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Romanzetto tiranese - Nei mesi successivi alla partenza di Anna

CULTURA E SPETTACOLO - 13 08 2020 - Ivan Bormolini

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/ospedale tirano

Cari e gentili lettori, con questa decima parte inizia una sorta di secondo atto di questo mio Nuovo piccolo romanzetto tiranese. Da oggi e per i prossimi appuntamenti, svelerò il perché ho voluto intitolare il tutto “Amùur de fradèi amùr de cutèi” mettendoci un punto di domanda finale.

Sarà vero o meno questo detto popolare? Come procederanno i rapporti tra Anna, i suoi anziani genitori ed il fratello Ninin? Chi era veramente Giovanni Gioacchino Brembilla?

Ci sarà un lieto fine oppure un drammatico colpo di scena?

Buona lettura.

 

Ivan Bormolini

 

Nei mesi successivi alla partenza di Anna

(Decima parte di I. Bormolini) Ormai rassegnati dalle decisioni della figlia, Adele e Giuseppe, si erano ritirati dalla vita lavorativa. L'impresa era saldamente in mano a Ninin che aveva assunto un muratore ed un manovale.

Il lavoro non mancava e Giuseppe di tanto in tanto, faceva visita ai cantieri del figlio il quale, ascoltava sempre con molta attenzione i premurosi consigli del padre.

 

Adele appariva sempre più stanca, nelle faccende di casa veniva aiutata del marito, usciva raramente, controllava quotidianamente la cassetta della posta nell'attesa di qualche notizia della figlia.

Nell'aprirla o nel vedere altre lettere, ogni giorno sembrava più sconsolata si chiedeva come mai Anna tardasse a scrivere.

In quelle sere, quasi subito dopo cena, i due anziani si coricavano, Giuseppe aveva abbandonato il rito della pipa e nemmeno la camomilla pareva avere il gusto di un tempo.

 

Ninin, nonostante la stanchezza si premurava di lavare i piatti e riassettare la cucina; era preoccupato, sua madre mangiava sempre meno e anche Giuseppe pareva aver perso l'appetito.

Prima di sedersi e fumare la sua pipa, una volta assicuratosi che i genitori avessero preso sonno, appuntava le ore di lavoro sue e dei due dipendenti, controllava scrupolosamente la contabilità della ditta e annotava tutti i materiali impiegati.

Anche lui pensava alla sorella e si chiedeva cosa stesse facendo e come stava, aveva il suo indirizzo ma forse per orgoglio desiderava che fosse Anna la prima a farsi sentire. In quelle lunghe serate, più volte aveva preso in mano carta e penna, ma quel foglio rimaneva bianco.

 

Mentre godeva dei profumi emanati da qual tabacco da pipa, guardava la piazza dalla finestra, nella sua mente si annidavano i pensieri per quella madre giorno dopo giorno sembrava sempre più angosciata dal prolungato silenzio di Anna.

Nonostante anche il marito cercasse di consolarla e mai l'affetto di Ninin veniva meno, Adele non riusciva ad accettare quel allontanamento e soprattutto il modo con cui Anna aveva lasciato quella casa.

Durante una lunga sera, Ninin aveva tergiversato più del solito sui suoi registri, doveva redigere un nuovo preventivo e analizzare i disegni del geometra. La notte era ormai calata e quel muratore si era addormentato sulla scrivania.

 

Era quello un sonno turbato da pensieri e sentendo lo scoccare dell'una provenire dal campanile di San Martino si era svegliato. Prima di coricarsi, aveva fatto per chiudere la finestra del salottino ed in quel preciso istante udiva un rintocco della campanella della chiesetta della piazza. Credendo che tutto fosse impossibile aveva dato colpa all'eccessiva stanchezza e non aveva dato peso al fatto. Non sapeva che quei rintocchi a suo tempo li aveva uditi anche il padre.

La mattina successiva, dopo la colazione salutava i genitori assicurandosi che soprattutto la madre stesse bene. Questa rincuorava il figlio asserendo che non aveva nulla da temere e che fisicamente stava bene, i suoi erano solo acciacchi dovuti alla vecchiaia.

Durante le ore mattutine, Antonio che era impegnato nella costruzione di un possente muro di cinta con l'aiuto degli operai, di colpo vedeva il padre giungere sul cantiere con un passo affaticato ma più veloce del solito.

 

Giuseppe con le lacrime agli occhi chiedeva al figlio di correre in ospedale, perché la mamma si era sentita male e sembrava grave.

Subito Ninin lasciava gli arnesi del mestiere e i due operai dirigendosi col padre in ospedale. Adele era in una sala visite, il medico di turno e l'infermiera entravano ed uscivano senza proferire verbo.

I due erano giustamente preoccupati, Ninin cercava di trovare le parole per rassicurare il padre, ma questi gli rispondeva che non era stupido e che la gravità della situazione era palese.

D'un tratto quel buon uomo aveva rivisto uscire da una camera suor Anna, la stessa che aveva assistito sua moglie durante il parto dei figli. La povera suora, curva su se stessa e col bastone tra le mani, non prestava più servizio in ospedale, ma ogni giorno faceva visita ai malati.

 

La religiosa ben si ricordava di quella famiglia, Giuseppe salutandola e spiegandole la situazione le chiedeva se fosse possibile avere informazioni sulle condizioni della moglie.

L'anziana suora, che godeva del rispetto di tutto il personale dell'ospedale, immediatamente si era interessata e circa mezz'ora dopo il medico convocava Giuseppe e Antonio nel suo studio.

Le notizie ricevute erano ben lontane dall'essere positive, non si trattava di un semplice malore o di qualcosa correlato alla vecchia, ma bensì di un male molto più grave che non lasciava spazio a molte speranze.

Quel medico, asseriva che era inutile tentare qualsiasi tipo di intervento, o indirizzare Adele in altri ospedali più attrezzati, non sapeva nemmeno stabilire quanto quell'agonia sarebbe durata.

 

Padre e figlio, durante quel colloquio si sentivano presi dai sensi di colpa, forse Adele doveva fatta essere visitare prima e non dare la colpa del suo stato alla preoccupazione per Anna o agli acciacchi della vecchiaia.

Il medico udendo quelle parole, aveva rassicurato i due, la patologia che si è manifestata sulla paziente è stata improvvisa e nemmeno un professionista in quel campo, avrebbe potuto fare una diagnosi precoce, ora concludeva il dottore statele vicino potrebbe essere questione di pochi giorni se non di ore.

Poco dopo vedendo Adele, in quella camera lo sconforto per Giuseppe e Antonio lasciava ulteriormente il passo all'angoscia, ma era necessario essere lucidi ed avvisare Anna.

Nel giro di poco, Ninin mandava un telegramma alla sorella dove in poche parole spiegava la situazione e la invitava caldamente a ritornare.

 

La voce si era sparsa in paese e appena saputo il tutto i nobili Alfonso e Lisa si erano recati in ospedale, garantendo la loro disponibilità nell'assistenza all'amica Adele.

Erano passati tre giorni, di giorno Giuseppe non lasciava l'ospedale e la notte Ninin stava accanto alla madre cercando di prender sonno su una scomoda poltrona messa in quella camera e chiedendosi come mai Anna non faceva trapelare sue notizie.

Ma ecco che proprio alla sera di quel giorno, la sorella si presentava sull'uscio di quella stanza, un veloce quanto distaccato abbraccio al padre e un saluto al fratello. In quel preciso momento Adele spalancava gli occhi pronunciando il nome della figlia, non parlava dal momento del malore.

La figlia le prese la mano, e Adele abbozzando un timido sorriso tornava a chiude

re quei suoi occhi.

Usciti dalla camera i due spiegavano a Anna cos'era successo, asserendo che per la madre non rimaneva molto tempo.

Giuseppe invitava la figlia a casa, gli avrebbe preparato qualcosa per cena dicendole che il suo letto era rimasto intatto.

Questa di tutta risposta diceva che il suo amato le aveva prenotato una camera al solito Grand' Hotel Tirano per due giorni e non di più.

 

Declinato l'invito, Ninin prendeva seccamente la parola:

Ma come per soli due giorni, non ti rendi conto della gravità della situazione, non ti accorgi che abbiamo bisogno anche di te e che soprattutto nostra madre ti vuole vicina, non parlava e non apriva gli occhi dal momento in cui si è sentita male e tu hai fretta? Al posto che stare vicino a nostro padre, in queste tristi e lunghe notti stai in albergo....Vergognati, io lavoro di giorno e sto qui la notte, io davvero non comprendo il tuo atteggiamento.

Anche il padre con le lacrime agli occhi, diceva alla figlia che se la sua coscienza arrivava solo sino a quel punto, allora non era il caso di discutere ulteriormente.

Lapidaria era sta la risposta di Anna:

Proprio voi non riuscite a capire che io a Milano ho un lavoro che non posso abbandonare, ho il mio amato che conta su di me... Due giorni sono anche troppi”.

 

Così dicendo Anna lasciava l'ospedale per recarsi in Hotel dicendo che sarebbe tornata il mattino seguente e sarebbe rimasta accanto al padre e alla madre.

Ninin covava un rancore verso la sorella che dopo quelle parole pareva divenire sempre più incolmabile, mentre la stessa si congedava la ammoniva chiedendole dove fosse il suo amato in un momento così e perché non si era degnato di accompagnarla o farla portare a Tirano dal suo autista, ma facendola viaggiare in treno.

 

La sorella rispondeva che Giovanni Gioacchino era preso dagli affari e che certo non poteva perdere tempo per queste cose, per quanto concerne l'autista Anna, diceva che questo si era improvvisamente licenziato e che il Brembilla ne stava cercando un altro.

Il padre ammoniva giustamente i figli, dicendo loro che quello non era il luogo ed il momento per fare discussioni e così mentre Anna lasciava definitivamente l'ospedale, lo stesso salutava la moglie con un bacio sulla fronte e confortava Ninin con un abbraccio.

Giunto a casa, prendendo carta e penna scriveva due lettere indirizzate ai figli, ma prima di coricarsi per cercare di prendere un sonno che sapeva non arrivare, udiva quello strano rintocco provenire dalla campana della chiesa della piazza. Nella sua mente iniziavano così ad annidarsi pensieri ancor più cupi e tristi.

 

In quella lunga notte le condizioni di Adele erano ulteriormente peggiorate, giunto il medico per verificare le condizioni della paziente, diceva a Ninin che quasi con certezza il giorno successivo sarebbe stato l'ultimo.

Prima di andare in ospedale Giuseppe, era passato da Alfonso dicendo di custodire quelle due lettere e darle ai figli solo quando anche lui se ne sarebbe andato.

Il nobile accettando, non sospettava nemmeno lontanamente quali fossero le reali intenzioni di quell'amico.

 

(Fine decima parte, la prossima domani)

 

FONTE DELLA FOTO DI COPERTINA: Storia della medicina e della sanità in Valtellina. Dalla peste nera alla seconda guerra mondiale ( 1348-1945 ). Autore: Pierluigi Petrarca. Stampa: Finito di stampare nel mese di novembre 1998 dalla Tipografia Bettini Sondrio.  

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