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Pane vivo che dà la vita

CULTURA E SPETTACOLO - 12 08 2018 - Don Battista Rinaldi

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Continua il lungo discorso/confronto di Gesù dopo la moltiplicazione dei pani. Di fronte alla pretesa di Gesù di essere ‘il pane della vita’, i giudei reagiscono in modo risoluto. Sono convinti di essere già in possesso del pane che sazia: è la Torah, la legge o insegnamento, contenuto nelle scritture. Per questo ‘mormorano’. Ritengono inconcepibile che un uomo possa avanzare la pretesa di rendere presente il Signore; è impossibile che Colui che abita nei cieli e si manifesta con gesti prodigiosi, possa rendersi presente in un uomo debole e fragile, figlio di un falegname. Gesù invece assicura che si può vedere Dio attraverso di Lui, osservando quanto egli fa, chi frequenta, chi rimprovera e chi difende, a chi si avvicina, chi accarezza e da chi si lascia toccare, perché i suoi gesti e le sue scelte sono quelle del Signore. Una indicazione preziosa anche per noi oggi. Perché la mormorazione è un grande vizio ben conosciuto anche nelle nostre comunità. Un vizio capace di incrinare la solidità della comunità e di guastare i rapporti fraterni seminando diffidenza e sospetto. È una lagnanza nascosta, fatta di spalle, vile, una contestazione non aperta ma che mugugna nell’ombra contro qualcuno, sussurrando all’orecchio di altri, al fine di creare complici.

 

Ma allora chi sono questi giudei? Non certo solo gli abitanti di una regione geografica. Sono tutti quelli che assumono un atteggiamento ostile nei confronti di Gesù e si rifiutano di credere che egli è la rivelazione piena e definitiva di Dio e quindi di agire come Lui.

 

In pratica l’evangelista vuol far capire a i suoi lettori di sempre che tutti siamo posti di fronte all’alternativa di scegliere tra sapienza del vangelo che è ‘pane di vita’ e la logica astuta del mondo che è veleno di morte. Oggi, come allora, per molti Gesù è solo un uomo saggio del passato, un semplice profeta, che ha fatto molte cose giuste e sagge, ma noi, oggi, dobbiamo fare a modo nostro, come ci pare più giusto, lasciando perdere il vangelo.

 

Ecco allora che si parla del ‘mangiare il pane che è la sua carne’. Non si intende ancora l’eucarestia, ma semplicemente il riferimento al fatto che qualcuno si ciba della parola di Cristo, pane di vita, e agisce di conseguenza, mentre qualcun altro esita o, addirittura è incapace di comprenderla. La ragione di questa divisione tra le persone – spiega Gesù – è che la scoperta del ‘pane vivo’ non è una conquista dell’uomo, ma un dono gratuito del Padre. Dio dà a tutti la possibilità di conoscerlo con il dono dello Spirito; purtroppo non sempre e non tutti lo assecondano, anche tra coloro che si dicono cristiani. Infatti per molti di loro il criterio di scelta non è il vangelo, ma la propria comodità o il proprio egoismo fatto passare come consuetudine (tradizioni), o come urgenza del momento.

 

Il termine ‘carne’, inoltre, non si identifica con il corpo fisico, ma piuttosto con la parte debole e fragile della persona; Gesù si è fatto in tutto simile a noi accogliendo anche gli aspetti più precari della nostra condizione. Quindi ‘mangiare’ questo Dio fattosi carne significa accogliere la sapienza venuta dal cielo anche se rivestita di tutti quegli aspetti deboli che caratterizzano la fragilità umana; significa riconoscere un Dio che è presente nella quotidianità più che negli eventi straordinari. Gesù si riferisce al suo vangelo che gli uomini sono invitati ad assimilare, come pane, fino a costituire la loro stessa vita. Gesù si rivela pane disceso dal cielo che concede a chi lo mangia di partecipare alla comunione con Dio, alla vera vita, che è quella donata per gli altri e per l’Altro.

 

Don Battista Rinaldi

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