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L'amor trionfante e l'amor perdonato - Prima Parte

CULTURA E SPETTACOLO - 07 02 2018 - Ivan Bormolini

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/chiesa san martino

PRIMA PARTE: “L'incidente e i litigi”

C'era un tempo in cui a Tirano la miseria regnava sovrana, poche le risorse che la terra offriva a quelle tante e laboriose famiglie contadine che, in alcuni casi, nelle loro umili dimore stentavano a mettere d'accordo il pranzo con la cena.

Esistevano però anche famiglie ricche e facoltose, spesso nobili, che forse mal si coniugavano con quella maggior parte parte della popolazione che traeva da umili lavori il poco pane quotidiano.

 

Nelle lunghe sere d'inverno, le luci tra le finestre delle corti contadine erano tenui, fioche quasi a voler narrare quel senso di incertezza e povertà.

Al contrario nei bei palazzi, i saloni erano illuminati sempre a festa e sembrava che da quegli ampi finestroni uscissero intensi profumi di cibi sapientemente cucinati, ben diversi per gusto ed apporto nutritivo dalle povere minestre contadine.

 

Di giorno, tra le vie del borgo i carri dei contadini, tirati stancamente da buoi o muli, dovevano cedere il passo a sfarzose carrozze trainate da cavalli di razza che apparivano fieri e ricchi come i padroni.

Ecco qui uno spaccato di vita locale, ma ci sarà stato un giorno in cui qualcuno ha messo sullo stesso piatto della bilancia questi due stili di vita?

 

Negli anni in cui si svolge questa storia, Tirano era un piccolo borgo e da tempo vi si era insediato, in un'agiata e grande dimora, un ricco uomo con la sua famiglia, era un produttore e commerciante di vini.

In poco tempo quell'abile affarista, un tal Battista Colombo della comasca, fiutando l'affare del buon vino valtellinese e la facilità di commerciarlo agli svizzeri e ad altri compratori europei in occasione della storica fiera di San Michele, aveva fatto il colpo grosso.

Stabilitosi a Tirano, aveva acquistato le vigne migliori del versante Retico di Tirano, di Villa, spingendosi sino alla zona di Tresenda di Teglio. Nel suo palazzo aveva fatto allestire ampie cantine, con torchi e capienti botti; per pochi denari molti abili vignaioli erano stati assunti alle sue dipendenze.

 

Dalle sue vigne esposte al sole sembrava che ad ogni vendemmia i grappoli fossero ben più grandi rispetto ai coltivi dei confinati. Si diceva che in vigna quei preziosi frutti parevano già voler raccontare la maestosità di un vino, divenuto nell'arco di pochi anni famosissimo per le sue eccellenti qualità.

 

Fatto sta che gli investimenti compiuti ed il buon vino prodotto, commerciato con facilità, avevano ulteriormente arricchito il signor Battista, il quale certo non mancava di farlo notare in ogni occasione.

Era divenuto un personaggio molto rispettato e pure temuto e lui di questo ne andava fiero, nel suo palazzo non mancavano feste e con nobili invitati, grandi banchetti e musiche sino a tarda notte.

Anche la moglie ed il figlio avevano sposato questa ricchezza, indossavano abiti confezionati dalle più note botteghe di sartoria nazionali, però nonostante la ricchezza e la vita agiata, apparivano più umili ed entrambi succubi di quel Battista ormai tronfio del suo smisurato potere economico, ma ben poco morale.

 

Entrava in chiesa parrocchiale di San Martino, per la “Messa grande” della domenica, con moglie e figlio sempre due passi dietro di lui.

Percorreva la navata principale senza nemmeno togliersi il vistoso cappello e giunto al cospetto dell'altar maggiore non si genufletteva nemmeno al cospetto del Santissimo Signore.

Il tutto, ai tempi, sembrava agli occhi degli umili tiranesi una sfilata di moda più che un sentito atto di devozione e fede, e la storia si ripeteva domenica dopo domenica, a Natale e Pasqua giungeva in parrocchia persino in carrozza!

 

Infondo alla chiesa era solito sedere, sempre se c'era posto, un piccolo contadino della contrada del Dosso; egli ,con la minuta moglie e l'esile ma bellissima figlia, ascoltava con umiltà la parola del Signore e l'omelia del parroco.

Con quei logori “abiti della festa”, mal sopportava quel Battista giunto da Como e ormai padrone di mezzo borgo.

 

Luigi, questo era il nome del contadino, viveva nella sue umile dimora ombreggiata dall'antico castello del Dosso, godeva con la sua famiglia del poco latte che la mucca ogni giorno dava loro e di quel poco che la terra offriva: patate, rape e altri ortaggi, poco altro riempiva la tavola mestamente imbandita. Un poco di carne lessata, solo a Natale e Pasqua, rare le volte che riusciva a mettere da parte qualche soldo per poter acquistare il maiale e goderne degli insaccati. Anche la moglie si dava da fare facendo “la serva” per pochissime ore presso una nobile famiglia. La figlia Anna accudiva e resettava la casa, dando una mano la padre in piccoli lavori.

 

Un giorno, proprio Anna, attraversando la piazza del Pretorio (l'attuale piazza Cavour), era stata urtata dalla carrozza del signor Battista, cadendo rovinosamente a terra e lamentando nell'immediato dolori ad una gamba.

Subito, il buon cocchiere aveva fermato i cavalli ed e si era premurato di portare alla giovane ragazza il primo e doveroso soccorso. Scese anche Battista accompagnato dal figlio Giovanni dicendo:

Che vuoi che sia ragazzina, alzati e torna a casa tua, non hai alcun segno, non perdi sangue, sarà solo una piccola botta alla gamba e nulla di più!”.

 

Giovanni rimasto folgorato dalla bellezza di Anna, aveva tentato subito di far ragionare lo smargiasso padre:

Ma padre! Mettiamola sulla nostra carrozza, riportiamola a casa sua, e parliamo con i genitori.”

Niente da fare, la boria di Battista non aveva voluto sentir ragioni, anzi aveva rimproverato il figlio asserendo con toni minacciosi:

Non permetterti mai più di contraddirmi o intervenire sulle mie decisioni, altrimenti la punizione sarà davvero esemplare”.

 

Nel frattempo qualche persona si era radunata attorno a quella carrozza in procinto di lasciare la piazza e la povera Anna dolorante, lasciata a terra. L'ordine di Battista al cocchiere, che ovviamente non aveva proferito verbo, era stato perentorio: risalire e ripartire immediatamente.

 

Passava di lì un buon uomo, con il suo carro, avendo visto tutta la scena, non aveva perso altro tempo ed aveva adagiato Anna sul suo carro riportandola al Dosso e raccontando tutto alla madre.

Subito, la madre Agnese, spaventata dal racconto e vedendo che la gamba si gonfiava sempre di più, aveva chiamato il marito che si trovava a lavorare nell'opolo vicino a casa.

Questo, udite le parole dell'umile soccorritore, non perse tempo: con due stecche di legno e un lenzuolo legato ben stretto, aveva immobilizzato l'arto della figlia che era ovviamente rotto. Altri rimedi non c'erano.

 

Nel frattempo, nella ricca dimora e nelle ampie cantine si procedeva nella produzione del vino novello, ma Giovanni, rimasto folgorato dagli occhi di Anna, proprio non riusciva a pensare ad altro.

Luigi, che logicamente non aveva digerito per nulla l'atteggiamento dell'arrogante Battista, il giorno dopo, senza dir nulla alla figlia e alla moglie, aveva bussato al portone del palazzo chiedendo udienza a Battista con una certa insistenza. Insomma ,voleva dirgli in faccia quello che pensava, sempre però con la pacatezza che contraddistingueva il suo carattere.

 

Giunto al cospetto di Battista si era subito sentito dire con un certo tono altisonante:

Che vuole da me questo piccolo contadino, malvestito... Non si sieda, altrimenti sporca i velluti delle mie sedie. Si sbrighi, mi dica ciò che vuole e se ne vada, non ho certo del tempo da perdere con uno come lei!”.

Luigi, udendo quelle parole, si era fatto prendere da una certa ira; pur mantenendo la calma aveva asserito con toni fermi che il comportamento di Battista dimostrava scarso senso civico e grave maleducazione e pretendeva quantomeno le doverose scuse per l'accaduto.

 

Ed in quel momento i toni si erano fatti più accesi tanto da richiamare la moglie ed il figlio nel salone.

Sentendosi offeso, Battista, con voce quasi feroce, rispose all'umile contadino:

Che cosa? Io chiedere scusa ad un pover uomo come te, ma chi ti credi di essere, come ti permetti di venirmi a fare la morale. Falla a tua figlia e insegnale a guardare dove mette i piedi. E poi cosa diavolo vuoi che sia una gamba rotta! Vattene immediatamente altrimenti ti faccio pigliare a bastonate dai mie servitori.

 

Nell'assistere a quell'alterco il figlio Giovanni era esploso di botto:

Ma padre, come ti permetti, sono forse questi i valori che mi hai insegnato?

Chi sei diventato, i soldi ed il potere ti hanno forse annebbiato l'umana ragione? Chiedi scusa a quest'uomo e dà lui del denaro per poter meglio curare la figlia! Padre in due giorni mi hai deluso due volte!

 

Apriti o cielo.

Sei tu figlio ingrato che mi hai mancato di rispetto due volte, ieri in piazza ed oggi qui. Ciò che decido è irremovibile e tu non devi mai più permetterti di rivolgerti a tuo padre con questi toni.

Ora va in camera tua e ringrazia il Signore che non ti do uno schiaffone:

E tu moglie, non guardarmi con quello sguardo sentenzioso, se fate la bella vita è solo merito mio e non certo vostro. Esci anche tu e butta fuori di casa quest'uomo”.

 

Luigi, che evidentemente non aveva ottenuto i risultati morali attesi, si stava allontanando e scendendo dalle ampie scale era stato immediatamente raggiunto dalla moglie di Battista:

Signore, signore! Voglia accettare le mie scuse per l'accaduto, non sapevo nulla del fatto. Torni a casa e abbracci sua figlia come se lo facessimo io e mio figlio.

Di qualunque cosa abbia bisogno non esisti a cercarmi, torni domani, mio marito partirà per l' Engadina e starà via per qualche giorno, le darò io del denaro”.

 

Luigi, salutando con garbo la signora, si era congedato; non voleva denaro, ma era amareggiato per le mancate scuse.

 

(Fine prima parte)

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