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Quasi serie (156): L’albero degli zoccoli

CULTURA E SPETTACOLO - 09 05 2018 - Giancarlo Bettini

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Nel lontano 1986 avevo scritto, su Centro Valle, un articolo dopo avere visto il film di Ermanno Olmi “L'albero degli zoccoli”. In questi giorni il famoso regista ci ha lasciato. Penso di fare cosa gradita a coloro che gli hanno voluto bene pubblicare totalmente quel pezzo.

 

“Il piccolo schermo, nelle sere d’inverno, è l’amico fedele. Lo schermo, un capace divano, una piccola lampada, il telecomando, il nulla. Ad una cena leggera, ad un programma interessante, seguono ore di veglia, alla mancanza di uno di questi ingredienti il nulla prevale e le sole pareti assorbono luci e suoni. Una cena leggera quindi per la serata con Olmi, Per la riedizione del film che ci ha suggerito il titolo del nostro scritto: “L’albero degli zoccoli”. Serata d’inverno dicevamo all’inizio, inverno di vita quella realistica riportata su celluloide dalla sensibilità del regista, film da fazzoletto in mano anche per coloro che dicono appartenere al sesso forte. Quella vita contadina e da filanda, quel combattere per la sopravvivenza, quel continuo procreare come unico piacere nell’arco di un anno se si esclude il giorno di festa del paese, quel far maturare in anticipo i pomodori da parte di un nonno al limitar degli anni per dare gioia a piccoli nipoti, quell’albero sacro, al limitar della strada, mozzato per la salvaguardia di piccoli piedi di figlio, quel... e potremmo continuare con questa odissea lombarda se non temessimo, nello scrivere, di contemporaneamente inzuppare carta e fazzoletto. Ricordiamo alcuni anni orsono, all’uscita della sala cinematografica, alla prima visione dello stesso film, il commento di alcuni giovani: “non è possibile, questo modo di vivere chissà a quanti secoli risale”. Non risale a molti secoli o giovani della seconda metà del secolo ventesimo, ma solo ad una ventina d’anni.

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Avevamo l’età di un giovane che non è più, che il terriccio dei vigneti di Tresenda ha soffocato, terriccio portato a valle dalla indimenticabile alluvione del 1983. Era figlio dell’amico Guido quel giovane. Guido, come noi, ricorderà gli anni “40 –“45 dell’ultimo conflitto mondiale. Eravamo figli della lupa e giovane balilla, sovente allineati e coperti nel piazzale tra scuola e ferrovia, a far ginnastica con l’insegnante. E’ ancora così quel piazzale ed a volte passando, con deamicisiana memoria, sostiamo e sostando ritorniamo giovani, rivediamo quella camicetta nera col bianco incrocio sul davanti da fare invidia agli stilisti di oggi. Papà era in ferrovia, la mamma, per necessità, tentava di arrotondare le entrate girando la manovella al casello ad ogni passar di treno. Papà ed il capostazione erano l’organico della fermata, con tanta voglia del bello anche in tempi di guerra come quelli. Ricordiamo le aiuole della stazione e nostre, sempre fiorite, tempestate di portulaca, il fiore dei poveri. Due locali come abitazione, cucina e camera, nella cucina il pozzo per l’approvvigionamento dell’acqua. Dietro il casello una tettoia con sotto prolifici conigli. Sulla tavola conigli e “maius” che i libri di cucina valtellinese riportano come pasticcio di patate e fagioli. Poco lontano dal casello, lungo la statale, le case degli amici con stalla a piano terra. Stalle da “albero degli zoccoli dove i contadini e noi ci trovavamo nelle fredde sere invernali per scaldarci, chiacchierare, donne con aggeggi per filare, a far maglia per indumenti a noi allergici, ma da sopportare per mancanza di alternative-

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I personaggi di Olmi sono qui con noi. La Valtellina ricorda. L’uomo che ha vissuto quegli anni si è formato con un certo stampo, difficilmente modificabile. Ma questo non è da sottovalutare, da schernire, è forse da rievocare per farlo conoscere a chi stampo non ne ha più o non ne ha mai avuto, di nessun genere, per colpa anche nostra, di noi genitori”.

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Qualche lettore, dopo quanto sopra appreso, avrà in mano un fazzoletto non più asciutto, ma bagnato dalle lacrime. Lacrime prodotte da Dio creando l’uomo.

 

Giancarlo Bettini

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