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Il talento rubato (e poi reso) alle donne

CULTURA E SPETTACOLO - 13 04 2018 - Alessandro Cantoni

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/artemisia gentileschi, quadro
Artemisia Gentileschi, Giuditta che decapita Oloferne

Nascere donna, ancor nell'età di mezzo, significava essere considerata "infirmi anime", una mente debole. Perciò le donne venivano relegate in casa, sotto la protezione di un uomo. Poco contava se si trattasse del pater familias, oppure un marito vigoroso e possente.

Questa condizione le costringeva a rimanere delle eterne minorenni, incapaci di far di calcolo, di gestire il patrimonio familiare, o semplicemente di esercitar le arti, corporali quanto quelle dell'intelletto. Dovevano nascondersi, spesso celare il loro genio tra le mura e i giardini floridi dei monasteri, perché, nel Medioevo, era persino proibito loro di imparare a leggere o scrivere.

In realtà, le cose migliorarono di poco nel corso dei secoli, pervenendo a qualche significativo risultato solamente negli ultimi secoli, almeno per quel che riguarda la condizione sociale e i diritti civili.

 

Eppure, quasi sempre le donne erano superiori all'uomo, per conoscenze e talento creativo. Partecipando all'incontro di giovedì 12 aprile, Le donne ai tempi dell'Orlando Furioso, tenutosi alla Biblioteca Arcari di Tirano e curato da Maria Carla Fay, Silvana Onetti e Alessandro Materietti, dell'Associazione Culturale Bradamante, un'immagine riluceva nella mia mente. Quella di una grande artista, Artemisia Gentileschi, non meno notevole di Caravaggio e forse persino più drammatica, potente, esuberante ed energica nel raccontare le sue opere, estrapolate dalle strade insanguinate e dai luoghi peccaminosi. Nelle sue immagini si riflette tutto il carattere della malavita napoletana, prepotentemente teatrale e evocativa, scenica.

Fu acuta di ingegno, ma la sua personalità sarebbe stata riconosciuta tardivamente se non avesse trovato il coraggio di denunciare il suo stupratore, Agostino Tassi.

Artemisia è stata doppiamente innovativa, sul piano artistico come su quello sociale. E' lei ad aver riscattato l'immagine di una donna piegata dalle frustrazioni e dai soprusi degli uomini. La vera rivoluzione nell'universo femminile si compie in nome di Artemisia, molti secoli prima che le femministe del XXI secolo levassero il vessillo rosso delle libertà.

 

La seconda immagine, fortemente evocativa, mi viene suggerita da un episodio più recente, ma significativo, ispiratomi dal volume L'anno del ferro e del fuoco, del giornalista e scrittore Ezio Mauro.

E' la rivoluzione del 23 febbraio 1917: una rivota post-ideologica, nella quale, contrariamente ai successivi moti di ottobre, marcatamente bolscevichi, l'elemento politico non ha ancora fatto la sua comparsa.

Migliaia di donne lasciarono le fabbriche marciando pacificamente lungo le strade di Mosca, per chiedere un aumento dei salari e migliori condizioni di vita. Sono le donne, nuovamente, le protagoniste di una significativa svolta. Le donne, che, con il loro lavoro, hanno combattuto per le generazioni a venire.

 

Nel corso della disussione, si è parlato molto di un innovatore, un uomo che ha voluto celebrare l'universo femminile. Si tratta di Ortensio Lando, vissuto negli anni della Riforma e autore di un'opera inedita al grande pubblico, Lettere di molte valorose donne.

Particolarmente curiosa è l'iscrizione, la quale propone parole rivelatorie. Le protagoniste sono infatti delle "valorose donne, nelle quali appare non esser ne di eloquentia ne di dottrina alli uomini inferiori". Queste straordinarie lettere costituiscono una fonte preziosa, e sono corrispondenze epistolari più o meno colte, intrattenute delle nobildonne valtellinesi, appartenenti alla casata dei Besta di Teglio, degli Alberti di Bormio, dei Malacrida e dei Vertemate.

 

Certo, le popolane continuarono ad essere considerate le guardiane dei focolari domestici, ma il caso di Ortensio Lando ci dimostra che anche la cultura può portare innovazione, cambiamento. Una svolta che non è mai stata manifestamente eloquente quanto negli ultimi anni, in cui, finalmente, il grido delle donne ha scosso i fragili castelli di carte della cultura maschilista, dominante, anche nel nostro territorio, fino a pochi decenni fa.

A cinquant'anni di distanza, è di nuovo fiorito il Sessantotto delle donne, ma in una nuova veste. A guidare la nuova trasformazione in atto non è più il rancore, ma la speranza. La speranza di un equilibrio. Le donne ci sono, eccome!

 

Alessandro Cantoni

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