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Romanzetto tiranese - "Il lieto rintocco della campanella della chiesa di piazza Parravicini"

CULTURA E SPETTACOLO - 09 07 2020 - Ivan Bormolini

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/CAMPANILE PIAZZA PARRAVICINI
CAMPANILE PIAZZA PARRAVICINI

(Seconda parte di I. Bormolini) La vita andava avanti in quella nuova famiglia. Giuseppe continuava il suo lavoro di artigiano edile e per fortuna le commesse non mancavano.

Detto anche “spaccasassi” per la sua abilità nel ripristinare muri a secco, eseguiva interventi anche sui nostri storici terrazzamenti vitati del versante Retico tiranese.

Adele, sempre presa nei lavori di sartoria, badava alla casa e non faceva mai mancare al suo sposo buoni pranzi e cene; si era riscoperta anche come cuoca provetta.

La domenica lei andava alla prima messa per poi prendersi il tempo di cucinare il pranzo festivo che ovviamente doveva comprendere un primo ed un secondo per il suo amato sposo. Lui invece prendeva sempre parte alla messa grande e al ritorno verso casa, faceva una sosta al caffè pasticceria Lorandi in piazza Cavour per acquistare un dolce domenicale.

 

Non si fermava mai a parlare con nessuno, se non con un paio di compagni di scuola con i quali aveva mantenuto un rapporto di conoscenza.

Oltre al lavoro, e alle domeniche passate nella quiete famigliare, i due coniugi si davano da fare per avere dei figli, quello era il loro sogno, nonostante fossero al limite dell'età fertile.

Le delusioni in tal senso nei primi mesi del matrimonio non erano mancate; Adele addirittura si era recata in santuario in preghiera alla Madonna di Tirano ed aveva acceso alcune candele votive perché questo desiderio si trasformasse in realtà.

La sera dopo la cena, Giuseppe non aveva mai perso il vizio di fumarsi la pipa sul divanetto, accostava la finestra e si godeva un momento di meritato riposo.

 

Una sera, compiendo questo suo rito, udiva il rintocco della campanella del campaniletto della chiesetta della sua piazza Parravicini. Stranito dal fatto si era affacciato per controllare, ma nessuno stava azionando la corda della campana, non c'era anima in giro e soprattutto non soffiava un vento tale da poter muovere quel batacchio.

Aveva dato la colpa alla stanchezza della dura giornata di lavoro, attribuendo il tutto ad un suono immaginario.

Pochi minuti dopo, Adele che da un paio di settimane appariva piuttosto stanca e quasi priva di appetito, nel portare al suo amato una camomilla fumante che i due dal giorno del matrimonio condividevano prima di coricarsi, vuotava il sacco:

Sai Giuseppe mi sembra che ci siamo, credo di essere incinta”!

A quelle poche parole, pronunciate quasi con timidezza, Giuseppe abbracciava fortemente la consorte, scoppiando in un pianto di felicità.

 

Mai più pipa e camomilla gli erano parsi più graditi e subito dopo aver pianto si era sincerato delle condizioni della moglie. I sintomi erano quelli, chiari e lampanti. Ora però era necessario fare delle visite e così l'indomani mattina, al posto che recarsi in cantiere era andato all'ospedale in cerca di un medico, molto noto in paese e che egli ben conosceva perché aveva curato i suoi genitori.

Quel medico, vista l'emozione di Giuseppe, gli aveva dato appuntamento per una visita il giorno successivo.

Comunicato il tutto alla moglie, i due si erano recati come due adolescenti, mano nella mano, all'ospedale.

Sembrava che il tempo non passasse in quella breve attesa, ma ecco uscire dalla porta della sua sala visite quel medico, il quale si era premurato di far intervenire anche un'ostetrica.

Tutto era chiaro, felicemente chiaro però c'erano dei problemi: quel dottore analizzata l'età della gestante e considerando quasi un miracolo il tutto, ravvisando anche alcuni piccoli problemi di gambe varicose legate ad Adele, immediatamente affermava che la stessa doveva mettersi in assoluto riposo e per qualsiasi problema sia lui che l'ostetrica sarebbero stati a disposizione.

 

Nel ritorno verso casa Adele, sembrava non in accordo con le parole del medico, ma questa volta Giuseppe era stato perentorio.

Adesso non lavorare più, non preoccuparti più del pranzo della cena e delle faccende domestiche, i soldi per fortuna non ci mancano, ci penso io a tutto”!

Ammutolita da quella fermezza decisionale, quella donna non aveva pronunciato verbo, asserendo solo che avrebbe per forza dovuto finire almeno i lavori che aveva in laboratorio.

Ma nulla, giunti a casa preparato un pranzo veloce, la buona donna si era coricata e Giuseppe felice e preoccupato nello stesso tempo, era uscito ancora una volta non per andare in cantiere.

Sapeva che una donna di via porta Milanese, rimasta da poco vedova era in cerca di lavoro, senza indugi si era recato da Andreina proponendole di fare le faccende domestiche e seguire la moglie in quei nove mesi che parevano difficili, ovviamente dietro congruo stipendio.

Questa accettava immediatamente ed il giorno successivo entrava in servizio.

 

Adele non era certo una donna che poteva stare sdraiata tutto il giorno, oppure seduta sul divanetto, ma nulla quella governante seguiva alla lettera i dettami di Giuseppe ed essendo anche un po' avvezza in qualche lavoro di sartoria, aveva continuato sotto l'occhio vigile di Adele i lavori presi in precedenza, occupandosi anche delle consegne.

Giuseppe, sempre più premuroso nei confronti della moglie, la domenica nel giorno libero di Andreina, si occupava di pranzo e cena e rassettava la casa, non facendo mancare alla moglie le dovute attenzioni. Non andava più nemmeno alla messa, ma il sabato di ritorno dal lavoro era solito fermarsi nella parrocchiale per accendere una candela come segno di ringraziamento.

E così i mesi passavano, di tanto in tanto alle date stabilite, il buon uomo accompagnava la moglie alla visita dall'ostetrica, tutto con le dovute cautele sembrava procedere per il meglio. Quella pancia cresceva a dismisura tanto che ad un certo punto si era appurato che si sarebbe trattato di un parto gemellare.

 

Adele pareva preoccupata per questa cosa, ma Giuseppe sembrava per sin ulteriormente ringalluzzito ed ovviamente, si era assicurato che Andreina seguisse con ancor maggior scrupolo la gestante.

Tra le due donne si era creato un buon rapporto di amicizia ed Adele confidava lei tutti i suoi pensieri:

Ormai sono di una certa età, certo un figlio o una figlia li desideravamo, ma due davvero non saprò come gestirli e come accudirli. Poi qui ormai relegata a letto da qualche mese ho ancor più paura del parto”.

I sentimenti, le ansie e i timori di quella donna erano perfettamente comprensibili, ma Andreina per consolarla e tranquillizzarla usava parole esaustive.

Vedi Adele, tuo marito è un uomo d'oro, assomigliava al mio che purtroppo ho perso, i mie figli sono grandi e non hanno più bisogno di me, vivono a Sondrio dove hanno messo su famiglia, io dopo la dipartita del mio Guglielmo, ho certo bisogno di lavorare per avere quell'entrata economica che mi consenta di vivere dignitosamente questi ultimi anni della mia vita. Eravamo poveri contadini, ma nulla ci mancava anche se ce la siamo vista brutta in tanti momenti. Stai tranquilla tuo marito, saputo del parto gemellare, mi ha già chiesto di rimanere con voi anche dopo la nascita, ha già programmato tutto. Si è per sin assicurato che io confezioni gli abitini per i nascituri, comprando per loro e per te tutto il necessario anche per la degenza in ospedale ed il ritorno a casa”.

 

Verso la fine del settimo mese, la situazione di Adele pareva aggravarsi, un piccolo ma non sottovalutabile malore l'aveva colpita una mattina. Dopo una visita casalinga, il medico condotto consigliava un ricovero in ospedale sino a parto avvenuto.

Chiaramente Adele si mostrava contraria, ma Giuseppe e Adelina erano irremovibili e dopo quell' improvviso svenimento quell'uomo, teso in volto e ansioso, aveva preso la decisione di far ricoverare la consorte.

Ogni giorno, andava da lei a mezzogiorno e alla sera, e di giorno la fedelissima Andreina stava spesso in ospedale a farle compagnia.

Il medico del nostro piccolo luogo di cura tiranese, amico di Giuseppe, teneva monitorata la situazione e quelle vene varicose di Adele, che nonostante il riposo non accennavano a dar segni positivi.

Tutto però era sotto controllo, ci si stava preparando ad un parto gemellare, sperando che tutto andasse bene.

 

E così quelle settimane parevano non passare mai per Giuseppe, ogni giorno pretendeva una sorta di bollettino medico, e ad uno di questi quel buon medico gli aveva detto:

Senti Giuseppe, ci conosciamo bene, sono perfettamente consapevole delle tue paure, ma adesso è necessario attendere l'evolversi degli eventi. Noi stiamo facendo ogni cosa per tenere sotto controllo il problema delle vene varicose, ora però calmati.

Se ti può far contento ti dico che ho avuto contatti con un medico della comasca, esperto in queste situazioni, anche lui mi ha confermato che le nostre cure vanno bene e sono atte a preservare sia Adele che i due pargoletti che verranno al mondo”.

Dopo aver fatto la visita serale alla sua Adele, il buon uomo cenava con con Andreina, e una volta che questa si era ritirata nella sua dimora, si era messo a costruire due culle nel suo piccolo laboratorio, solo dopo si concedeva la sua solita pipa.

Ormai si era alla fine della gestazione per Adele, ed Andreina era divenuta una presenza fissa in ospedale. Giuseppe, sempre più preoccupato per l'evento si tratteneva il più possibile con la moglie, la quale ormai sembrava pronta a dare alla luce il frutto del loro maturo amore.

 

(Fine seconda parte)

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