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Ho la sindrome da Don Camillo

ECONOMIA E POLITICA - 08 12 2018 - Alessandro Cantoni

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Ogni tanto ripenso a Don Camillo, quel pretino di campagna che vegliava sulle pecorelle smarrite di Brescello. Il suo animo era buono ma non pieno di melassa. Se dovessi azzardare un confronto, mi sentirei di paragonarlo a uno di quei vini di montagna, invecchiati in botti di rovere. Un vino che andrebbe di traverso agli allegri compagni in salsa padana come il vecchio Peppone.

 

Diciamocela tutta. Ce lo vedete Don Camillo a scendere in piazza con i badili per costruire la casa del popolo? Certo i tempi cambiano e anche i preti sono passati dalle stelle alle stalle. Non so se sia romantica nostalgia dell’odore del letame e di sudore, ma non mi sembra. Costoro se ne stanno volentieri con le chiappe al caldo nelle loro stanze. Evidentemente il sole rosso dell’Oriente attrae più del vino. I fedeli, invece, sono le solite zucche dure di sempre. Teste di mulo che difendono i valori della tradizione. E giustamente non si curano di avere l’approvazione di sua santità. Ci penserà il Padreterno, caso mai, a fustigarli per la loro vicinanza a Salvini. Anche io voglio unirmi alla loro causa. Non perché sia bigotto, giacché non me ne importa nulla. Faccio però fatica a immaginare il figlio del buon Dio nei panni di un moderno educatore gender, degli abortisti o delle ondate arcobaleno che invocano il sesso libero e i diritti dei gay. Potremmo farne un’icona hippie, già che ci siamo.

 

Insomma, passano gli anni, i bimbi crescono, le mamme imbiancano, ed anche la coerenza va a farsi benedire. Speriamo non dai compagni.

 

Confesso. Ho la sindrome da Don Camillo.

 

Alessandro Cantoni

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