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Nonostante tutto, testimoni del risorto

CULTURA E SPETTACOLO - 15 04 2018 - Don Battista Rinaldi

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Il momento assai sorprendente dell’episodio raccontato oggi – che conclude lo splendido racconto dei discepoli di Emmaus, ascoltato il giorno di Pasqua – è quello registrato verso la fine della narrazione, quando Gesù, pur avendo sperimentato l’abbandono da parte di tutti gli apostoli al momento della crocifissione e constatato come le sue precedenti apparizioni e spiegazioni abbiano dato un frutto scarso, tuttavia, senza ritorsioni punitive o vendicative, conclude: voi sarete miei testimoni!

 

Gesù costituisce testimoni i discepoli e dunque anche noi, nonostante le infedeltà, le incomprensioni, il peccato. Al punto che ci viene da chiederci se Gesù sia troppo indulgente o troppo ingenuo. Come pensare che chi non ha capito possa spiegare a chi non conosce o che chi non crede o è pauroso sappia farsi testimone di fede e spingere altri ad uno slancio coraggioso?

 

Credo sia una domanda che è ancora troppo incentrata su noi stessi, sui discepoli o sugli undici. In realtà tutto questo racconto, come tutto il Vangelo, hanno come protagonista il Maestro con la sua straordinaria pazienza e fiducia. È a partire da questo punto fermo che dobbiamo rivedere le nostre convinzioni. Allora comprendiamo che alla chiesa non è chiesto di essere ripiegata su se stessa, ma di essere testimone di Lui e della sua misericordia, con la quale egli ci resta fedele, nonostante tutto.

 

Testimoni del Risorto significa, dunque, mantenere una grande serenità e gratitudine. Nonostante i limiti e le debolezze che ci ritroviamo e che dal punto di vista di chi ci ha chiamato erano già nel conto, maturiamo la convinzione di dover accrescere il nostro affetto verso il Signore, che ha più a cuore noi che non le nostre opere. Significa, inoltre, accettare di avere momenti di confessione di fede e di dubbio, di gioia e di incredulità: non possiamo pretendere di ‘com-prendere’ tutto, siamo solo testimoni non ‘possessori’ del Risorto. Significa, ancora, aprire la nostra mente all’intelligenza delle Scritture. Senza le Scritture non si dà fede pasquale. Cristo deve essere incontrato nel corpo scritturistico; allora nasce la fede che lo confessa quale realizzatore del progetto di salvezza del Padre.

 

Il Risorto, infine, mostra ai suoi discepoli le mani e i piedi segnati dalle ferite. L’incarnazione ha dato a Dio l’esperienza della sofferenza, del patire e del morire. Dunque il Risorto va incontrato nella carne dei sofferenti, toccato nei corpi delle vittime del male. Il Cristo non è uno spirito o un fantasma e il cristianesimo non è uno spiritualismo: prende sul serio il dolore del mondo e confessa il Risorto mentre cura il bisognoso e tocca la carne piagata e ferita dell’uomo. “Toccatemi”, dice Gesù, e questo toccare la carne umana ferita per confessare il Risorto, questo incontro del mistero della risurrezione con l’enigma del male, rende la fede una ricerca umile, quasi a tentoni. Senza trionfalismi e sicurezze ingenue.

 

Don Battista Rinaldi

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