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III parte - L'inizio dei guai seri per il signor Battista

CULTURA E SPETTACOLO - 12 02 2018 - Ivan Bormolini

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/botti vino

Ormai nel palazzo tiranese a comandare e dettare regole non era più Battista ma Giuditta. Ogni suo desiderio era per quell'uomo un ordine da esaudire.

Qualche suo amico lo aveva messo in guardia tentando di fargli capire che l'amore di Giuditta, ammesso che questo vi sia stato, non era poi così disinteressato. Ma Battista non voleva sentir ragioni, era diventato una sorta di zerbino. Andava rassicurando tutti che gli affari andavano a gonfie vele e che comunque tutte le finanze, in entrata ed in uscita, le vagliava attentamente e personalmente.

 

Si è messo ad allontanare le amicizie che tentavano di farlo ragionare e Giuditta, nel frattempo, iniziava ad ordire il suo scellerato piano: voleva tutto per sé quel palazzo per farvi una residenza estiva e nulla la poteva fermare, a lei il vino e le cantine, oppure il commercio, non interessavano: voleva la signorile residenza vuota da quei beni che le davano fastidio.

Il suo fedele maggiordomo era già stato battezzato da molti tiranesi “il losco”, sempre con lo sguardo basso un viso che non prometteva nulla di buono, e nei piani di Giuditta proprio il losco aveva un ruolo determinate.

 

Di notte, mentre Giuditta tentava di dormire al fianco di Battista che russava a dismisura, il losco cominciava a studiare bene bene la situazione di quelle cantine. Con un lume sempre in mano aveva boicottato i torchi, rendendoli, almeno a suo dire, inutilizzabili.

Quando i cantieri si erano accorti del grave problema avevano avvisato Battista il quale come al solito aveva dato loro degli incompetenti incolpandoli del danno. Un buon manutentore li aveva in poco tempo riportati in funzione.

 

Giuditta, vedendo miseramente fallire il piano del losco, lo aveva rimproverato con dure parole:

Brutto stupido, ti avevo ordinato di rendere inutilizzabili quelle cantine, e tu non hai fatto altro che provocare un piccolo danno. Adesso ritorneremo a Berna per qualche tempo, intanto studia bene cosa fare, perché al nostro ritorno voglio chiudere definitivamente questa storia e togliermi di torno quel grassone russatore”.

 

Era trascorso altro tempo, moglie e figlio di Battista erano sempre a Como e lui continuava a gestire le sue attività, anche se dalla Svizzera le commesse cominciavano a subire cali, quel buon vino tiranese, sembrava non godere più della fama di un tempo.

Battista si interrogava sui perché, si era recato personalmente da alcuni importanti clienti, ma questi avevano asserito che quel suo vino stava divenendo poco apprezzato ed i costi non corrispondevano alla qualità. Si preferivano i vini francesi, meno costosi e più buoni!

Battista che comunque, nonostante il calo delle vendite, riusciva a gestire l'azienda che non presentava ancora allarmismi economici, ma si cominciava a chiedere cosa non funzionasse nel suo vino.

 

In realtà quel vino non aveva nulla di diverso rispetto al solito. A limitarne il commercio era stato il nobile fidanzato ufficiale di Giuditta. Alcuni suoi emissari si erano messi ad introdurre vini francesi nei canali commerciali di Battista. Il prezzo inferiore, ma comunque una buona qualità avevano fatto una certa differenza.

Giuditta dopo un periodo di assenza da Tirano, vi aveva fatto ritorno questa volta accompagnata da ben due maggiordomi, il famoso losco ed un secondo definito subito il viscido da molti, che lo avevano visto aggirarsi tra le vie del borgo.

 

Poche settimane dopo i due, erano pronti per entrare in azione. In una notte buia, resa ancor più tetra da una battente pioggia era scattato il piano.

Colpi di ascia ben assestati alle cinque botti più capienti della cantina! Il danno era fatto; ettolitri di buon vino avevano iniziato a fuoriuscire sul pavimento allagando le cantine.

Nelle altre botti più piccole, dov'era contenuto il prezioso Sforzato; i due avevano messo una strana spezia rovinandone così le caratteristiche salienti.

Il danno era fatto, vino a terra e vino adulterato.

 

[FINE TERZA PARTE]

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