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La leggenda della “volta del Pèrsech“

CULTURA E SPETTACOLO - 15 11 2021 - Ezio (Méngu)

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/La bruzzéra alla volta del Pèrsech
La bruzzéra alla volta del Pèrsech

Chi percorre la mulattiera che dal Castello di S. Maria (detto anche Castelàsc ) per giungere all’alpe Canali, dovrà necessariamente passare per la “volta del Pèrsech“. Per chi non conosce la leggenda quella “volta” (curva quasi a 90°) non può gustare la magia che emanava ai miei tempi. Quella “volta”, salendo la mulattiera, la troverete dopo una “ rata“ ( salita ) . Se non avete gli scarponi ben suolati correrete il rischio di fare come i gamberi o trovarvi con il sedere sui sassi lisciati dalla “priale” ( carri da montagna ). Alla fine di questa salita vi apparirà l’ampio curvone, ora avvolto da una aureola di fitta vegetazione e se continuate la salita in un quarto d’ora sarete a Ronco. E’ in una incantevole posizione dominante l’intera Valle di Poschiavo, con vista da Campocologno ai monti del Bernina. Dovreste ricordare ! A Ronco durante la prima guerra mondiale, avevano scavato una trincea ponendovi due cannoni da 45 millimetri, in ausilio del forte Sertoli, per difesa nel caso che i “crucchi” sbucassero della Val Poschiavo. Ora chi transita dalla “volta del Pèrsech”, ricordandolo come ai tempi passati, avrà le lacrime agli occhi. Personalmente mi sono lasciato prendere dal pianto quando alcuni anni fa hanno installato in un prato appresso un enorme traliccio facente parte della grandiosa linea a doppia terna a 380 kV Robbia –S. Fiorano. Ora al posto del sussurro della voce del “vecchio viandante” vi è, giorno e notte, un fastidioso fruscio causato “dall’effetto corona” degli elettroni nei conduttori ad alta tensione. Friggono come una bistecca nella padella e par che dicano “ Friscccc, Friscccc, scàpa ‘l tà cur rée ‘n biss…” L’enorme elettrodotto è un esempio delle moderne comodità elettriche che si pagano con lo scotto del paesaggio “.  Porca loca! Mi rammarico di avervene parlato poiché quel ricordo mi ha tolto il buon umore, ma ogni promessa è debito e quindi racconterò la storia di quel luogo a patto che quando vi transitate ora vi tappate le orecchie, chiudete gli occhi e vi fate condurre dal vostro cane sin dopo il curvone. Ecco la leggenda di quella deliziosa curva, santa e misteriosa ai miei tempi.

 

Ernestino, figlio di Guido boscaiolo, stimato da tutti all’alpe Canali per la professionalità nel suo lavoro al punto di stimare al centimetro dove una pianta sarebbe caduta dopo il suo taglio. La gente diceva che Guido aveva fatto una scommessa, pegno la perdita del suo cavallo se avesse errato. Il professionista del bosco aveva scommesso dove l’albero sarebbe caduto e a quale distanza da un tetto d’una casa. Aveva piantato la punta del suo “ zapin “ ( piccone per legname) a mezzo metro dallo spiovente del tetto della casa e aveva detto:” i rami della pianta giungeranno sin qui, e non colpiranno il tetto della baita!” Incominciò a tagliare il tronco mentre i proprietari della casa si grattavano la testa preoccupati. “ Guido, per un poco, lavorò con l’accetta per quel che bastava e poi  con dei cunei e….srachr …pataplasc ….  la pianta cadde come a comando nel posto giusto e chi guardava  gridò al miracolo e al suo cavallo salvo. Orbene Guido quel giorno comandò a suo figlio Ernestino di scendere alla località Cadéni, dove abitava un suo amico, proprietario di un “brülu” ( frutteto )  dove v’erano molte piante di pesche deliziose e di mele dolci.

 

Disse: “Figliolo prendi lo zaino e va dal mio amico e fatti dare 20 pèrsech ( pesche )  e 30 pùm ( mele ).  E’ una sua promessa per un lavoro che gli ho fatto, ma mi raccomando che siano 20 pèrsech  e 30 pùm quando arrivi su in baita. So  il vizio che hai quando hai fame e sete.  “. Ernestino scese dalla mulattiera al piccolo trotto sino al li “ cadéni “ , trovò l’amico di papà e gli chiese le pesche e le mele, poi mise in ordine nel rucksack ( zaino ) e riprese la strada per il ritorno in baita. La giornata era calda e afosa, giunse alla Prima Croce, fece la solita riverenza al Signore e disse: “ caro Gesù ho una sete  e una fame da beduino, potrei mangiare un pérsech (pesca )  e un pùm ( mela ) ma papà vuole che tutte le pesche e le mele devono arrivare in baita. Anche tu o Signore ti vedo sofferente sulla croce, magari anche tu hai sete e fame ed è giusto che anch’io faccia un piccolo sacrificio d’ubbidienza.” Poi vide un fringuello che si posò proprio ai piedi del crocefisso e iniziò a cinguettare e a saltellare intorno alla croce. Ernestino seguì contento quella danza, finché il fringuello volò sul capo del Signore in Croce che non sembrava più sofferente ma sembrava ridesse. Ernestino diede uno scrollone allo zaino sulle spalle e continuò la salita sino a giungere ad una curva dove la strada si fa meno erta.

 

Era sudato, i tafani sulle braccia sembravano bere il suo sangue, non aveva acqua da bere, era  un cerbiatto che anelava l’acqua di fonte , Ma era determinato a mantenere la sua promessa. Doveva resistere alla sete sin quando fosse giunto in baita con il carico intatto e ben sapeva che una pesca o una mela lo avrebbe dissetato, ma il suo papà gli aveva ordinato che tutto il carico doveva giungere in baita intatto. Sedette su una grossa pietra, a lato della mulattiera, accanto ad un bel prato da poco falciato. Si tolse lo zaino dalle spalle e lo posò a lato. Le pesche e le mele erano ben visibili nello zaino, ma resistette  alla tentazione pensando al Crocefisso della Prima Croce. Quand’ecco che in fondo alla “ rata “ vide salire un vecchio con passo lento e traballante. Aveva i capelli lunghi, una barbetta grigia. Sembrava molto affaticato, ma il suo sguardo era dolce e intenso. Giunse presso Ernestino e gli disse con un sussurro : “sono stanco e assetato, hai forse qualcosa nel tuo zaino da darmi da bere per riprendere un poco le forze ? “   Ernestino indicando lo zaino disse:” ho delle pesche e delle mele, ne vuoi ?” Aprì lo zaino e sorridendo gli porse un pèrséch  e un pùm. Il vecchio ringraziò e subito mangiò la pesca e disse : “ Grazie, figliolo, ne avevo proprio bisogno “ poi prese il nocciolo della pesca, e con la punta del bastone scavò una piccola buca nel prato e lo sotterrò dicendo:”  quando sarai grandicello e giungerai in questa curva assetato mangia dei frutti dell’albero che qui crescerà, dove ho seminato il nocciolo del pèrsech che mi hai regalato. L’albero farà frutti fin che tu vivrai “. La mela la riserbo e la mangerò dopo quando avrò fame.

 

 Il vecchio se ne andò con un sorriso simile a quello che aveva visto nel viso del Signore Crocefisso alla Prima Croce e lentamente salì in un sentiero appresso e che porta alla località Corradini e scomparve nel bosco.  Ernestino richiuse lo zaino e riprese il suo, cammino sino a giungere sudato e assetato nella baita di papà all’alpe  Canali.  Il papà controllò per bene lo zaino e disse: “ mancano una pesca e una mela, brighella, ancora una volta mi hai disubbidito!! . Ernestino raccontò per filo e per segno che il pérsech e il pùm mancanti li aveva donati ad un vecchio stanco e assetato, raccontò anche che il vecchio aveva seminato il nocciolo della pesca che aveva mangiato nel prato accanto alla curva della “ bruzzéra ( mulattiera ) e raccontò anche la promessa  del vecchio incontrato in quella curva : disse che aveva regalato i due frutti per dissetarlo e sfamarlo. Guido diede una carezza al suo figliolo  e disse: ” bravo hai fatto bene”.  Passò un anno e il papà di Ernestino , attento osservatore dei prati e dei boschi passando in quella curva vide la pianticella di un pesco. Ricordò ciò che aveva detto il vecchio a suo figlio. Per due anni ebbe cura di quella pianticella e il terzo anno diede del deliziosi “ pèrsech “ . Guido ogni volta che si fermava alla vecchia osteria di Ronco raccontava la storia di quella pianta cresciuta in un luogo improbabile, quasi nel bosco, e si incominciò a chiamare quella curva “ la vòlta del Pèrsech “ ( curva del Pesco ). Quella pianta diede per quasi cinquanta anni pesche deliziose , finché un giorno si seccò. Alcuni” burelée “ che ricordarono quella storia seppero poi che Ernestino  era morto dopo una breve malattia. Ancora oggi quella curva nella mulattiera si chiama “ volta del persèch “  e un poco distante e a monte vi è un luogo chiamato il “ pùm “, chissà forse il luogo ricorda la stessa storia.

 

Ezio (Méngu)

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