento di “attrezzamento” della stesse – non potrebbe essere superato; infatti, sono presenti degli enormi crepacci che senza l’utilizzo di corde fisse e scale sarebbe quasi impossibile e/o molto rischioso superare e quindi attraversare durante il periodo di scalata. Anche per il fissaggio delle corde fisse sulla parte superiore vengono creati dei team di sherpa i quali salgono per primi e fissano e/o rimpiazzano le stesse corde sulla parte più esposta della montagna>>.

 

Purtroppo abbiamo appreso dalla “stampa specializzata” che quest’anno, oltre alla conquista dell’Everest da parte di parecchi alpinisti, è stato anche “tragico” per alcuni alpinisti e soprattutto guide alpine locali (sherpa); ci puoi raccontare qualcosa a riguardo?

<<In questa stagione alpinistica (maggio 2018) purtroppo ci sono stati 6 decessi (in particolare sull’Everest - versante nepalese)! Due erano alpinisti di fama mondiale, due erano alpinisti "clienti" e due “sherpa”! Del primo sherpa è stato ritrovato solo lo zaino, fra la cima sud e la cima principale dell’Everest, ma di lui nessuna traccia; si presume sia precipitato/slittato sotto la ripida parete sud/est. Su questo incidente stanno indagando le autorità locali … perché non si capisce il fatto che si sia slegato dalle corde fisse ed abbia abbandonato lo zaino stesso. Il secondo sherpa è deceduto dopo una caduta in un crepaccio al campo 2 (6700 metri) e di questo volevo raccontarvi alcuni dettagli anche perché ho partecipato personalmente al soccorso. In data 21 maggio 2018 sono partito dall’aeroporto di Lukla per un intervento al campo 2; in particolare un alpinista della Malesia - dopo avere raggiunto la cima dell’Everest - aveva subito forti congelamenti alla mano destra e necessitava l’evacuazione con l’intervento dell’elicottero. Circa 10 minuti prima di me, il pilota e collega nepalese decolla anche lui da Lukla per “campo 2” dove doveva recuperare per un alpinista americano con cecità da alta quota. Ci coordiniamo via radio ed essendo lui davanti a me, decido di aspettare ad una distanza di circa 200 metri dal posto stabilito di atterraggio al C2 (vedi foto 1). Osservo che il mio collega nepalese atterra in modo inusuale, mettendo il “naso” dell’elicottero rivolto a valle (normalmente per agevolare il carico dei pazienti sulla sinistra del velivolo … ci mettiamo con il “naso” dello stesso di fronte alle persone; il suo elicottero (vedi foto 2) era “perfettamente” atterrato sopra un crepaccio aperto di una larghezza di un massimo di circa 30 centimetri. Lo sherpa Damai Sarki Sherpa aggira l’elicottero, apre la porta del pilota e mio collega e carica il suo paziente; mentre l’elicottero decolla dal campo 2 … Damai disgraziatamente cade in quel crepaccio. Io, sapendo che due forti alpinisti e guide alpine, ovvero i fratelli Willie e Demian Benegas si trovavano al campo 2 dell’Everest, mando un altro sherpa a chiamarli e ad informarli dell’accaduto. Nel frattempo io “volo” dal campo 2 al campo base per prelevare lo specialista di elisoccorso Lakpa Nurbu Sherpa. Insieme coordiniamo il recupero dal crepaccio che era profondo circa 50 metri. Appena recuperiamo Damai Sherpa, ferito gravemente … ma ancora in vita, decido di provare a portarlo nell’ospedale più vicino. Era oramai quasi sera e le nuvole cominciavano a chiudere il campo 2; a questo punto decido di sorvolare le nuvole – ad una quota di circa 6900 metri - per poi scendere a valle sopra il villaggio di Pheriche, atterrando all’ospedale di Namche Bazar dove un giovane dottore ci aspettava. Con i mezzi e dispositivi medicali e a lui disponibili effettua un ottimo lavoro da vero professionista; nel frattempo ero riuscito a stabilire un collegamento telefonico con un mio amico dottore anestesista che opera in ambito del soccorso alpino locale il quale ha cercato di dare un supporto al suo collega medico nepalese. Dopo la mezzanotte, un messaggio da parte dell’ospedale di Namche Bazar ci comunicava che lo sherpa di cui sopra e guida alpina nepalese e padre di due ragazzi, Damai Sarki Sherpa, purtroppo ci aveva lasciato per sempre! Al mio prossimo viaggio in Nepal farò – sicuramente - visita alla sua famiglia>>.  

 

Siamo alla conclusione di questa bella e proficua “chiacchierata”; nel ringraziarti per la tua disponibilità, sappiamo che hai due sogni nel cassetto: raccontaci quali sono?

<<Personalmente ho due “progetti”, tra l’altro già finanziati da sponsor privati per il prossimo anno (2019); uno è quello di organizzare un corso per sherpa soccorritori (e a tale proposito abbiamo già 12 canditati scelti per questa formazione e l’altro progetto è quello di ripulire i resti dei “campi alti” (che parzialmente – se ben ricordate - erano quelli già allestiti e poi abbandonati dopo il terremoto del 2015). E proprio per questo ultimo “progetto” abbiamo pensato di utilizzare l’elicottero e trasportare i rifiuti fino a Namche Bazar, il villaggio nepalese sud – orientale e posto a 3440 metri ai piedi dell’Himalaya>>.

 

Silvio Mevio

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