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Dialetto: lingua della intimità

CULTURA E SPETTACOLO - 23 01 2021 - Ezio (Méngu)

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In questi tempi di pandemia chi desidera fare una passeggiata gradevole può percorrere le stradine di campagna che si diramano dall’argine destro orografico del torrente Poschiavino e che si disperdono tra i campi. Il mio viottolo preferito è quello che conduce  al “Punt de sàs“ di Villa di Tirano. Su quel ponte che ora sovrasta un prato potrete immaginare il percorso non troppo lontano nel tempo del fiume Adda che serpeggiava nella piana di Villa di Tirano. Se avete una gamba buona potete spingervi più oltre sino al ponte di Stazzona per poi risalire lungo l’argine destro dell’Adda.

 

Tra quelle stradine vedrete ragazzi e ragazze al trotto con i loro amati cani, ragazzotte dai polpacci possenti e con tute termiche che macinano chilometri a passo veloce per tenersi graziose, mamme con i loro passeggini dai bimbi curiosi che annusano l’aria di campagna, volate di ragazzi in bicicletta che chiamano strada e  alcune persone anziane che in questi tempi di visi mascherati sono difficilmente riconoscibili. Gli anziani li conosci da distante poiché camminano lenti e pensierosi con passi da prevosto, fermandosi ogni tanto . Tra questi campi si svolge la mia solita camminata lenta poiché sono anzianotto. A volte la curiosità mi spinge a guardare tanti particolari della natura per cui il mio incedere lo potrei definire di passo “ avanti adagio quasi indietro “. Tra questi luoghi  sono sicuro di trovare un poco di pace in questi tempi di bailamme dove la verità, quella vera, si è aggrovigliata  ad arte con la menzogna in una matassa difficile da sciogliere, in particolare  per le persone del popolino al quale appartengo.

 

Le disposizioni per salvaguardarsi dalla pandemia di coronavirus dettano l’obbligo di portare la mascherina ben tesa sul viso fin sopra il naso. Ebbene in quelle stradine spesso deserte provo un sottile piacere  quando abbasso la mascherina fin sotto il naso. Mi sembra di respirare da dio e vedere come una aquila senza le lenti degli occhiali appannate dal respiro umido. L’aria pregnante di campo è una droga che mi inebria e mi rede contento. Dio, quanto non vorrei più portare quel preservativo sul viso !  Confesso che mi affascina vedere le persone assorte nei propri pensieri e non inebetita innanzi alla televisione che ci alimenta ogni giorno come passerotti nel nido. Provo piacere quando la gente silenziosa e assorta trova il tempo per darmi un saluto, non perché mi conosce ma per sola gentilezza. Che scontento quando vedo gente che tira dritto sui suoi passi. Questo lo noto specialmente nei ragazzi e nelle ragazzi che, parlottando tra loro  sentono musica con i loro aggeggi  e non trovano il tempo d’un saluto. Mi nonna mi diceva :” salüda sémpru  i vècc parchè i gà piasè de sentìs viv. “ E aveva ragione!  Ma la vita , si sa, è fatta oltre che di gioie e gentilezze anche di  scortesie. Ma il piacere più grande oggi l’ho avuto  quando ho incontrato una persona della mia età, o forse più vecchia.  

 

Lui andava verso valle e io verso monte per la stessa stradina tra campi arati. Ci siamo visti da lontano, poi sempre più da vicino , poi finalmente i nostri lenti passi da cardinale si sono fatti paralleli. “ Bundì”! gli ho detto. Lui mi ha risposto un chiaro “ Bundì’ “ in un modo che lasciava intendere la voglia di un colloquio. Anch’io ero preso dal desiderio di comunicare, di scambiarci due parole. E’ un sottile piacere che spesso  ci si fa sentire meno soli, non tanto perché siamo presi da malinconia, ma perché abbiamo capito che la relazione è vita. Quel  guardarsi negli occhi, il sentire il suono delle parole, vedere l’espressione del viso, il movimento delle mani e del corpo è una “musica”  che spesso oggidì i giovani tendono a trascurare, anzi a dimenticare con l’uso del moderni mezzi di comunicazione. “ Come la va ? gli ho detto e lui “ Ma sì, la va, la và avanti “ . Quel “la và avanti “ mi ha fatto intuire che con quel signore avrei potuto parlare in dialetto. Non mi ha risposto “ grazie, va bene “  come conviene a due che parlano sovente l’italiano,  ma con quella espressione che sa di tono musicale dialettale.

 

Da quel  “ la và avanti “ ho capito che potevo usare la mia parlata dialettale, sicuro che il nostro colloquio ci avrebbe portato sul sentiero di una intimità che quasi sempre l’idioma popolare dona.  Dunque, apriti  cielo ! Quando trovo qualcuno che mi dà corda colloquiando in dialetto divento un Cicerone. La  mia eloquenza dilaga, dilaga, sino a stroncare dalla fatica d’ascolto l’interlocutore. Statevene accorti voi che leggete e che mi conoscete ! Se non avete tempo a disposizione schivatemi ! Voglio essere sincero. Non dico che dobbiamo provare orgasmo quando la nostra parlata dialettale è corrisposta e fluente, ma il piacere di raccontare in quell’idioma le cose passate, i nostri ricordi ci porta una sottile soddisfazione come quella che provavamo da ragazzi quando avevamo conquistato qualcosa di intimo della ragazza dei nostri  sogni. E’ questo forse il piacere di vivere  e di ricordare una vita vissuta in un’ altra dimensione ! Nella dimensione della nostra gioventù e che lentamente sta scomparendo tra i giovani. Vorrei dire ai nostri Amministratori : “ So che sapete parlare meglio di me il nostro dialetto. Allora, per favore,  parlatelo con i vostri concittadini  che normalmente lo parlano poiché il dialetto è la  lingua dell’intimità di molte persone anziane e il profumo delle nostre tradizioni e a volte ci si intende meglio che con la lingua di Dante”.

 

Ezio (Méngu)

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