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Ogni Crocefisso ha il suo prodigio

CULTURA E SPETTACOLO - 08 08 2020 - Ezio (Méngu)

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Seconda croce di Ronco

15 luglio 1970. Virginia, Ester e Celesta erano inginocchiate sotto il crocefisso di Ronco. Recitavano il rosario. Il Cristo era inchiodato su una vecchia tavola di legno. Era d’una tristezza indicibile; avrei voluto schiodarlo dalla croce, portarlo con me a funghi nella valle della Ganda.

 

Terminato il rosario chiesi a mia nonna Virginia il perché di quelle preghiere. Mi disse sottovoce ” preghiamo a ricordo del 50°anniversario del prodigioso intervento del Cristo della seconda Croce di Ronco”

Chiesi quale prodigio fosse accaduto. La nonna si tolse dal capo il foulard di seta e disse: “ Il 15 di luglio del 1920 nello spiazzo della vecchia osteria di Ronco, si erano fermati, per ristorarsi dalla fatica, Stefano sposo di Ester e Renzo sposo di Celesta.

Erano i migliori falciatori di Tirano, ma avevano il vizio di bere, di adirarsi e di parlare a sproposito e quel giorno per giunta avevano bevuto due fiaschi di vino rosso delle vigne del Mazzacavàl. Stefano alticcio e rancoroso aveva detto a Renzo che era ormai un falciatore da far pena e che lui rendeva il doppio a falciare.

 

Renzo, con la bava alla bocca, gli aveva risposto che tutti lo consideravano un vecchio sciancato e che ormai era la falce che lo teneva in piedi.

Stefano, con voce strozzata dall’ira, mi chiamò e disse; ”Virginia, tu sarai testimone! Scommetto con Renzo che falcio le tue sette pertiche di prato dall’alba al tramonto, se non riesco dò in beneficenza i miei due cavalli all’orfanatrofio di Tirano.

 

Renzo sbraitando e con occhi sanguigni mi disse: ”Virginia, scommetto con Stefano che nel medesimo tempo falcio tutti i prati dei Corvi che sono di otto pertiche, se non riesco dono le mie dieci mucche al Pensionato di Tirano”. Rammentai che ogni scommessa è debito e ricordai a Stefano che i suoi cavalli gli servivano per sfamare la famiglia, lo stesso valeva per le mucche di Renzo.

 

Nulla da fare! Arrivato il giorno fatidico presero falce, cote e martellina e si misero al lavoro. Testimoni oculari furono le mogli dei due e molti amici. Era quasi calato il sole e Stefano aveva falciato solo cinque pertiche dei miei prati, mentre a Renzo mancava ancora tutta la piana dei Corvi. Tutti e due erano stanchi morti, sfiniti e demoralizzati; capivano che stavano perdendo la scommessa. Pensavano alle loro bestie e alla loro famiglia. Tutti e due pregavano in cuor loro il Cristo di Ronco perché li aiutasse. Ester e Celesta preoccupate si avviarono verso il Crocefisso per chiedere aiuto.

 

“ Ecco il prodigio! D’un tratto a Stefano e Renzo tornarono le forze, le loro braccia sembravano andare da sole, la falce era un mulinello nell’erba. Nel contempo le due donne erano giunte innanzi al Crocefisso, ma il Cristo appeso alla tavola di legno non c’era più. Corsero dai loro uomini gridando “ hanno rubato il Cristo di Ronco “, meravigliate videro che il lavoro di falciatura era finito e nessuno dei due aveva perso la scommessa. Tutti insieme corsero al Crocefisso per vedere il misfatto, ma videro che il Cristo era lì, immobile e sofferente come sempre.

 

Stefano e Renzo si guardarono negli occhi e poi si abbracciarono. Capirono che era stato il Cristo a scendere dalla croce per aiutarli mettendosi nelle loro braccia e, terminato l’aiuto, era risalito sulla sua croce. Capirono che aveva voluto aiutarli in quell’impresa impossibile e perdendo la scommessa che avrebbero portato le loro famiglie in miseria. Il Cristo di Ronco li aiutò malgrado la loro boria e i loro vizi.

 

Da quel giorno Renzo e Stefano cessarono di bere, mentre le loro donne continuarono a raccontare agli increduli il fatto prodigioso, ma per molti fu soltanto una loro “singolare visione” causata dalla grande ansia e preoccupazione perché i loro mariti con i loro vizi avevano messo in grave pericolo il benessere delle loro famiglie.

 

Chi transita presso quel Crocefisso si ricordi di porre un mazzolino di fiori in ricordo di quel prodigio e forse il Signore darà la forza per toglierci di dosso quei vizi che i nostri cari non amano vedere in noi.

 

Ezio (Méngu)

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