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Il sorriso del cavallo "Scarizza"

CULTURA E SPETTACOLO - 05 08 2021 - Ezio (Méngu)

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Avete mai visto sorridere un cavallo? Io sì! Vi racconterò, se avete pazienza, quando l’ho visto sorridere felice come una “pasqua” e dimenare gambe, coda e testa come fosse in una “ trottoteca”. Non crediate che racconti storielle inventate e se aggiungerò qualcosa è frutto di una mia sensibilità fanciullesca dei ricordi che tengo preziosi nel cuore.

 

Si sappia che ogni cavallo assomiglia un poco all’uomo poiché ha una propria personalità  e intelligenza. Quando succede qualche fatto che interessa il suo padrone è anch’esso trascinato  dagli eventi e partecipa con generosità  e curiosità.  Il cavallo “Scarizza” seguiva ogni mossa e comando del suo padrone con quella dedizione che gli innamorati hanno per la loro bella.  E’ certo!  Il cavallo è un animale meraviglioso  ed è perciò essenziale per il suo padrone conoscere la sua psicologia, amarlo e accarezzarlo quasi con la stessa passione  che nutriamo verso la nostra compagna. Il cavallo, se amato, dà sempre affetto e ama vivere come noi una vita tranquilla. A volte appare timoroso e se per sua difesa scalcia  sappiate che lo fa in casi estremi, poiché ama la libertà e disdegna la prepotenza e il bastone. Ricordatevi che se per caso lo picchiate lui si ricorderà sempre dell’azione scellerata , ma se poi lo accarezzerete tende spesso a dimenticare e a perdonare più degli umani.. Osservatelo bene: muoverà  le orecchie , la coda  e se condivide ed è contento con il labbro superiore arricciato vi farà un sorriso. Ebbene tutte queste cose le ho notato da ragazzo, in quel di Ronco, nel cavallo di Michele che lui chiamava orgogliosamente “ Scarizza “ ( scintilla ) .

 

Racconterò un fatto veritiero. Michele non solo era un “ viciurìn “ ( conducente di priale di fieno ) talmente  esperto da impacchettarle da sembrare  volassero sui sassi della mulattiera trascinate dallo “ Scarizza “, ma era  anche un ottimo “ burelée “ ( da burèl - tronco d’albero  e poi anche boscaiolo -). Era uno di quei “ burelée “ che quando devono abbattere un grosso larice con il “ rasegùn “ ( sega  a lama lunga ) prima lo studiano nei suoi particolari, poi decidono da che parte farlo cadere alzando verso il cielo il dito  indice della mano destra  inumidito dalla saliva  per sentire da quale parte tira il vento. Poi procedono al taglio e con dei cunei di legno lo fanno cadere, con la tolleranza di mezzo metro, dove avevano deciso di mandarlo .  Infine  soddisfatti si sputano sulle mani e a colpi di accetta affilata come un rasoio “ i sràma “  ( tagliano i rami )  pronto per essere trascinato a Valle.  Ebbene, quel giorno di agosto a Michele qualcosa andò di traverso. Aveva proceduto come da rito al taglio di un grosso larice presso la “ piana del Gèta “ ( località)   , appena sopra Ronco. Michele era assistito dal suo cavallo che aspettava di trascinare il lungo tronco di larice giù per la “ strada dei  Maganèt “ ( stretta stradina ripida nel bosco ) . Michele guardò ben bene il tronco, valutò che era troppo lungo per essere manovrato e decise di tagliarlo in due pezzi da 6 metri. A lavoro fatto conficcò un grosso “cavicc”  ( cuneo  metallico ) sulla testata del tronco, poi con una grossa catena e con un moschettone lo  collegò all’imbastitura di “Scarizza”che già sapeva il lavoro che doveva fare per trascinarlo dalla “ strada dei Maganèt “  fino alla mulattiera . Il lavoro lo fece a meraviglia mentre il suo padrone  guidava la discesa del tronco a colpi di “ zapìn “( piccone appuntito ) .

 

Fin qui il primo tronco , poi toccò al secondo : bene non andò poiché a causa di un masso sulla strada il secondo tronco sormontò sul primo. Michele non fece in tempo ad evitare l’intempestivo sobbalzo del tronco e con una gamba rimase  imprigionato dai due legni in modo tale da non potersi più muovere per districarsi. “ Scarizza” vide tutto; prima provò un moto di spavento, poi  quasi capisse il pericolo per il suo padrone non si mosse. L’essere legato ancora con la catena al tronco tramite il  “ cavìcc “ poteva aggravare la situazione. Michele, con sforzi e dispiegamenti, riuscì  ad aprire il moschettone che collegava la grossa catena al “ cavìcc  sul tronco e il cavallo fu libero di muoversi. Michele ordinò a Scarizza: “ vèn chilò !  “ ( vieni qui! ) . Il cavallo si mosse lentamente, si girò e i due furono faccia a faccia. Michele mise tra i denti del  cavallo il suo basco e con una carezza gli ordinò “ Vàn sü dàla Vergina  e fermàt ilò !  “( vai dalla Virginia e fermati lì! )  . A testa bassa e con occhi acquosi il cavallo ubbidì . Dalla “ strada dei  Maganètt “ a Ronco la distanza è breve, saranno cinquecento metri ,  e in un botto il cavallo fu nel piazzale dell’osteria. Al tavolo v’era Gino, “ ‘l sa tiràva “  “( beveva )  il solito calicino tanto  “ per tiràs sü “ ( per prendere forza ) . La nonna appena vide “Scarizza”  con il basco di Michele tra i denti capì che era successo qualcosa di brutto. Gino e mia nonna si avvicinarono a “Scarizza “   che con la testa dava segni e volgeva lo sguardo sulla mulattiera . I due capirono  e  seguirono “ Scarizza “ . Fecero alcune centinaia di metri e sentirono le grida di aiuto  di Michele. La nonna corse in soccorso  confortandolo, mentre Gino, che sapeva fare in modo eccellente il suo mestiere, aiutato da “ Scarizza “ lo liberò dai tronchi. A braccia lo caricarono  sul dorso del cavallo e con le dovute cautele raggiunsero Ronco. La nonna vide che Michele aveva uno stinco sanguinante  ma nulla di serio. Gli fasciò la gamba  e si fece raccontare l’accaduto. Mia nonna, Michele  e io eravamo  seduti in cucina , mentre “ Scarizza “ era nel piazzale , presso i grandi larici  a lato della mulattiera ,  che si mangiava metà sacco di avena. I complimenti e le carezze al cavallo “ Scarizza “ non mancavano. 

 

Passò circa un’ ora buona, quando in Valle si fece scuro. Il cielo era diventato colore “ bàguli de chéura “ ( cacca di capra ). In Val Poschiavo tuonava e la valle era scura.   La cucina della baita tra le ombre e i chiari sembrava illuminata dai lampi come una discoteca moderna. La nonna diceva  guardando la Valle di Poschiavo : “ l’aqua Pusciavina la bàgna mìga la Valtellina “ ( l’acqua della Valle di Poschiavo non bagna la Valtellina ) poiché da tempo immemorabile le correnti d’aria della Valtellina bloccano la perturbazione nella Valle di Poschiavo e non raggiungono  quasi mai Tirano. Ma si sbagliava poiché il monte Masuccio sembrava strozzato da grossi nuvoloni neri, più  neri della “ culdera de ‘n magnan “ ( grosso pentolone per il latte ) .  Guardando verso Sernio poi la valle sembrava chiusa da un muro di pietra, segno che il temporale scendeva verso Tirano. D’un tratto s’alzò un vento da piegare la cima di grossi larici e subito dopo cadde una pioggia battente, più battente  di uno scroscio di pipì di mucca. Michele si ricordò del suo cavallo “ Scarizza “che era presso i grandi larici e disse a Gino di portarlo al riparo sotto la tettoia del fienile con il sacco di biada, cosa che lui fece immediatamente. La nonna chiuse l’uscio e accese una candela, guardò in faccia Michele e disse : la tàa amò ‘ndàcia bèa ‘na olta! “  ( ti è ancora andata bene un'altra volta ) . I due uomini annuirono e io capii che la nonna aveva ragione. Nemmeno il tempo di terminare la frase e si vide un lampo accecante e si sentì un forte tuono che quasi spense il lume della candela per lo spostamento d’aria. Poi vi fu un odore di legno bruciato.  La nonna  con voce alterata gridò : “ la saéta  l’è crudàda chilò visìn “ ( il fulmine è caduto qua appresso ) , si sente odore di legno bruciato.” Stettero tutti attoniti e pensierosi finché il grosso del temporale passò. Corsero sotto la tettoia dove “ Scarizza “ era stato portato e lo videro calmo e tranquillo, come un prevosto, che stava finendo il sacco di biada. Poi andarono presso la mulattiera dove di trovavano i grossi larici. Un  potente filmine aveva colpito il tronco di un larice scortecciandolo da cima a fondo con un solco profondo e elicoidale e ancora bruciava l’erba  intorno.

 

Tornati in  cucina, la nonna disse. “ ‘ncöö ‘l gh’é stacc furtüna duppia. Regurdìs bée,  car matéi che se ‘n sa giùta l’un cun l’otru, ‘l ciel ‘l giüta um e besti “  ( Oggi c’è stata fortuna doppia, Ricordatevi bene, cari giovanotti , che se ci aiutiamo l’un l’altro , ‘l ciel aiuta uomini e bestie ) .  Ho quasi ottanta anni e , credo proprio dalla mia esperienza, che mia nonna aveva ragione.

 

Ezio (Méngu)     

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