MENU

Pietro Ramus e il “tabernacolo” della parrocchia di San Martino in Tirano

CULTURA E SPETTACOLO - 16 12 2022 - Ivan Bormolini

CONDIVIDI

/Il tabernacolo
Il tabernacolo

(Di I. Bormolini) Nella pubblicazione di ieri, si è parlato seppur in modo breve, della grandiosa ancona lignea del santuario della Madonna delle Grazie di Grosotto realizzata dall'intagliatore Pietro Ramus tra il 1673 e il 1680.

Anche nella chiesa parrocchiale di San Martino in Tirano, in particolar modo dalla metà del Seicento in poi si aveva la necessità di avere un nuovo “tabernacolo” che sostituisse il vecchio ciborio in legno dorato con un'opera più confacente all'importanza del tempio.

La definizione “tabernacolo” non deve lasciar pensare propriamente al tabernacolo che tutti conosciamo ed è in ogni altare. Con il nome di “tabernacolo” nel Seicento si definiva prorio questa tipologia di altare, un ciborio che si innalzava sopra la mensa e racchiudente il tabernacolo vero e proprio. Si trattava di un'esplosione di architettura, addobbi, simboli e figure sacre atte ad esaltare la presenza divina del Santissimo Sacramento.

Nel 1662, il 12 novembre faceva il suo ingresso in Tirano il nuovo prevosto, Giovanni Maria Parravicini, il quale, mantenendo tale carica sino al 1685, si era speso molto nella cura della chiesa di San Martino, proseguendo così il solco tracciato dal suo predecessore Gregorio Rinaldi, prevosto dal 1638 al 1662.

L'attenzione del Parravicini si era concentrata sul nuovo altare; già dai decreti della visita pastorale del 1629, ovvero quelli redatti dal vescovo di Como Lazzaro Carafino per la nomina della nostra parrocchia al rango di Collegiata, si apprende che questo vescovo diocesano dal 1626 al 1665, definiva il vecchio altare o tabernacolo inadatto.

Erano però passati anni prima di un intervento mirato a sostituirlo. Nel luglio del 1664, risolutivo poteva essere stato il consiglio del visitatore apostolico in Valtellina, il nunzio Federico Borromeo, il quale, sul tema tanto importante aveva espresso la sua opinione, subito dopo infatti l'idea di realizzare un nuovo monumentale altare prendeva forma e concretezza.

A contattare Pietro Ramus, che, come si è già ricordato ieri, era molto attivo e noto per le sue opere già realizzate in Valle, erano stati il prevosto G. M. Parravicini e il canonico Carlo Giuseppe Cantoni.

Ramus aveva accettato l'incarico; l'analisi delle date conferma che l'artista era ancora a Tirano nel periodo appena precedente all'inizio dei lavori dell'ancona presso il santuario di Grosotto.

A dare ulteriore esattezza di questo sono i numerosi pagamenti all'intagliatore: inizialmente questi erano per lo più in natura, con fornitura di “formentone”, segale, legna, formaggio e vino per il suo soggiorno tiranese.

Questo era durato più anni, ad attestarlo era l'affitto registrato per la casa, il tutto era iniziato nel 1666 ed era continuato sino al 1673.

Questi pagamenti “in natura” venivano ovviamente alternati dalle somme in denaro versate al Ramus in numerose rate che erano state regolarmente pagate dallo stesso intagliatore “Io Pietro Ramus affirmo quanto sopra”.

Per realizzare il nuovo grande tabernacolo ligneo della nostra parrocchia, Ramus si era avvalso di garzoni e soprattutto delle prestazioni del fratello Giovan Domenico, l'ultimo nato dei cinque figli dal matrimonio del padre Giovanni con Barbara ( Giovan Domenico Ramus era nato il 15 maggio del 1643 ed era morto il 21 luglio del 1697 ).

Pare che già nel 1671, l'opera del Ramus presso la nostra parrocchiale fosse in via di conclusione, per tale motivazione, il 27 ottobre dello stesso anno, veniva istituita una giuria di tecnici per la stima della stessa.

La giuria era composta dai fratelli Bernardo e Giovan Maria Donati di Bormio, anch'essi intagliatori e autori di ammirate opere e da Giovanni Schmid, intagliatore di Lipsia attivo in Valtellina e proposto da Pietro Ramus.

Si trattava dunque di una commissione di esperti e altamente competenti, artisti di primo piano, che avevano valutato l'opera di Ramus nella ingente somma di 3265 lire. Per quel tempo si trattava di un cospicuo pagamento liquidato sino all'ultimo spicciolo non senza il sacrificio della comunità parrocchiale, la quale evidentemente aveva elargito donazioni o offerte per il nuovo altare.

Per pagare l'opera di Ramus, si era venduto anche il vecchio “tabernacolo” al prevosto di Ardenno per la somma di 1350 lire; si trattava di un'opera realizzata probabilmente verso la fine del Cinquecento, risultante ancora in buono stato ma priva di quegli effetti scenografici e di magnificenza riscontrabili nel Barocco.

 

L'OPERA DEL RAMUS CHE A TIRANO NON ESISTE PIU'.

 

Mi sono domandato in questa mia voglia di ricercare il perchè nel santuario della Madonna delle Grazie di Grosotto, la grandiosa opera di Pietro Ramus sia stata ben conservata nel corso dei secoli tanto da ammirarne ancor oggi l'infinita bellezza mentre a Tirano, nella parrocchiale tutto sia andato irrimediabilmente perduto.

Per procedere con un ordine cronologico degli eventi, è necessario dire che l'opera tiranese aveva costituito per l'intagliatore camuno una meta importante nella sua carriera artistica anche sulla base del fatto che il “tabernacolo” di Tirano era un lavoro destinato ad ornare la chiesa più importante del borgo del Terziere Superiore.

A tutto questo va aggiunto che la parrocchiale di San Martino aveva una monumentale struttura di indiscussa magnificenza, la quale, oltre all'opera di Ramus, era stata impreziosita da altri effetti.

In questa visione immaginaria guardando oggi il nostro altar maggiore, si può pensare che il certosino lavoro di Pietro Ramus dovesse innalzarsi con maestosa architettura ricca di decorazioni non tutte appartenenti alla mano di questo artista del legno.

E in questo caso emerge un'altra comunanza artistica tra la nostra parrocchiale e il santuario di Grosotto: nel caso dell'ancona del santuario della Beate Vergine delle Grazie di Grosotto, la doratura e la coloritura venivano affidate ed eseguite da Giovan Pietro e Antonio Fogaroli, padre e figlio, di Bormio.

Interessante è il fatto che con annotazione del 2 marzo 1673, a Giovan Pietro Fogaroli veniva conferito l'incarico di indorare il ciborio del Ramus nella parrocchiale di Tirano, quindi già prima delle opere sull'ancona di Grosotto i Fogaroli, in questo caso padre, erano ben noti.

Ma vi è di più, tra gli allievi di Pietro Ramus, figura il veneziano Giovan Battista Zotti, questo aveva lavorato arricchendo l'altare della parrocchiale di San Martino in Tirano.

Per rispondere alla domanda che mi sono posto, ovvero le motivazioni che avevano spinto a eliminare dalla parrocchiale la grande ancona lignea di Pietro Ramus, occorre giungere alla primavera del 1817, esattamente durante la quaresima di quell'anno, i predicatori avevano esortato pubblicamente dal pulpito i Tiranesi a rinnovare l'altare maggiore sostituendo la grande opera del Ramus con un altare in marmo, come già si era fatto in altre comunità che rispetto a Tirano godevano di minore importanza.

Il “santo zelo” dei religiosi aveva toccato l'orgoglio dell'allora prevosto Gian Antonio Andres ( prevosto di San Martino in Tirano dal 1807 al 1833 ) che lo aveva spinto al grande passo.

Certo è che in quell'epoca a nessuno era sorto il dubbio che per realizzare il nuovo altare si privava la parrocchiale di un prezioso capolavoro d'arte. E' vero che l'opera del Ramus dopo ormai poco meno di centocinquant'anni era logora e bisognosa di restauri, ma quell'altare rimaneva pur sempre un esempio artistico di grande valore.

Pur nella consapevolezza del pregio artistico, quel prevosto non aveva pensato dunque a interventi di restauro del ciborio per ripristinarne l'antica bellezza; era infatti affascinato, al pari di altri sacerdoti, da quell'usanza ormai consolidata da tempo, che faceva preferire gli altari in marmo che erano indistruttibili, lucidi e puliti.

La parrocchiale di San Martino perdeva così un grande capolavoro, forse anche sull'esempio dei deputati del santuario di Madonna di Tirano, che primi fra tutti già nel 1748 avevano sostituito l'antico altare maggiore di legno per far posto ad un altro di lucidissimo marmo nero di Varenna.

 

FONTE: LA CHIESA DI SAN MARTINO IN TIRANO. AUTORI: Gianluigi Garbellini-William Marconi. Stampa: finito di stampare nel mese di dicembre 1999 dalla Tipografia Bettini- Sondrio. Dalle pagine 302,303,306,307,309,310,311,343,345, di Gianluigi Garbellini. Pag. 252 per la datazione di vescovi e parroci.

L'immagine di copertina è tratta dalla stessa fonte pagina 347, fotografia di Ivan Previsdomini.

GALLERY

LASCIA UN COMMENTO:

DEVI ESSERE REGISTRATO PER POTER COMMENTARE LA NOTIZIA! EFFETTUA IL LOGIN O REGISTRATI.

0 COMMENTI