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IL TEMA DELLA PATERNITÀ NELLA STORIA DELL’ARTE E NELLA LETTERATURA

CULTURA E SPETTACOLO - 16 09 2015 -

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/ Fonte: www.atlantedellarteitaliana.it
Fonte: www.atlantedellarteitaliana.it

Il tema della maternità ricorre frequentemente nel mondo dell’arte e della letteratura. In particolare, se si pensa alla poesia italiana, numerosi sono i versi dedicati alla madre (la Madre, Giuseppe Ungaretti), ma meno frequenti quelli che si incentrano sulla figura paterna.

Mi sovviene un’unica poesia, in cui Dylan Thomas dice al padre: «Non avviarti mite in quella buona notte, / la vecchiaia dovrebbe ardere e urlare / Al termine del giorno; / Infuriare, infuriare al morire della luce. /

Sebbene i saggi sappiano, giunta la fine, che è giusta la tenebra, / poiché le loro parole non scagliarono fulmini mai, / Essi non vanno miti in quella buona notte. // I buoni, ritiratesi ormai l’ultima onda, / gridando splendide le loro fragili azioni, / avrebbero potuto in una verde baia aver danzato, / infuriano, infuriano al morire della luce.// [...] E tu, padre mio, là sulla triste altura / maledicimi, benedicimi ora con le tue fiere lacrime, ti prego. / Non avviarti mite in quella buona notte. / Infuria, infuria contro il morire della luce».

Il poeta, anch’egli morto giovanissimo, all’età di trentanove anni, si rivolge al padre affinché resista a quell’ardere del tempo che divora la sua carne sino ad estinguerlo. Si avvale di termini e verbi molto forti: infuriare, maledire, morireEppure è uno dei pochissimi casi in cui il tema dominante è quello del padre, talvolta visto come antagonista, come nel caso dell’allora fanciullo Giacomo Leopardi.

Del resto la stessa orazione che si rivolge a Dio inizia con un concetto generico, ovvero «Padre nostro», ma non è il nostro vero padre, è un’invocazione spirituale a qualcuno che non percepiamo così prossimo a noi.

Anche nella storia dell’arte la sua figura appare spesso assente, isolata oppure marginale. A questo proposito mi sovvengono le opere di Giovanni Gerolamo Savoldo, vissuto a cavallo tra la metà del Quattrocento e del Cinquecento, in cui, osservando la sua Adorazione dei Pastori, appare evidente il ruolo giocato dall’architettura nell’inquadratura della scena principale.

In un capanno di estrema semplicità e diroccato nella roccia appare la figura della Vergine, non vestita di abiti sontuosi, ma come una donna del popolo, sebbene assuma un’immensa dignità compositiva. E San Giuseppe? Sta fuori, è escluso da quello spazio povero ma solenne. E’ un atteggiamento tipico di Savoldo, il quale non lo ritiene forse degno di essere protagonista di quel miracolo divino che posa sul prezioso corpo di Cristo.

Questo concetto appare ancora più evidente nell’analisi delle tante Adorazione dei Magi e Adorazione dei pastori di Jacopo Bassano.

San Giuseppe si affaccia, osserva la scena da dietro un muro di pietre, volge il proprio sguardo altrove, osserva la scena con distacco, rimarcando la sua estraneità al miracolo.

Del resto anche il vero Padre, Dio, appare raramente nelle iconografie e si affaccia, talvolta, benedicente. Protagonisti sono invece il Figlio e la Vergine.

Alessandro Cantoni

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