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La vittoria di Biden segna il trionfo del Globalismo

ECONOMIA E POLITICA - 08 11 2020 - Alessandro Cantoni

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Destre e sinistre di tutto il mondo, unitevi! Qualcuno già canta e brinda in onore della globalizzazione. Ormai un mito, come quello del progresso, da Voltaire a Hegel.

Ogni storicista di rispetto identifica il motore della storia in un’astrazione, in una meta irreversibile verso cui si orienterebbe il tempo mondano. Per Marx si trattava della rivoluzione socialista; per Heidegger del ritorno al mondo greco-pagano delle origini; per Kierkegaard del ricongiungimento con Cristo nella creazione, ecc.

I filosofi della storia parlano di un destino necessario e comune a tutti i popoli, poiché hanno un chiaro progetto politico.

La globalizzazione incontrollata sembra, parimenti, un dato di fatto, a cui occorre rassegnarsi.

 

I modaioli di destra e di sinistra, la cosiddetta intellighenzia prezzolata e visionaria, irridono i nemici di ogni escatologia, ovvero gli storici che si limitano ad osservare gli eventi e che pensano che dagli strumenti della politica possa ancora scaturire l’imprevedibilità, nemica di ogni pensiero sistematico e meccanicistico.

La globalizzazione, specialmente quella economica, appare oggi in una luce più rosea agli illuministi di sinistra e di destra. Non sorprende che le cose stiano in tali termini per questi ultimi, avendo da sempre prospettato un neoliberismo senza freni e senza confini. Quanto ai primi, che assomigliano molto ai secondi, c’è da stupirsi, se si pensa che fino a qualche decennio fa, avrebbero militato nelle file dei no global.

 

Biden, insieme a Obama e ai democratici, rappresenta un emblema dell’ideologia globalista; non dell’America first, ma dell’America in the world, ovvero nel mondo: l’imperialismo economico, geopolitico, in persona.

Trump, analogamente, considera il suo paese un baluardo di valori superiori a quelli di ogni altro sistema, ma non pretende di esportarli oltre confine. Tanto per cominciare, egli ha fatto ritirare le truppe dal suolo Afghano e dal Medio-Oriente. Il secondo merito che, da cittadino italiano ed europeo – non da americano –, gli riconosco, è il pugno duro verso il Dragone cinese.

L’impero comunista, infatti, costituisce una minaccia a livello globale, sia per ciò che rappresenta in termini di potere politico-economico, sia per quanto concerne la sua forza di ricatto nei confronti di chi contrae debiti con esso.

 

Il capo dei repubblicani è il minore dei mali, sebbene gli Stati Uniti, anche con lui al governo, manifestino uno strapotere e minaccino costantemente l’autodeterminazione dei popoli, specialmente di quello iraniano. L’Iran è infatti vittima di sanzioni pesantissime, mentre Rouhani viene trattato (anche in Italia) alla stregua di un talebano. Da questo punto di vista, il premio Nobel delle sette guerre, Obama, aveva agito meglio, allentando le tensioni.

 

Trattare con l’Iran sarebbe certamente più auspicabile che stringere alleanze di interesse con l’Arabia Saudita ed il Qatar, dove vige una teocrazia meno moderata di quella sciita, e in cui domina una prospettiva imperialistica nei confronti di chi non aderisce alla Sunna.

Senza contare, infine, che è proprio la Lega Araba ad aver finanziato e a finanziare l’Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), promotrice di numerose iniziative contro lo Stato di Israele.

 

Alessandro Cantoni

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