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Noi, gli unici veri stranieri residenti

CULTURA E SPETTACOLO - 16 02 2018 - Alessandro Cantoni

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/Donatella Di Cesare

In una recente pubblicazione di Donatella Di Cesare (Stranieri residenti. Una filosofia della migrazione) viene nuovamente posto il tema delle migrazioni.

 

L’insigne professoressa spinge il lettore alla riflessione, analizzando i flussi da una nuova e inedita prospettiva, quella filosofica.

 

I dibattiti di maggior rilievo vengono spesso orientati a seconda delle appartenenze politiche, finendo così per ignorare quelli che sono i reali protagonisti di questo incessante dramma collettivo, ovvero i migranti.

 

Lo sa bene Di Cesare, che nella sua opera (ed. Bollati Boringhieri, p. 277) non propone soluzioni, bensì riflessioni.

 

Lo fa vestendo i panni di colui che soffre, che combatte per ottenere più diritti, primo fra tutti quello di con-vivere e di rimanere semplicemente umano.

 

Eppure, i rifugiati, i senza-terra rimangono per la società un prodotto di scarto, degli elementi di disturbo, potenzialmente sovversivi.

 

Lo straniero viene rigettato alla frontiera, perché indesiderato.

 

L’autrice ha l’immenso pregio di identificarsi con la figura del migrante, sentendosi a sua volta una straniera residente, inserita all’interno di una collettività. Riabilitando Heidegger e giocando con la terminologia, utilizza mirabilmente il concetto di essere-nel-mondo in chiave umana, straordinariamente inclusiva. Una lettura che ci porta tutti ad essere stranieri residenti, ovvero cittadini di una sola patria, il mondo.

 

Del resto, già Heidegger pensava a questo quando scriveva il suo saggio sull’abitare, salvo precipitare nella trappola del nazionalismo, dell’appartenenza.

 

Per alcuni critici e studiosi quella della scrittrice sarebbe una visione anarchica o alla John Lennon, che sognava di un pianeta senza confini né barriere. Sarebbe bene rimanere cauti ed evitare giudizi eccessivamente tranchant.

 

In qualità di filosofa, la professoressa spinge alla riflessione e risveglia la coscienza di ognuno di noi.

 

Emerge molto chiaramente, infatti, il modo in cui ciascun migrante, dotato unicamente della sua «umana nudità», smaschera l’organizzazione politica degli Stati-nazione. Macchine burocratiche rigidamente coordinate, gli Stati rendono manifesto il «paradosso» di una democrazia che si rivela incompleta, obsoleta ed incapace di fornire tutele a coloro i quali ne hanno maggiore necessità. Si arrogano la presunzione di decidere chi deve «naturalizzarsi» o, in termini più concreti, integrarsi, e chi di contro va respinto, espatriato.

 

Ad essere contestato è il principio secondo il quale troppo spesso la parola diritti coincide con quella di appartenenza, territorio.

 

Il migrante, questa «schiuma della terra», rivela le debolezze della struttura stato-centrica.

 

Sebbene il superamento degli Stati possa apparire come una visione utopica, i criteri di selezione e di inclusione, tuttavia, potrebbero essere corretti e migliorati. Anzitutto, garantendo più diritti ai nuovi rifugiati; i quali, una volta avuto accesso alla nuova comunità, non dovranno dimenticarsi dei propri doveri…

 

Solamente in questa logica si garantirebbe una certa continuità tra filosofia, politica e una buona nonché sana dose di realismo.

 

 

 

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