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7^ parte - Le calamità del 1987 in Valtellina

CULTURA E SPETTACOLO - 14 04 2017 - Ezio Maifrè

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Questo scritto di Ezio Maifrè, diviso in diverse puntate, è dedicato alle 53 vittime delle calamità che si abbatterono nell’estate dell’87 in Valtellina e ai giovani, perché non dimentichino il “male antico” della valle.

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Parte 1Parte 2Parte 3Parte 4, Parte 5, Parte 6

 

Cessa la pioggia

In valle s’ode

il fragore dell’acqua

nel fiume che scorre scura e

tumultuosa.

Il cielo è sereno

ma nulla è più come prima.

Una cappa d’angoscia

come fango seccato

attanaglia le menti e sovrasta la valle.

Si guarda, si tace,

si prega, si impreca.

Si sente il respiro dei morti

nell’aria che odora

di terra di campo.

Si vedono riflesse negli occhi

le croci che il Signore ci impone.

 

Buon segno, perché si sa che quando esse si muovono dalla valle e vanno verso sud –ovest sono scariche d’acqua.

Le nostre maestose montagne sono alte muraglie che sbarrano il percorso delle nuvole che giungono da sud-ovest.

In valle tutti sanno che solo le nubi che giungono da sud-ovest portano forti piogge, quelle che giungono da nord, dalle alpi retiche, dalla Svizzera, raramente causano alluvioni.

 

Ben dicevano i nostri vecchi “ l’acqua che viene dell’Engadina bagna solo la Valtellina e non porta rovina “.

Solo le nubi calde e pregne d’acqua che giungono dal mar Tirreno e dalla Liguria portano le rovine delle alluvioni.

Esse invadono la pianura padana, vi stazionano brevemente finché spinte dal vento risalgono fino ad incontrare i nostri alti e freschi monti e qui rilasciano il loro carico d’acqua che , se ben dosato nel tempo, è portatore di neve e pioggia. Neve e pioggia sono la nostra ricchezza, esse sono “ l’oro bianco” per la valle.

 

E’ oro che si accumula nel lago di Como, è oro colato che raccolto in pianura padana serve per irrigare prati e campi.

Quell’oro serve per produrre energia elettrica, serve per rimpolpare le numerose sorgenti, ma quando l’acqua è troppa e irruente è il nostro” antico male”.

 

L’acqua, come ogni cosa preziosa è utile, quando è in sovrabbondanza sovente porta con sè rovina. Essa è sempre stata, per la nostra bella valle, la nostra amante; l’amiamo quando è lieve e continua, docile e interrotta da tratti di bel tempo. Essa ci coccola in una affabile alternanza di servizio per la campagna e per l’industria idroelettrica; l’odiamo quando essa con violenza ci vuole sottomettere e brutalizza la nostra bella terra, quando tradisce le nostre aspettative.

 

Noi in valle siamo fatti così ! Dopo la sventura perdoniamo la nostra amante birichina; dopo il suo tradimento ci rimbocchiamo le maniche, ripariamo i danni fatti dalla sua furia. Poi subito , dimenticando il tradimento, iniziamo senza riserve un nuovo periodo d’amore con lei, fin quando ancora una volta prima o dopo ci tradirà .

E’un amore senza riserve, è un odio subito spento ! Sarà così, per quelli della valle, fino alla fine dei tempi.

 

Ben lo scriveva nel 1844 Visconti Venosta quando rammentava che 160 torrenti, in occasioni di forti piogge, precipitavano furiosi dalle nostre valli trascinando enormi quantità di materiali che si depositavano a ventaglio sulla pianura seppellendo case e campi , spostando il corso dell’Adda ora da una parte ora dall’altra, danneggiando in continuazione l’opera dell’uomo. E ancora meglio ricordava che molti villaggi erano stati costruiti proprio sopra le vecchie devastazioni per la comodità d’avere l’acqua vicina, sempre a disposizione per i terreni da coltivare, poiché ben si sa che gli uomini badano più all’utile presente che al timore e ai danni futuri. Profetizzava che finché gli uomini non usano l’intelligenza e antepongono i loro interessi alla salvaguardia dell’ambiente, quanto prima dovranno soccombere alla forza devastatrice della natura. Visconti Venosta non si sbagliava e ciò che disse è ancora oggi più che mai attuale.

 

Giunse la notte di domenica 19 luglio.

La pioggia cessò completamente, finalmente si videro le stelle in cielo.

Nei giorni 17e 18 era successo il disastro ; dei 68 paesi in valle ben 60 avevano subito danni e le 45 valli erano state sottoposte ad una prova durissima. Ovunque si vedevano tracce di devastazione; la paura nella gente si leggeva in faccia.

La Valtellina ormai era nell’emergenza : il presidente della Amministrazione Provinciale, il Prefetto, il presidente del Bim con i suoi tecnici e amministratori, il ministro

Zamberletti, il presidente della Regione Lombardia, tutti i Sindaci, gli uomini validi dei paesi colpiti si erano prontamente messi al lavoro per valutare i danni e poter per prima cosa “iniziare a vivere “ nella valle.

 

“Che la gente non si ammali e che abbia almeno da mangiare “ questo era il motto degli amministratori ed era il loro primo obiettivo che si doveva attuare.

Parecchie attività lavorative erano ferme; il turismo era bloccato. Tanti turisti erano impossibilitati a rientrare nelle loro abitazioni a causa di interruzione delle strade e della ferrovia.

Ma cosa era successo in quei due giorni spaventosi?

Difficile valutare subito la situazione dei danni.

 

I quasi 300 mm di pioggia al metro quadro caduti in due giorni erano un terzo della pioggia che cade in un anno nella nostra valle; il ghiacciaio dello Stelvio aveva ridotto il suo spessore di un metro.

I ghiacciai che si affacciano sulla Valtellina, quali quello dello Stelvio, del Cevedale, del Gavia, della Cima Piazzi, del Disgrazia, dello Scalino e del Bernina avevano fatto la loro parte nel disastro.

Intanto i telegiornali ininterrottamente davano notizie su quello che era successo nei giorni 17 e 18 in valle.

 

Non lasciavano tregua i notiziari catastrofici delle maggiori testate nazionali e locali ! “ Ore di angoscia “ “Disastro in Lombardia “ “Valtellina in ginocchio” “ Una catastrofe di immani proporzioni” “ 45 valli esplose” “ Angoscia per i dispersi “ “ Mazzata da 1200 miliardi”.

Quel grido di “ tutti al mare “ che si era sentito in valle a metà luglio si era spento miseramente. Dalle lontane mete di vacanza i valligiani telefonavano ai loro parenti rimasti in valle per avere informazioni; chi poteva rientrava precipitosamente, ma non era facile raggiungere la valle perché era disastrata! La valle era spezzata in tre tronconi.

 

In bassa valle l’Adda aveva invaso la piana di Talamona.

L’Adda, il Tartano con il torrente Masino si erano dati la mano e avevano creato un’immensa palude. A Morbegno parecchi capannoni industriali erano sott’acqua e la campagna circostante aveva la parvenza d’una laguna veneta.

La passerella di Paniga sull’Adda era stata spazzata via dalla furia delle acque. La strada statale 38 e la ferrovia erano sott’acqua in vari tratti.

 

Più su, la stessa sorte.

Il Pian della Selvetta era un lago. L’acqua arrivava ai primi piani delle case; statale e ferrovia erano allagate per lunghi tratti. Era successo che l’argine dell’Adda a monte dello sbarramento di Ardenno aveva ceduto e l’acqua si era riversata nella piana circostante allagandola. Si era poi dovuto prontamente abbattere parte dell’argine della diga in modo che l’acqua rientrasse nell’invaso e defluisse verso valle più rapidamente.

A differenza di Tartano i danni in quelle zone erano stati notevoli, ma almeno non vi erano state vittime.

 

In Valmalenco purtroppo le cose erano precipitate.

Il Mallero aveva fatto disastri, distruggendo strade e ponti, rendendo il fondo valle una desolata pietraia ; aveva distrutto il ponte di Spriana, aveva danneggiato quello di piazza Cavour a Sondrio . Il Torreggio alla confluenza con il Mallero aveva spazzato via il ponte e alcune case. Era successo che il torrente, scendendo impetuoso, aveva divelto una briglia a 1200 metri di altitudine, poi aveva deviato il suo corso erodendo il piede di una antica frana, la quale in parte era caduta nell’alveo ed era andata a formare un invaso che dopo poco aveva ceduto. Si era così formata una valanga d’acqua , di terra e sassi, d’alberi sradicati, che si era abbattuta con furia devastatrice a valle.

 

Già al mattino del 18 luglio il Torreggio aveva destato grande preoccupazione; tante volte la gente del luogo l’aveva visto scendere impetuoso, trasportare sassi, ma quella mattina era diverso; aveva la rabbia in corpo!

 

(Continua... )

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