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Migranti: la politica del nuovo governo Conte

ECONOMIA E POLITICA - 12 07 2018 - Sara Gobetti

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Il nuovo governo tecnico Conte, con esecutivo composto da Movimento 5 Stelle e Lega, sembra avere le idee chiare sulle misure da adottare per quanto riguarda il fronte migranti. Principale promotore di tali misure è il ministro dell’Interno Matteo Salvini, segretario federale della Lega, che dal recente caso Acquarius ha esplicitato chiaramente le proprie intenzioni politiche future. Per rinfrescarci la memoria: la nave Acquarius, appartenente alla ong SOS Mediterranèe, trasportava 629 migranti provenienti dalla Libia e lo scorso 10 giugno ha visto negato il permesso dallo stato italiano di approdare in uno dei porti del bel Paese. Rifiutata successivamente anche da Malta, - la quale non è sufficientemente attrezzata per uno sbarco di tali dimensioni - essa è stata accolta nel porto di Valencia, Spagna, dal primo ministro Pedro Sanchez. Matteo Salvini, lanciando l’hashtag #chiudiamoiporti ha così compiuto il primo grande passo politico di quella che è una ferma presa di posizione sulla questione immigrazione, affermando che “Noi non abbiamo mai negato il principio della solidarietà, della generosità.. semplicemente da questa settimana non lo esercitiamo più da soli”.

 

La compagna “ufficiale” e messa per iscritto di tale avvenimento concreto è una lista di dieci punti chiamata European Multilever Stategy for Migration che l’Italia ha proposto al vertice europeo sui migranti di Bruxelles un paio di settimane dopo Acquarius. Tale lista detta la linea da attuarsi in tema migranti, dove il punto più discusso e controverso è quello che auspica il superamento del regolamento di Dublino e del criterio del Paese di primo arrivo. Brevemente, questo significherebbe che non è più responsabilità del Paese dove il migrante approda per la prima volta di esaminare la sua richiesta di asilo e di registrarlo, avvalendosi poi successivamente della responsabilità di gestirlo e proteggerlo. Infatti, secondo Dublino, lo Stato individuato come competente a esaminare la domanda sarà poi anche lo stato in cui la persona dovrà rimanere una volta ottenuta la protezione. Un rifugiato riconosicuto da Italia o Grecia, non è dunque da considerarsi in egual modo un rifugiato per Germania o Francia. Partendo da questa analisi dello stato delle cose, la proposta di Conte sembrerebbe ragionevole, anche se la riforma Dublino IV non sembra essere più favorevole all’Italia rispetto a Dublino III. Sicuramente non lo è per lo stesso leader Matteo Salvini.

 

Come sempre accade in un paese di libero pensiero, mentre alcuni giudicano positivamente questa politica e inneggiano a un tanto desiderato cambiamento sul fronte immigrazione, altri criticano fortemente la scelta del Ministro dell’interno per ragioni etiche ed umanitarie, e ricordano come Lega e 5 Stelle in passato non si interessassero o addirittura avessero votato contro la riforma di Dublino. Per i critici, inoltre, i dati riportati dal premier Conte sarebbero errati poiché non è solo il 7% dei migranti ad essere rifugiati (dunque chi ha “veramente” diritto ad essere protetto), bensì molto di più, se si considerano anche coloro che ricevono uno status di protezione sussidiaria o umanitaria: si stima che siano addirittura il 38% nei primi cinque mesi del 2018. A molti, presentarsi nella sede europea con dati inesatti e imprecisi, non è sembrato un grande inizio.

 

In ogni caso, tra detrattori e sostenitori, si può dire che praticamente nessuna delle proposte italiane a Bruxelle sia stata ritenuta utile o abbastanza valida da essere messa in atto. Al termine del vertice, infatti, il documento firmato da tutti e 28 i paesi membri non accenna ad alcun obbligo di ricollocare i migranti in tutti gli stati secondo il principio “chi sbarca in Italia, sbarca in Europa”. Il Regolamento di Dublino non è uscito dal meeting con alcuna modifica significativa, dunque i migranti dovranno proseguire a richiedere asilo presso i paesi nei quali arrivano via mare, ovvero Spagna, Italia e Grecia.

 

Alcuni potrebbero definirlo un fallimento, altri affermare che almeno “ci hanno provato” e la voce dell’italia è stata portata in Europa tramite il nuovo premier. Ogni elettore legge gli avvenimenti politici attraverso la lente delle proprie convinzioni e dei propri ideali.
In ogni caso, per quanto si possa convenire sul fatto che la politica sull’ immigrazione del governo Conte sia desiderabile o meno, tralasciate le accuse di essere radical chich volte ai personaggi famosi che hanno indossato una maglietta rossa in ricordo delle vittime in questi giorni, e tanti altri tornadi che invadono i social e che spesso lasciano il tempo che trovano, sarebbe interessante rimanere in superficie limitandosi a guardare i dati della situazione migranti riguardanti il nostro paese negli ultimi mesi.
Ciò che è importante sottolineare e che ha anche implicitamente affermato Conte nell’incontro di Bruxelles è che la crisi dei migranti che aveva visto travolgere l’Italia dal 2014 si può dire pressochè finita. Infatti, comparando gli arrivi via mare a giugno 2018 con quelli di giugno 2017, si può notare che ben 80% in meno di migranti approdano sulle nostre coste. Nel giugno 2018 sono arrivate in Italia tremila persone, mentre in tutti gli anni precedenti (dal 2014) arrivavano sulle ventidue/ventitre mila persone. Possiamo dunque affermare che il fenomeno stia vivendo una significativa decrescita e che quindi, se mai sia stato lecito parlare di “invasione” come alcuni facevano e fanno, non sia sicuramente adesso il momento più opportuno; e i partiti che hanno costruito il loro consenso sulla base di questo sentimento popolare dovranno sfoderare altre armi per tenersi stretti i propri elettori.
Un altro aspetto significativo del 2018 è che per la prima volta da quando la crisi è iniziata (2014), la Spagna sta accogliendo più migranti dell’Italia (19.560 contro 16.919). (Fonte: dati Unhcr)

 

Guardando ai dati che si riferiscono alle richieste di asilo, è evidente come la Germania superi di gran lunga l’Italia come paese dove i migranti desiderano vivere e costruire una nuova vita: nel 2017 il 19% dei migranti ha richiesto l’asilo in Italia, contro il 30% in Germania (Eurostat). Ciò può essere spiegato dalle politiche pro-immigrazione di Angela Merkel, e fa pensare che se ci fosse più libertà per i richiedenti e meno chiusura nelle frontiere ad essere contenti risulterebbero in molti.

 

Diverse fonti sostengono che il problema italiano non sia dunque rispetto al flusso di migranti, almeno non più data l’ingente diminuzione dei numeri, ma alla successiva gestione delle persone all’interno delle strutture create dallo stato. Infatti, mentre la domanda di protezione internazionale viene analizzata, in Italia passano circa due o tre anni, durante i quali i rifugiati vengono ospitati nei diversi centri di accoglienza sparsi sul territorio. Dato che il boom degli arrivi è stato negni anni 2015 e 2016, questa realtà è molto attuale e discussa ancora adesso, poiché molti rifugiati stanno ancora aspettando l’esito della loro domanda di asilo. I più diffusi centri di accoglienza sono i cosìddetti CAS – Centri di Accoglienza Straordinaria – i famosi alberghi di cui si è parlato molto. La diffusione degli SPRAR invece –  Sistema ordinario nazionale di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati – non ha avuto il medesimo successo in quanto vengono aperti in accordo con le amministrazioni locali.

 

Per quanto riguarda la nostra realtà provinciale, sono presenti alcuni centri di accoglienza sul territorio Valtellinese. Il sistema di accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati nella nostra provincia dal 2014 è organizzato proprio attraverso i due sistemi sopra citati. Le CAS sono gestite dalla prefettura, che attraverso una convenzione affida alle diverse realtà – cooperative, associazioni, alberghi - la gestione degli arrivi. Tali organizzazioni esprimono una disponibilità volontaria. Le SPRAR invece, più specializzate nell’integrazione, sono gestite dall’ente Provincia di Sondrio e accolgono in totale sul nostro territorio 45 posti: 8 posti nel comune di Morbegno, 23 nel comune di Sondrio, 4 nel comune di Montagna in Valtellina, 10 nel comune di Tirano (gennaio 2018).
 

Nonostante il fenomeno dell’immigrazione si sia notevolmente ridotto negli ultimi mesi, la questione è ancora molto accesa su quali siano i metodi migliori per affrontare tali problematiche, sia a livello nazionale che a livello europeo. I partiti e le fazioni italiani si sono notevolmente divisi in base ai principi che stanno alla base del loro fondamento ideologico, e la speranza è quella che mantengano la stessa linea di pensiero anche guardando ai cambiamenti concreti della realtà. Un altro sentimento condiviso che si respira in Italia è quello che a Bruxelle si possa trovare un’Europa disponibile ad ascoltare le esigenze ma anche le idee di un paese fortemente toccato dalla questione migranti. Come in quasi tutti gli aspetti della vita umana, in medio stat virtus. Da un lato bisognerebbe evitare di consegnare la gestione dei migranti come un insormontabile fardello sulle spalle di solo alcuni paesi, e in particolare quelli che si trovano geograficamente più colpiti dal fenomeno; dall’altro non si dovrebbe porre questioni politiche spesso derivanti da un sentimento populistico prima della sicurezza e incolumità di vite umane. Entrambi gli estremi andrebbero evitati, ed è qui che un’Europa unita e solidale dovrebbe collaborare non guardando agli interessi nazionali ma all’obiettivo comune: risolvere un problema che riguarda tutti. E’ inutile impiegare tempo ed energie a puntare il dito verso gli altri o a fare una gara di vittimismo, bisognerebbe piuttosto cercare di trovare un dialogo – anche se questo comporta rinunciare ad alcuni interessi specifici – per giungere all’obiettivo. Concludo questa riflessione rifacendomi alle parole del giornalista Massimo Gramellini:

 

“E’ mancata la presa d’atto che questo problema non si può risolvere ma solo assorbire, purché lo si affronti allo stesso modo da Copenaghen a Lampedusa. Contro l’ondata incontrollabile serve una catena umana ideale. Una forma di resistenza basata sulla solidarietà e sul buonsenso, che è cosa assai diversa dal senso comune.” (La Stampa, 17 aprile 2015)

 

Sara Gobetti

 

Sara Gobetti ha 20 anni e viene da Tirano. Si è diplomata al liceo delle Scienze Umane presso l'Iss B. Pinchetti e adesso frequenta Politics and Economics presso l'Università degli Studi di Milano. Si interessa di attualità, politica e relazioni internazionali. MLe piacciono le lingue: studia inglese e tedesco. Altri hobby sono la lettura e lo sport. 
 

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