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Paure e populismi

CULTURA E SPETTACOLO - 05 01 2018 - Franco Clementi

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In una notte in cui non riuscivo ad addormentarmi, invece di contare le pecore, mi sono messo a contare quante volte nella mia vita ho sentito parlare di fenomeni paurosi che minacciavano addirittura le sorti dell’intera umanità. Non, dunque, di banali crisi momentanee, di periodi depressivi transitori, di “bassi” che si alternano agli “alti” come in tutte le vicende ad andamento ciclico; bensì di pericoli che tutti i mezzi di comunicazione, organizzazioni umanitarie, e, ahimé, persino scienziati e centri universitari descrivevano gravissimi e prossimi a divenire “irreversibili” e cioè senza rimedio, quindi raffigurati come vigilie di una catastrofe tragica, prossima ventura.

 

Il mio conteggio è andato avanti per un bel po’, ma a mano a mano che procedevo nel ricordo, mi andavo appassionando ed anche meravigliando della frequenza di queste paure collettive, per cui dopo averne elencate una ventina ho smesso, altrimenti avrei passato la notte interamente insonne. Le cito in modo disordinato, ma ogni lettore può aggiungerne altre che a me sono sfuggite: riscaldamento globale, buco dell’ozono, emergenza idrica, sovrappopolamento, o, al contrario, (dopo pochi anni) crisi demografica, elettrosmog, disastri nucleari da uso civile o militare dell’energia atomica, stravolgimenti economici con spread in risalita e crolli di borsa, dissesto idro-geologico, inquinamenti globali o locali da diossina, amianto e altri veleni o da rifiuti accumulati che galleggiano sugli oceani, terrorismo da parte di fanatici di scuderie diverse, “baco del millennio”, organismi geneticamente modificati, adulterazioni alimentari, scomparsa di animali selvaggi o piante, con cancellazione della bio-diversità, spionaggio informatico, terremoti, incendi, vaccini pericolosi, grandi epidemie da virus conosciuti o sconosciuti ma comunque incurabili (Ebola, peste suina, aviaria, “mucca pazza”, AIDS…).

 

Certamente non tutte queste emergenze hanno avuto lo stesso impatto emotivo o la pari durata nel tempo, ma si sono susseguite con regolarità, come le mestruazioni nelle donne, nascendo ora da eventi concreti, ora in modo spontaneo e incontrollato, ora forse mosse dagli interessi politici o economici di qualcuno.

 

Fatto sta che tutti questi allarmi talora esagerati, non passano senza lasciare conseguenze nella mentalità della gente. Spesso si tratta di minacce o problemi reali che andrebbero affrontati non in chiave emergenziale, o considerati urgenti perché una campagna di stampa ce li fa sembrare tali per il tempo che essa dura. Altre volte si tratta di pericoli enfatizzati per il gusto della notizia eccitante o perché qualcuno ha interesse a speculare su certe paure. Ma lo stato di apprensione permanente, di ansie a ripetizione, di angosce a comando, creano un’insicurezza collettiva che spinge a chiedere alla politica soluzioni immediate, risolutive, che la politica stessa non può dare ”lì per lì”, in quanto difficili, ottenibili solo in tempi lunghi e con costi elevati.

 

Come che sia - chiedere molto e poco ottenere - crea l’impressione che chi comanda non sappia bene cosa fare. Di qui un risentimento o una forma di frustrazione, che ci fa convinti di aver posto il nostro destino in mano a incompetenti e incapaci. Se un tempo il potere faceva paura perché invasivo e prepotente ora fa paura perché vacuo e impotente.

 

Il populismo gioca su questa condizione psicologica, aggiungendo alla componente dell’allarmismo la tesi che dietro tutto quel che accade ci sia un “complotto” (della destra reazionaria o della sinistra rivoluzionaria, dei “poteri forti” o della finanza internazionale, delle case farmaceutiche o dei fabbricanti di armi, della Massoneria o (poverina..) persino della Curia vaticana… Dall’altro lato esso fornisce ai vari problemi ricette che sembrano facili, semplici, immediate, che finiscono con l’ essere credibili, perché quelle che vengono dai poteri ufficiali sono descritte come false, inefficaci, “di facciata” o dettate da reconditi interessi.

 

Se questa tesi è vera il populismo dilagante che ha messo in un cantone i vecchi partiti tradizionali non è solo un fenomeno passeggero legato alla crisi economica, alla disoccupazione diffusa o alla corruzione ingombrante, ma è il frutto di uno stato d’animo e di un umore collettivo: il risultato cioè della struttura ansiogena, allarmistica presente nelle nostre società. Esso pertanto è destinato a durare a lungo…

 

Ma perché tutto questo? Chissà! Forse le società che hanno dimenticato Dio, illudendosi di poter creare un Paradiso sulla Terra, sentono il bisogno di crearvi anche un Inferno…


Franco Clementi

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1 COMMENTI

05 01 2018 18:01

Méngu

Ma perché tutto questo ? Stimato dottor Clementi, io azzardo un perché. Lo dirò con le parole d’uno “ non sospetto”. Grazie, per la Sua interessante riflessione. “Una politica priva di etica non incrementa il benessere dell’umanità; un’esistenza priva di morale abbassa gli esseri umani al livello degli animali.” (Dalai Lama)