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Arte in santuario: l'antico altare dell'Apparizione profanato

CULTURA E SPETTACOLO - 23 09 2020 - Ivan Bormolini

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/L'ALTARE DELL'APPARIZIONE
L'ALTARE DELL'APPARIZIONE

(Di I. Bormolini) In questa serie di articoli che ci conducono verso i cinquecentosedici anni dal giorno dell'Apparizione, desidero fare qualche cenno sull'antico altare dell'Apparizione esistente prima di quello che oggi ammiriamo.

 

L'attuale altare dell'Apparizione è sicuramente un'opera di grande pregio e di indiscutibile bellezza anche nel disegno architettonico. Si tratta di un manufatto molto più recente rispetto alla cinquecentesca cappella e ai suoi ornamenti barocchi.

Questo veniva realizzato tra il 1801 e il 1802, su progetto di Giovanni Maria Pianta di Milano nella celebre bottega di Gabriele Longhi di Viggiù. Da questo laboratorio erano usciti negli ultimi decenni del Settecento altri splendidi altari marmorei, parte dei quali destinati alla Valtellina ed alla Valchiavenna.

La realizzazione, nasceva dal fatto che si desiderava disporre, in vista del terzo centenario dell'Apparizione, di un nuovo altare degno della rinomanza della Madonna di Tirano, capace di rimpiazzare senza rimpianti, quello antico rovinato e profanato.

 

Perché quello antico era stato rovinato e profanato?

Qui si inserisce un tristissimo episodio della lunga storia del nostro santuario; era il 18 dicembre 1798, in quella mattina il rettore Pietro Alessandro Sertorio in lacrime, assisteva impotente alla spogliazione dell'altare.

Per ordine di Bernardo Piazzi di Ponte, commissario del Dipartimento, di Filippo Ferranti, segretario dell'agente della Repubblica Cisalpina per i beni nazionali e del presidente della municipalità di Tirano Nicola Visconti Venosta, incaricati dal Direttorio di Milano, si procedeva al drammatico atto.

 

Venivano sottratti dell'altare ben sette pesi e quattro libbre di argento puro, corrispondenti a circa sessanta chilogrammi: in pratica tutto il sontuoso rivestimento in lamine d'argento. Il prezioso apparato era stato realizzato dal 1683 al 1690 con più commissioni, dall'orafo milanese Federico Perego che aveva conferito all'altare cinquecentesco nuova magnificenza e nuovo assetto secondo il gusto barocco.

Stando alle descrizioni degli storici, agli atti delle visite pastorali e agli inventari, si apprende che tutto l'altare era coperto di “pezzi assai massicci” d'argento, dal frontale della mensa ai gradini per i candelieri fino ai piedi dell'immagine della Madonna, lavorati in “gitti di buona forma” e ornati di statuine anch'esse in argento massiccio. Queste raffiguravano i santi Giuseppe, Gioachino, Michele e due angeli con doppiere.

 

Nella primavera del 1687, come si è riscontrato dalle cronache, quando giungeva a Tirano “il frontale” predisposto con grande abilità nella bottega del Perego, si erano sparati “per l'allegrezza”diversi mortaretti e si erano tenute solenni funzioni in onore della Vergine, alla quale era dedicato il capolavoro d'arte.

La spoliazione del 1798, assieme alle lastre cesellate dell'altare, aveva interessato gli arredi e gli oggetti in oro e argento, compresi monili offerti dai fedeli alla Madonna, alcuni in seguito resi, finiti in parte sul mercato e soprattutto nella Zecca della Repubblica Cisaplina. Questi venivano fusi per finanziare, con il ricavato, i funzionari della giustizia del Dipartimento dell'Adda e dell'Oglio, con buona pace dei fedeli e del Comune di Tirano, legittimo proprietario di quei beni.

 

Lo scempio perpetrato nel luogo più venerato del santuario nel nome della Repubblica aveva suscitato sgomento e discredito verso i nuovi governati.

Qui si inserisce anche una descrizione di quegli odiosi fatti narrata da don Lino Varischetti nella sua opera “Tirano”:

“.....Nel frattempo, in Lombardia, furono emanate leggi sovversive contro il clero e incamerati i beni ecclesiastici.

A Tirano, il convento dei Cappuccini fu soppresso con decreto del 2 luglio 1798. Il Santuario stesso, che pur era stato rispettato da tutti gli occupanti della Valtellina , nel nome della libertà, fu ignobilmente depredato e spogliato.

Il 18 dicembre 1798, emissari della Repubblica Cisalpina asportavano, sotto lo sguardo atterrito del vecchio Rettore del Santuario, apparati e vasi sacri e ori donati alla B. Vergine e altri oggetti di incalcolabile valore storico e artistico. Lo stesso altare dell'Apparizione, che era in legno con decorazioni in lamine di argento, fu devastato. Un cronista dell'epoca lasciò scritto che due carri di oggetti preziosi partirono dal Santuario alla volta di Milano.

 

I Tiranesi, che due anni prima, avevano celebrato in Santuario un solenne triduo di ringraziamento per la riconquistata libertà, sperimentarono, con infinita tristezza, quali delitti si possono commettere proprio in nome della libertà”.

Per tornare all'altare, l'antica ancona intagliata da Giovan Angelo Del Majno, considerata dagli storici del XIII secolo, come una delle maggiori e più belle d'Italia, corrosa, annerita e umiliata dalla manomissione sacrilega, veniva smembrata e distrutta, mentre gli otto pannelli con le scene della vita di Maria e dei primi miracoli operati dalla Madonna di Tirano erano andati dispersi, forse venduti sul mercato antiquario.

 

Pare però che forse due sono sopravvissuti: stando agli approfonditi studi di un grande storico del santuario, il professor Gianluigi Garbellini, la tavoletta “La strage degli Innocenti”, oggi nel Museum of fine Arts di Boston, e in quella de “Lo Sposalizio della Vergine” nel Museo Poldi Pezzoli di Milano, si ravvisano tecnica e tipologia dell'artista pavese. Inoltre queste sono sicuramente databili agli anni in cui era operoso nel santuario e si è pertanto propensi ad accreditare i due pannelli come parte della perduta ancona di Tirano.

 

FONTI: LA MADONNA DI TIRANO. MONUMENTO DI ARTE DI FEDE E DI STORIA. Autore: Gianluigi Garbellini. Stampa: Finito di stampare nel mese di giugno 2004 presso la Tipografia Polaris- Sondrio

TIRANO. Autore Lino Varischetti. Stampa: finito di stampare il 29 settembre 1961 presso la Tipografia Bettini in Sondrio.

La foto di copertina è di Ivan Bormolini.  

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