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Riflessioni sul Morelli di Sondalo e il coronavirus

CRONACA - 10 03 2020 - Ivan Bormolini

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(Di I. Bormolini) Partiamo da un dato: in Italia tra sanità pubblica e privata convenzionata ci sono 5090 posti letto di terapia intensiva, altri 3000 in pneumologia ed altrettanti per la cura delle malattie infettive. In questi giorni il termine terapia intensiva è ormai entrato a far parte del nostro parlare comune.

 

Per definizione, la terapia intensiva è un reparto ospedaliero dotato di apparecchi specialistici ed è riservato a pazienti le cui condizioni di salute sono valutate estremamente precarie.

Parliamo di casistiche dove le funzioni vitali del paziente (respiratoria, circolatoria, oppure neurologica ed altro) si rivelano insufficienti al mantenimento in vita dello stesso.

Il diffondersi del coronavirus ha portato alla saturazione delle rianimazioni; di conseguenza al fine di arginare l'emergenza in corso ed in continua evoluzione, si è rivelato necessario aumentare questi posti letto dotati delle adeguate tecnologie.

 

Sabato scorso, il coordinatore dell'unità di crisi della nostra regione per le terapie intensive ha lanciato un vero e proprio grido d'allarme.

L'anestesista e rianimatore Antonio Pesenti, medico di comprovata e lunga esperienza e giustamente definito uno dei migliori uomini di scienza italiani, ha infatti parlato molto chiaro.

Stando alle sue parole, su cui non vi è alcun dubbio, il quadro della situazione appare gravissimo e richiede un aumento dei posti letto in rianimazione fino a dieci volte all'attuale.

 

Secondo questo professionista da moltissimi anni impegnato in prima linea, il numero dei ricoverati attorno alla data del 26 marzo sarà pari a 18 mila malati lombardi.

Per questi, almeno tra i 2700 e i 3200 sarà necessario il ricovero in terapia intensiva. Ecco dunque, basandoci sui numeri, che i conti non tornano sia a livello regionale che nazionale.

Per tali indispensabili e giustificatissimi motivi, in regione si stanno creando, o sono già stati organizzati i cosiddetti blocchi Covid 19. Sono stati coinvolti tutti i principali ospedali della Lombardia, in tutto almeno una cinquantina, tra i quali il nostro presidio Eugenio Morelli.

 

Chi mi legge sa benissimo che parlo terra a terra; nel mio editoriale di ieri, mi chiedevo chi avesse messo in giro la voce che il Morelli era già divenuto un lazzaretto e proprio per questa decisione sarebbero aumentati i contagi anche in valle.

E' chiaro, ma non giustificabile che in certe circostanze, magari per paura o non reale conoscenza, possano sfuggire certe infelici affermazioni.

Quando ho detto, sempre ieri: “attenzione a misurare le parole che si dicono”, mi riferivo al fatto di non aggiungere ulteriori allarmismi in un clima già denso di preoccupazioni.

Proprio la lunga storia del Morelli ci insegna che il popolo valtellinese, in decenni passati ed anche in anni più vicini a noi, si è sempre distinto come baluardo di accoglienza, cura e umanità: la tubercolosi ne è l'esempio più tangibile.

 

Desidero ribadire, che tutti coloro che sono coinvolti in queste operazioni di allestimento, accoglienza e cura dei malati di coronavirus, non sono certo degli sprovveduti e che quindi anche nel nostro ospedale sondalino, non ci si muove casualmente ma basandosi su tutte le normative predisposte per curare questo contagio.

Deve essere a tutti noto, che il coinvolgimento delle varie unità operative del Morelli, anche se ci auguriamo di no, diviene una risorsa anche per un'eventuale e diffusa epidemia in valle.

Se con i dovuti scongiuri, ciò dovesse accadere avremo la fortuna di avere quell'ospedale sotto casa, che è perfettamente in grado di far fronte alla situazione. E se mi si consente di dirlo questo è un valore aggiunto per la popolazione della valle e delle vicine provincie confinanti.

 

Torno alla preoccupazione di quelle persone, per fortuna poche, che vedono il Morelli “in quarantena totale ma comunque capace di far uscire il coronavirus”. E' palesemente chiaro che i pazienti contagiati non possono venire in contatto con altri. Tutto avviene in ogni ospedale con particolari sistemi di protezione che interessano i pazienti e il personale sanitario predisposto alla loro cura e che da giorni sta svolgendo un opera professionale ed umana eroica.

Tutti i protocolli attuati, non sono stati certo stabiliti all'acqua di rose, così tanto per fare. L'intero iter è stato formulato al fine di curare i pazienti infettati dal Covid 19 ed anche tutelare gli altri che per vari motivi giungono o sono ricoverati negli ospedali dove ci sono questi blocchi.

Dunque cari signori dalla facile favella, capaci di emettere ingiustificate e allarmistiche sentenze, vi chiedo di riflettere e vi rinnovo l'invito: prima di pensare “ad un epidemico Morelli”, attuate tutte quelle precauzioni che ormai dovrebbero essere già largamente in uso.

Intanto nel frattempo, un grazie a tutto il personale del Morelli che è impegnato in questa circostanza.  

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