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“Scarìzi che brüsa“, alla ri-scoperta dei fuochi del 15 agosto

CULTURA E SPETTACOLO - 15 08 2019 - Méngu

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/falò

Sera del 15 agosto. Nei tempi passati, alle prime avvisaglie della sera, i maggenghi del tiranese si illuminavano di fuochi. Ora la tradizione sta sfumando. Si dice: c’è pericolo d’incendio nei boschi, la stagione è secca. Vedete cosa è successo in alcune zone della Siberia e la gente giustamente si pone il problema.

 

I pochi che osano accendere i fuochi stanno molto attenti alle “scarìzi che brüsa“ (alle scintille che bruciano) per non causare danni d’incendio.

 

Ma i falò la sera del 15 agosto sono da sempre arsi sui monti del tiranese. E’ una tradizione antica che si celebra per dar tono ad una festa tipica d’estate la cui istituzione risale ai tempi dell’imperatore romano Augusto. Il termine Ferragosto deriva dal latino FERIAE AUGUSTI. Questa festa si collegava alla vacanze d’agosto dove si sospendevano le attività lavorative per darsi momenti di riposo, condivisione e gioia. Molti tiranesi si ricordano ancora i falò di ferragosto che si accendevano nella zona di Trivigno. Lassù tiranesi, stazzonaschi, villaschi, proprietari di numerosi alpeggi fraternizzavano al chiarore dei falò che si accendevano ai piedi del monte Padrio in località “ Culùm “. Ma non erano i soli. I falò facevano da corona in località Prà Piano, Il Forte , Piscina, Canali, Ronco, Cabrella, ‘l Pùm, ‘l Perséch. Un contorno meraviglioso e “ stellare “ di falò brillavano dai maggenghi del Masuccio, di Villa di Tirano, da Viano e Cavaione. In queste occasioni di festa si raccontavano storie di streghe nascoste nei boschi e negli anfratti. Ricordo il grande falò che la Virginia di Ronco ardeva, lì i vecchi raccontavano la storia della strega di “Cà dei Gatèi “ e noi ragazzi, dopo aver fatto da corona all’ultima scintilla mentre gli anziani domavano e spegnevano con acqua le ceneri , ci addormentavano nel “ lèc de scarfòi “ (letti di foglie di granoturco) felici e contenti. Altri tempi forse, tempi che ancora oggi potrebbero tornare per far rivivere storie e tradizione che il mondo moderno sembra fagocitare sempre più velocemente. Non sarà forse colpa delle streghe che imperversano sul nostro territorio notte e dì e che non abbiamo più il coraggio di bruciare?
 

Méngu

 

Ecco un bel ricordo dell’indimenticabile poeta tiranese Cici Bonazzi.

 

Si puliva il sottobosco

dalle frasche con i bastoni,

finiva anche sul mucchio

qualche manciata di strame.

 

Tutti i monti avevano la piazzuola

per accender un bel falò,

la nostra era nella valle “Scigùt”

quella dei “Palècc” un poco più lontana.

 

Quando il chiaro scompariva

per lasciar posto al buio,

al più vecchio si diceva:

fai che il fuoco pigli sicuro”.

 

Scoppiettava tutta la legna

nel silenzio della sera,

il nostro viso nel chiarore

assumeva un’altra cera.

 

Le scintille come stelle

illuminavano i dintorni,

spaventando merli e tordi,

gazze con coturnici.

 

C’erano ombre dappertutto

che ingrandivano tutte le piante,

anche i porcini sotto gli ontani

sembravano dei giganti.

 

I bambini in braccio alle mamme

succhiavano il loro pollice,

solo gli occhi gli si vedevano

infagottati nei pannolini.

 

Noi ragazzi un po’ più grandi

facevamo finta di niente,

ma tremavamo di paura

dalla testa fino ai piedi.

 

Pian pianino sulle montagne

spuntavano dai boschi

quei falò che si accendevano

nella notte di ferragosto.

 

Queste lucine da niente

nel buio del giorno di festa,

son grandi cose nel mio cuore

che per sempre vi rimarranno.

 

Se finiva tutta in cenere

quella legna sulle piazzuole,

io la racconto questa storiella

per lasciarla ai miei figlioli.

 

Cici

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