MENU
/macchina

Lode al chisciöl di Armando Bencivenni

CULTURA E SPETTACOLO - 21 11 2022 - A cura di Ezio Maifrè

CONDIVIDI

/Il Presidente della Confraternita nomina Armando Bencivenni, gran chisciöliere.
Il Presidente della Confraternita nomina Armando Bencivenni, gran chisciöliere

L’augurio del Presidente

Carissimi,

lo scritto che leggerete svela tutti i segreti e le qualità gastronomiche con la precisione e la passione dettate dall’amore di buon valtellinese per la nostra terra, della quale  in varie occasioni cerca di far conoscere e apprezzare la sua identità di importante centro delle Alpi Centrali.

Condivido l’entusiasmo per una positiva ricarica della Confraternita e un rilancio del nostro piatto forte meritevole di essere conosciuto e gustato nella tradizionale ricetta che la nostra Associazione intende proporre anche per il futuro.

Un grazie sincero a Ezio per il suo slancio appassionato e per la sua determinazione, a Ferruccio, vero pilastro della confraternita con il suo indispensabile servizio, e a tutti i soci e alle preziose "chisciölere" che hanno animato tra padelle e chisciöi  piazze, cortili e sale pubbliche e private, ammiratissime per la loro maestria nel cucinare e la grazia accompagnata sempre da un sorriso mentre porgevano a tutti i  presenti le calde e profumate fette del chisciöl disposte a stella sui taglieri. 

Un grazie anche ad Armando e alla sua equipe in contrada Beltramelli unito all'augurio di vivo e meritato successo per l'introduzione del nuovo piatto nella sua offerta culinaria, già tanto apprezzata

A tutti un cordiale saluto.

 Gianluigi Garbellini

********************

Ora Armando Bencivenni titolare del ristorante “ La Contrada “  ( Villa di Tirano –SO )  ha tutti i carismi per essere un buon “Chisciöliere “.  Nella cucina del suo ristorante, sotto la guida del gran maestro chisciöliere Ferruccio Molinari e con l’attenta supervisione del Presidente della Confraternita del chisciöl , prof. Gianluigi  Garbellini, ha appreso tutti i segreti per cucinare l’ottimo chisciöl della Confraternita.

Lode al Chisciöl  per Armando Bencivenni

Noi ti lodiamo o fratello Chisciöl,

per il dolce e sottile gusto che ci doni,

 

per la farina nera di grano saraceno

che con quella bianca sei la pastella del Chisciöl,

 

per il fratello strutto di maiale

che dai il gusto sottile al Chisciöl ,

 

per il fratello formaggio magro casereccio,

che doni il sapore di mucca.

 

per la sorella acqua di fontana,

che impasta bene la farina bianca e nera,

 

per il fratello sale fino

perché senza di te la pastella è insipida,

 

per il fratello fuoco di focolare

che fai cuocere il Chisciöl pian pianino,

 

per la sorella insalatina verde,

che rinfreschi il Chisciöl nella bocca,

 

per il fratello vino rosso nostrano

perché più si beve e più l‘animo è sincero,

 

per la sorella grappa,

che ci fai ruttare il santo peccato di gola,

 

per tutta la bella terra di Tirano,

perché qui sei nato e sarai sempre lodato,

 

e per il brillante cuoco Armando

che nel ristorante “ La Contrada “è il tuo Alfiere.

 

Ezio Maifrè

 

 

Cos’è il Chisciöl

Questo “piatto povero”, che da molti anni sembrava essersi eclissato e di cui solo le nonne e alcune brave massaie avevano custodito gelosamente la ricetta, è tornato alla grande in questi ultimi anni grazie alle sagre popolari.

Da dove viene e cos’è il chisciöl ? Si è sempre detto che la gastronomia valtellinese è povera come sicuramente è povera la gastronomia in tutte le valli alpine poiché le materie prime di base che la compongono sono poche e essenziali.

E’ stato solo con l’ingegno dei nostri avi che si è potuto raffinare e creare una varietà di cibi con l’acutezza di chi ha poca cosa. Un vecchio proverbio valtellinese diceva : u màia ‘stà minèstra u sòlta la finéstra ( o mangia questa minestra o salta la finestra ) ; in parole schiette si ordinava  di mangiare quello che si trovava sul piatto o l’alternativa era di andarsene di casa in cerca di lidi migliori per togliersi il morso della fame.

A dare il senso di povertà al chisciöl era, come per altri cibi (quali la polenta, la minestra di latte e riso, il pancotto e altri), il ripetersi giorno per giorno della sua presenza in tavola. Riuscire ad emanciparsi e togliersi di torno questi poveri cibi in tavola era segno di uno stato economico migliorato, riuscire poi a cucinare i piatti prelibati che provenivano dalla città era segno di distinzione.  Il voler dimenticare gli stenti, le privazioni, le umiliazioni della povertà era dunque un desiderio reale della gente contadina; addirittura si imponeva ai   figli di parlare l’italiano fuori dal nucleo famigliare come se il dialetto parlato in casa fosse responsabile di degrado intellettuale.

Così era anche per i cibi poveri; si cercava nel limite delle possibilità economiche della famiglia di evitarli e così con il passare degli anni e con l’aumento del benessere vennero, senza troppa nostalgia, accantonati.

Fortunatamente, al giorno d’oggi, questa tendenza appare superata e v’è un recupero della gastronomia tradizionale: ora si è consapevoli che tante realtà culturali e tradizionali passano anche attraverso il gusto e la cultura del cibo.

La conoscenza di ciò che si mangia è essenziale e spesso alimenta la voglia di vivere una vita sana e gioiosa. Insomma, ciò che prima era ritenuto nella nostra realtà valligiana cucina povera e da abbandonare, ora la si rivaluta con fantasia e creatività; come per miracolo, anche il chisciöl sembra emergere dal Purgatorio e salire giustamente in Paradiso dopo aver scontato un oblio immeritato.

Purtroppo pensare di riprendere interamente i gusti e i piatti inventati dai nostri avi è cosa poco probabile in quanto molti ingredienti sono scomparsi e non più prodotti in valle. Le vecchie ricette sono state in parte dimenticate e modificate secondo le esigenze e le possibilità economiche della gente e si sono adeguate ai gusti del momento. Come per le  parlate dialettali, il cui linguaggio si è modificato e continuamente continua ad evolversi  e ci si accontenta di  raccogliere ciò che fin ora è giunto a noi, così deve essere fatto anche per la gastronomia tradizionale.

Occorre almeno codificare le ricette che noi abbiano ereditato dai nostri vecchi cercando però di non snaturare la tipicità della tradizione; è un lavoro arduo che a volte contrasta con il gusto e l’aspetto della ristorazione popolare di oggi.

Chi fosse salito a Baruffini e nelle zone circostanti, alcuni decenni fa, ad un’altitudine di circa 1000 metri, avrebbe  trovato, alla fine di agosto e ai primi di settembre,  appezzamenti di terreno coltivati a grano saraceno in fiore: era  una suggestiva e gradevole tavolozza di colore bianco- rosata tra i terrazzamenti di vigneti e selve di castano.

Purtroppo in questi ultimi anni la coltivazione del grano saraceno è stata abbandonata; solo in poche località quali Teglio e Baruffini, grazie soprattutto alla passione di alcuni giovani e del Presidio Slow-Food, sta ora riprendendosi.

Il chisciöl, che ha come ingrediente  base il grano saraceno, è poco conosciuto oltre i confini della valle e a differenza dei pizzoccheri non ha conquistato la notorietà che meriterebbe.

Allo scopo quindi di far conoscere ai buongustai il chisciöl e il vino rosso che generalmente accompagna questo delizioso piatto tipicamente tiranese, è nato un sodalizio chiamato “Confraternita del chisciöl e dei vini del tiranese”.

La Confraternita ha lo scopo di promuovere il Chisciöl in valle e oltre confine, con conviviali, promozioni, dibattiti, studi, poiché ritiene che tale cibo è espressione di costume, tradizione locale.

Gli obiettivi della  Confraternita sono certamente da condividere poiché un piatto di chisciöl, cucinato a puntino, oltre ad essere un apprezzato prodotto gastronomico, è anche chiara espressione di civiltà e del modo di essere della gente montanara del tiranese.

In realtà il chisciöl è un piatto semplice e di ottimo aspetto estetico, robusto e genuino che nasce dal rapporto dell’uomo con la terra che ha messo a coltura; è un cibo che mette in relazione l’uomo e l’ambiente e ne sintetizza il carattere e la natura.

Il chisciöl, ( come per altri prodotti tipici, quali i pizzoccheri, la polenta taragna )  ha come base la farina di grano saraceno, l’aggiunta  di farina bianca, formaggio e burro o strutto e altri prodotti locali ne hanno affinato la bontà. Questi piatti non conoscono le raffinatezze della cucina dei grandi chef però rispecchiano fedelmente l’essenzialità del focolare  domestico e della genuinità degli ingredienti.

Cos’è e come si presenta il chisciöl ?  Presto detto: è’ una frittella di circa mezzo centimetro di spessore con diametro di circa 20 centimetri che rispecchia generalmente il  fondo della padella in uso. Gli ingredienti tradizionali sono la farina di grano saraceno, la farina bianca, il formaggio magro di casera, strutto di maiale, sale e acqua.

La preparazione? Semplice a dirsi, ma un po’ meno a farsi, poiché la bontà del chisciöl dipende  dalla percentuale di farina nera rispetto alla bianca ( generalmente 3 parti di farina nera e una parte di farina bianca ), dall’acqua usata e dal tempo dell’impasto, dalla qualità e quantità del formaggio immesso nella pastella e non da ultimo dal condimento e dal tempo di cottura a fuoco lento .

Il risultato è però normalmente eccellente! Chi assaggia il chisciöl nella sua squisitezza rimarrà piacevolmente stupito. Il suo aspetto è invitante, è reso irresistibile dall’intenso profumo di formaggio fuso e rosolato che invade quasi completamente la superficie della frittella ben cotta e croccante.

E’ un piacere sicuro per il palato, reso ancora più pieno e intenso se accompagnato tra un boccone e l’altro da tenera insalata e innaffiato con leggere ma frequenti sorsate di vino rosso, rigorosamente valtellinese.

In valle si dice che “ un chisciöl tira l’altro”  ed è vero poiché quando si giunge alla sazietà  permane ancora  il sottile desiderio dell’assaggio. La sensazione di sazietà però è dolce e non è spossatezza di stomaco, ma un delizioso e diffuso benessere che distende le membra e ravviva lo spirito facendo dimenticare l’inquietudine della vita moderna.

La spiegazione può essere nei principi attivi della farina del grano saraceno ( Fagopyrum sagittatum ) anche se i nostri vecchi preferivano pensare che la tranquillità di spirito che ci pervade dopo aver abbondantemente mangiato chisciöl  è  dono divino dato ai tiranesi.

 

Chisciöl, da dove deriva il nome ? Il professor Gianluigi Garbellini, ricercatore e studioso ricorda :

“…non meno celebre dei pizzoccheri è il chisciöl di Tirano. Il nome ricorda la quiche  ( Kisch), la tipica frittata francese, anche se di tutt’altro si tratta . Il chisciöl è una frittella bassa e grande in genere come il fondo della padella; deve cuocere a fuoco lento in un poco di burro o olio per diventare croccante e assumere un bel colore dorato. Nei dintorni di Tirano la denominazione della frittella cambia in pitùtt, per la forma non perfetta, e in frìtula , con il risultato più o meno simile al chisciöl ……

L’ingrediente comune nella frìtula e nel chisciöl,  come per i pizzoccheri,  la polenta taragna e gli sciàtt, è il grano saraceno……”.

Lasciamo ancora parlare il prof. Gianluigi Garbellini riguardo all’origine della farina di grano saraceno che per secoli è stato uno dei pilastri del mangiare contadino e che ha salvato dallo spettro della  fame intere generazioni:

“…….Il grano saraceno viene da lontano; fin dalla sua comparsa nel XV secolo questo grano particolare  venne chiamato furmentùn ( o formentone in una sorta di italianizzazione) , anche se la pianta si differenzia molto da quella del frumento e dei comuni cereali, poiché essa, in effetti, appartiene e diversa famiglia, che è quella delle poligonacee.

Si potrebbe ipotizzare l’origine della voce furmént ( frumento )  quasi a sottolineare il rigoglio e la copiosità, dopo breve permanenza in terra, ben diversamente dal cereale che richiede un periodo molto lungo per la crescita  e la maturazione dei chicchi, sia in senso dispregiativo di vile frumentum, un “cereale “ di poco conto.

 

Sicuramente più eloquente per capire le origini di questa pianta, dal complicato nome botanico di Polygonum fogopyrum sagittatum,  la denominazione corrente nella lingua italiana di “grano saraceno “, preferita al nome fraina, il cui uso è limitato a poche regioni.

In Francia l’arbusto, originario delle regioni asiatiche della Manciuria, era approdato mutuato da vari passaggi attraverso la Siberia  meridionale, la Polonia e la Germania, paese quest’ultimo  dove se ne registra la coltivazione  nel Mecklemburg nel 1436 sotto il nome di Bukweten e nella regione dell’Eifel con la denominazione di Heenisch, cioè l’odierno Heidenkorn, vale a dire “ grano dei pagani”. In effetti se ne attribuisce  l’introduzione in Europa ai nomadi di matrice non cristiana provenienti dalle regioni asiatiche, i quali si accontentavano di arrostirne i semi per cibarsi nei loro spostamenti. Il grano saraceno giunse in Europa anche attraverso le vie commerciali marittime, approdando dalle coste del Mar Nero, a Venezia e ad Anversa.

 

In Italia si registra nelle regioni del nord-est, dove aveva fatto capolino  verso la metà del XVI secolo: a quel periodo corrisponde anche la prima documentazione in Valtellina, riscontrabile  in un atto relativo  alle proprietà della famiglia Besta di Teglio, dove si riscontra il nome di formentone.

La sua   coltivazione in modo diffuso prende piede però solo nel secolo seguente. Interessante in proposito quanto segnalato da una studiosa emiliana circa l’introduzione del grano saraceno nel Ducato di Modena nel 1621 ad opera di un commerciante ebreo di nome Donato Donati.

La capillare diffusione della nuova coltura nel continente  deve essere avvenuta infatti attraverso persone che nella loro attività di commercio erano venute in contatto con popolazioni e realtà agricole diverse…...”

Certamente in Valtellina la produzione di grano saraceno ebbe il suo massimo fiorire prima del 1900 per poi scendere inesorabilmente fino quasi ad essere abbandonata intorno agli anni 1950: malgrado ciò il tradizionale chiscöl tiranese non è mai del tutto scomparso dalla tavola.

 

Proponiamo la ricetta del chisciöl ereditata dai nostri nonni.

2 parti di farina di grano saraceno.

1 parte di farina bianca.

Formaggio di “ casera “ giovane e magro.

un po’di vino.

un cucchiaio di strutto di maiale. 

acqua e sale quanto basta

 

Preparazione

Il chisciöl deve essere cucinato in una padella rigorosamente di ferro.

Preparare la pastella, mescolando 2 parti di farina di grano saraceno e 1 parte di farina bianca con un po’ di vino, acqua e sale q.b. fino ad ottenere un impasto sufficientemente amalgamato e liquido ma non troppo.

Sciogliere nella padella un cucchiaio di strutto di maiale, quindi versare uno strato di pastella di mezzo centimetro circa in altezza. Ricoprire con formaggio di “ casera” giovane e magro, tagliato a fettine .

Affondare lievemente il formaggio nella pastella e cuocere a fuoco lento, avendo cura di non lasciar bruciare, per circa 15 minuti.

Quando la parte a contatto con il fondo della padella è ben cotta ( imbrunisce) capovolgere e lasciar  cuocere bene altri 8-10 minuti .

Servire caldo con contorno di cicoria e accompagnare il tutto con vino rosso del tiranese.

 

Video della preparazione.

Clicca qui.

 

Orbene chi volesse assaggiare l’ottimo chisciöl della Confraternita non ha che da recarsi al prestigioso ristorante “ La Contrada “  di Armando Bencivenni a Villa di Tirano (contrada Beltramelli) e gustare il chisciöl della Confraternita sicuro che appena finito di gustarne uno serberà  il suo gusto piacevole, rilassante e persino afrodisiaco.

 

 A cura di Ezio Maifrè 

LASCIA UN COMMENTO:

DEVI ESSERE REGISTRATO PER POTER COMMENTARE LA NOTIZIA! EFFETTUA IL LOGIN O REGISTRATI.

0 COMMENTI