MENU

Perché l’imposta di soggiorno è degna di Tafazzi

ECONOMIA E POLITICA - 28 03 2018 - Antonio Stefanini

CONDIVIDI

/tafazzi
Fonte: infosannio.wordpress.com

Nasce come “imposta” di soggiorno, ma nell’Italia dell’approssimazione linguistica (e non solo) diventa subito per i media e i politicari “tassa” di soggiorno. È perciò quasi disperante ricordare la differenza tra i due concetti, ma siccome siamo testardi nell’esigenza morale del discernimento, spendiamo poche parole per ribadire un fatto non formale, ma di sostanza.

 

Tassa è ogni tributo pagato allo Stato o ad altro ente pubblico per la fruizione di un preciso servizio richiesto in forma individuale; impropr., nell'uso comune, tributo che ha natura d'imposta: t. di soggiorno, ecc.”.

Imposta (diretta o indiretta) è un tributo consistente in un prelievo coattivo di ricchezza dal contribuente, volto (in teoria) a finanziare i servizi pubblici generali.

 

Chiarito che un conto è pagare in misura giusta un servizio specifico e altra cosa è vedersi sfilare dal portafogli aliquote spesso cervellotiche o ingiuste (tipo l’IVA sul Turismo, che nell’Europa pretenziosamente Unita è diversa in ogni Stato), cerchiamo di dimostrare che quella di soggiorno è una tassa, oltre che iniqua, controproducente. Da Tafazzi, appunto.

 

Il principio

In un mondo alpino che si contende i turisti a suon di ribassi, la porzione lombarda si trova già fortemente svantaggiata per esser circondata da anacronistiche Regioni a statuto speciale (danni incalcolabili causa dumping istituzionale alla nostra economia), dal pianeta Svizzera (avanti anni luce) e dalla privilegiata enclave, a sua volta decisamente anacronistica, di Livigno.

Se in un contesto turistico-alberghiero esclusivo e d’eccellenza si può tollerare un prelievo pubblico in più ai danni dell’ospite, non altrettanto lecito è fare la cresta in un contesto turistico popolare come mediamente risulta il nostro, dove l’utente fa dei costi una motivazione non secondaria nella scelta della destinazione.

Balza in ogni caso agli occhi che una penalizzazione diretta e troppo scarsamente giustificabile ai danni di chi fa stare in piedi l’economia del tuo territorio sia vissuta come un insulto: “ma come, ti porto i soldi e tu mi fai pagare una tassa per averti preferito?”.

Paradossalmente, una tassa andrebbe fatta pagare a chi va altrove: un bel dazio a carico di quelli che vanno all’estero (o nelle Regioni a statuto speciale), ovviamente a beneficio della Lombardia e magari della Montagna lombarda.

 

Chi la paga?

Ovviamente solo l’utente registrato (con procedura complicata che richiede all’albergatore tempo e risorse) presso le strutture ricettive autorizzate. Ecco la prima iniquità: a godere le bellezze e le strutture di un territorio sono una serie di categorie di visitatori, non solo i clienti d’albergo, residenza o campeggio, gli unici presi di mira. Non sono soggetti alla tassa – infatti – i turisti alloggiati in case private (tantomeno se in affitto abusivo), gli escursionisti diurni o temporanei (categoria tra le più indiziate dell’uso poco rispettoso del territorio), gli ospiti di parcheggi camper fasulli (vere e proprie aree di sosta abusive e incontrollate).

Questo senza considerare l’obbligo di sostituto d’imposta a carico dell’esercente l’ospitalità, che deve riscuotere il balzello per conto dell’ente pubblico e poi versarglielo con procedure che un tempo gridavano vendetta (conteggio e versamento decadale obbligatorio anche di poche lire) e che nel Belpaese dei ludi cartacei e della banda telematica ristretta fa ragionevolmente temere il peggio sempre.

 

A cosa serve?

Gli affamati enti pubblici, in gran parte governati da azzeccagarbugli che col Turismo hanno ben poco a che fare e che non ci hanno in ogni caso a che fare come esercenti l’ospitalità (dato che lavorano sul serio, non hanno tempo per fare gli amministratori), ripetono l’errore concettuale che a livello nazionale compiono i governanti: il Turismo è una vacca da bastonare e mungere.

Come spesso fanno, nelle loro delibere ammantate di formali e ipocriti richiami a criteri di giustizia amministrativa, esibiscono caterve di buone intenzioni, il più possibile però generiche: “miglioramento dell’accoglienza, incremento dei servizi, vin brûlé per tutti gli astemi”. Cose che regolarmente non fanno, a parte la mescita di vino caldo sempre più annacquato. Le erbacce, al contrario, continuano a imperare lungo i cigli delle strade d’ingresso alle montagne da vivere, i rifiuti dei picnic albergano e stagionano nelle piazzole di sosta e tra gli arbusti, le cunette stradali sono orti dove puoi seminare le patate tanto son ricolme di humus, i marciapiedi esibiscono artistiche sconnessioni e cinofile deiezioni, i corsi d’acqua trasmettono a valle ogni bendidio (e quando non ci riescono lo depositano sulle rive), i sentieri che recano ai nostri meravigliosi poggi alpestri sono indicati da cartelli fatti senza criterio da volonterosi o restano labirinti inestricabili, gli alberi seccati a causa del salaccio stazionano funerei a lato strada finché non marciscono, un’officina - un cantiere - una stalla - una fognatura ogni tanto scarica nel rio e fa selezione della troppo copiosa fauna ittica, ...

Tutto questo anche dove la miracolosa tassa è applicata da tempo. Essa serve quindi – nella realtà – a tamponare i deficit maturati a causa dell’insipienza amministrativa o per allattare le straripanti categorie improduttive e mantenere uno stato sociale tanto più esigente quanto più vezzeggiato.

 

Cosa produce?

Vista la sua genericità, la famigerata tafazza non produce alcun miglioramento misurabile. Al contrario, produce contrazione delle presenze turistiche ufficiali, migrazione dei turisti dove non c’è, complicazioni e costi burocratici per le imprese, iniquità di trattamento tra le differenti tipologie di ospiti.

Le imprese alberghiere pagano già e pesantemente imposte e tasse a enti pubblici locali e a quello nazionale e sono oltretutto stremate da una burocrazia che, invece di venire semplificata come vantato dalla generica prosopopea dei politicari, continua anche oggi a peggiorare i suoi effetti perversi, sequestrando gran parte del tempo e delle risorse a chi dovrebbe fare il mestiere dell’ospitalità.

 

La proposta

La Regione Lombardia, appena rinnovata di fresco nei suoi amministratori, con un neo-presidente come Fontana, con un neo-assessore alla Montagna come il valtellinese Sertori e un altro valente montagnino come il camuno Caparini, rivendichi a gran voce dallo Stato centrale la completa autonomia della materia Turismo, con relativa attribuzione di risorse.

Anzi, dia un segno immediato coniando lo slogan

 

Lombardia, il Turismo Tax Free

Lombardy, Tax Free Tourism!

 

Mutuando il principio della Flat Tax, la Regione motore d’Italia potrebbe davvero fare scuola nel settore e – oltre a far fare un balzo alle sue presenze turistiche – essere d’esempio al resto dello Stivale, come le compete.

 

Antonio Stefanini

LASCIA UN COMMENTO:

DEVI ESSERE REGISTRATO PER POTER COMMENTARE LA NOTIZIA! EFFETTUA IL LOGIN O REGISTRATI.

0 COMMENTI