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Il Sacro Macello a Tirano

CULTURA E SPETTACOLO - 20 05 2022 - Ivan Bormolini

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/PALAZZO PRETORIO E DINTORNI
PALAZZO PRETORIO E DINTORNI

(Dodicesima parte di I. Bormolini) Sin dall'inizio di questa piccola ricerca, oltre ai fatti puramente narrati di quell'epoca per noi ormai così lontana, mi sono prefisso di citare le tante vicende di quel borgo tiranese che per molteplici aspetti aveva avuto parte importante in quei tempi bui.

Il Sacro Macello, espressione usata per la prima volta da Cesare Cantù, proprio a Tirano vedeva il suo inizio, ma ecco alcuni fatti:

Di sicuro la citazione introduttiva utilizzata da don Lino Varischetti nella sua opera “Tirano”, al Capitolo VIII. “L'insurrezione del 1620”, ci fornisce uno spaccato di quei momenti:

“Tragico mattino di sangue: sugli spalti di Tirano le sorti della Valtellina”.

Dopo aver preso gli ultimi accordi, allo spuntar dell'alba di domenica 19 luglio 1620, Simone Venosta, si era recato con un drappello di uomini armati nella piazza del Pretorio di Tirano (l’attuale piazza Cavour) dove sorge palazzo Pretorio.

Qui al segnale di alcuni colpi d'archibugio e delle campane della parrocchiale di San Martino, si era dato il via alla strage.

Nella notte, riferisce il Varischetti, 120 uomini armati al comando dello stesso Robustelli, erano stati introdotti attraverso la porta Poschiavina, la quale, era stata aperta notte tempo da una guardia “prezzolata”.

Un altro contingente, si era appostato presso il castello di Piattamala al fine di impedire l'arrivo di eventuali rinforzi dalla Svizzera.

Nel borgo, il contingente più agguerrito si era disposto dunque nei pressi del Pretorio, altri congiurati si erano appostati nei pressi della chiesa parrocchiale di San Martino, probabilmente nell'attuale palazzo Quadrio.

Ma perché era stata scelta quella data?

Il tutto ovviamente non era stato per nulla casuale, nella serata del sabato e durante la notte che portava alla domenica, il podestà di Tirano aveva organizzato una festa per la nascita di sua figlia, invitando molte personalità notabili grigioni residenti in valle.

L'occasione era quindi propizia per dare il via all'insurrezione, in quella notte il padrone di casa e i suoi convenuti, avevano conviviato a lungo e un testimone dei fatti aveva scritto: “erano conciati di vino de confettura tedesca”; possiamo quindi dedurre che erano facili bersagli, forse anche perché incapaci al momento di difendersi.

Ora possiamo arrivare anche a chiederci qual era stata la reazione dei tiranesi al rumore delle archibugiate e al suono a martello delle campane di San Martino.

Va detto che le cronache di quella mattina, da parte riformata e da parte cattolica, restano tutt'oggi piuttosto oscure: scriveva infatti Ettore Mazzali che probabilmente la popolazione aveva creduto che i colpi d'archibugio, che non erano infrequenti, erano partiti da alcuni banditi o profughi armati, forse allo scopo di liberare dalle prigioni del Pretorio Michele Federici, arrestato perché imputato di sedizione, e che le campane erano state suonate per chiamare i residenti a difesa del palazzo stesso.

Secondo questa versione di cronaca la popolazione tiranese sarebbe stata all'oscuro di tutto, ma questa era intervenuta più tardi e parzialmente; ciascuno aveva seguito il proprio istinto, o di moderazione, o di paura, o di violenza.

Purtroppo, ci ricorda sempre il Varischetti che per le vie di Tirano, in quella domenica mattina erano avvenuti scontri sanguinosi e scene raccapriccianti.

La strage, comunque, si era compiuta tra il Pretorio e la chiesa parrocchiale, eccenzion fatta per la decapitazione del ministro riformato Antonio Basso, il cui capo veniva poi esposto sull'altare della chiesa di Santa Maria al pubblico dileggio.

In quei momenti a Tirano, oltre al Basso, venivano uccise circa 60 persone: fra queste il podestà Giovanni de Capaul, il suo cancelliere e il cognato di quest'ultimo, che era cattolico, Maffeo Cattaneo, il podestà di Teglio Andrea Enderlin, il vicario di valle Antonio Salis, un altro ministro riformato, Samuele Andreoscia, ministro di Mello, il protestante Antonio Nicolay, al quale erano stati prima strappati gli occhi.

Ed ancora il necrologio proseguiva con un tal Giovanni Nazzari con moglie e figli, la sua colpa era stata quella di sottrarre al linciaggio il Nocolay, Giovanni Monti, pretore di Brusio, ed altri riformati che in quella mattina avevano preferito la morte piuttosto che l'abiura.

La rinuncia libera e perpetua, l'abiura, aveva concesso il salvataggio al cancelliere Gaudenzio Salis, scortato sino al confine insieme alla moglie e ai figli del podestà ucciso al Pretorio.

Altri si erano salvati dal linciaggio con la fuga, ne sono esempio Egidio Venosta e il giurista Giacomo Albertini.

Le cronache insistono nel definire gli esecutori del massacro come sgherri armati: si citano degli esempi tra i quali si dice che la morte del podestà de Capaul, era stata decretata ed eseguita da uomini d'arme arruolati da Giacomo Torelli, quando ancora non era stata pronunciata la sentenza contro di lui.

Ed ancora: che il dottor Giovanni Battista Marinoni, personaggio di grande valenza storica a Tirano, al fine di impossessarsi della pregiata spada del podestà del Capaul, uccideva Antonio Bottigioli che ne era impossessato per primo: una rissa di mercenari o di ribelli? 

Non è mio compito e facoltà giudicare, esprimere o emanare sentenze, resta il fatto che il Sacro Macello, aveva segnato un’epoca, una sua fine oppure un altro periodo di gravi incertezze?

 

 

FONTI: SINTESI DELLA STORIA DELLA VALTELLINA MEDIO-ALTA. Autore: Ennio Emanuele Galanga. Stampa: Finito di stampare nell' agosto 1992 dalla Litografia Poletti in Villa di Tirano Sondrio. Dalla pagina 65.

TIRANO. Autore: Lino Varischetti. Stampa: finito di stampare il 29 settembre 1961 presso la Tipografia Bettini in Sondrio. Dalla pagina 35.

Copertina: dall'album Foto Tratto Pen e matita di Ivan Bormolini.

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