NUOVA RUBRICA, I “Filò” della Rina
CULTURA E SPETTACOLO - 11 03 2014 -
Ezio maifrè
La bontà di Silvia
Inverno 1950. Nella contrada di S. Maria tutto sembrava triste e immobile. Le montagne, bianchi giganti infreddoliti, apparivano come cupi macigni incombenti sulla valle intirizzita e coperta di neve. Il fumo, che lentamente usciva dai camini, si spandeva nella valle coprendo le case con un leggero e ininterrotto velo grigio. Un freddo intenso e pungente avvolgeva ogni cosa.
La natura, che d’estate era stata bella e ricca di colori, ora dava un sentimento di pena e disagio. In quelle fredde sere d’inverno, in contrada S. Maria, calava un desolante silenzio, una quiete non voluta, non desiderata. ogni famiglia sentiva il desiderio di stare insieme, di parlare delle piccole cose di ogni giorno, di consolarsi a vicenda. Così, la sera, le stalle erano animate da nonne e bambini, da uomini che si raccontavano affari e da mamme che si scambiavano pettegolezzi e sensazioni della giornata.
Care nonne, loro non avevano tempo per pettegolezzi, il rosario era la loro consolazione, la loro stampella per le fatiche di ogni giorno. I nonni taciturni , in un angolo, fumavano la pipa mentre giocavano a carte. Le mamme sempre inquiete, sempre desiderose di qualche cosa per i loro figli, parlavano dei loro mariti lontani per lavoro. I ragazzi e le ragazze sembravano essere avvolti in una magica atmosfera e si scambiavano sul letto di paglia figurine, fumetti e pizzicotti amorosi sotto lo sguardo benigno e sorridente delle nonne.
Le mucche, distese a riposare sul letto di letame, con il fiato umido e caldo fungevano da termosifone e il suono lento e monotono del loro ruminare dava serenità. La sera, dopo cena , quando entravo nella stalla mi annunciavo con un grido “ Sòo scià! “( sono arrivato! ) Aprivo la pesante porta tirando con un colpo secco il catenaccio , spostavo la tenda ed ecco che il tepore caldo e umido della stalla mi assaliva, mi avvolgeva e subito dopo trovavo gradevole quel luogo. Dicevo “ Uéila , ‘n g’à sa tücc ? “( Salve, ci siamo tutti?)
Ricordo con nostalgia quell’odore di povertà : eravamo più poveri ma forse più felici e buoni. Ricordo un fatto di bontà. In quell’inverno del 1950 in Contrada S. Maria vi era una bambina di nome Silvia. Ora è una nonna felice con tre bei nipotini, segno di benedizione del Signore. Papà Renzo e mamma Rita avevano una mucca , una stalla confortevole, dei boschi, selve e campi. Si ritenevano fortunati e avevano da mangiare in abbondanza. Allora non era così per tutti.
In contrada Porta Milanese , proprio in fondo alla contrada di S. Maria, vi era una donna di nome Maria. Suo marito Carlo era morto quell’ estate di tubercolosi, aveva lavorato in Svizzera e si era ammalato. Maria era rimasta sola con tre figli, l’ultimo nato aveva sei mesi. Era una famiglia molto povera, che aveva poco o nulla da mangiare. Silvia lo seppe. In una di quelle fredde sere d’inverno si recò alla “ Santella”( Cappella) di S. Maria, si inginocchiò e pregò così: “ Càra Madòna , giüta la Marìa dél pör Càrlu , i sòofiöi i gà mìga dé mangià .”( Cara Madonna, aiuta Maria moglie del povero Carlo, i suoi figli non hanno da mangiare ).
Quella sera, come tutte le sere, Silvia doveva portare il latte alla “ caséra “ ( latteria ), si caricò sulle spalle la “brénta” ( tinozza ) colma di dieci litri di latte e si avviò verso il “ büi vécc “( vecchia fontana ). Giunta però in Porta Milanese si ricordò di Maria e dei tre fratellini. Bussò alla loro porta e chiese se avevano mangiato. Che desolazione! Nessuno di loro aveva mangiato! Silvia diede loro metà del latte contenuto nella “ brénta“, poi portò il resto del latte alla “caséra”.
Così fece per circa un mese. Quando si portava il latte alla “caséra”, il “ casaro “ pesava e annotava su un libretto la quantità del latte portato ogni giorno, poi lo versava nella grande vasca comune per fare il burro e il formaggio. Silvia sapeva che i genitori si sarebbero accorti del latte mancante, ma diede sempre la metà del latte contenuto nella sua “ brénta” a mamma Maria per sfamare i figlioli. Il “casaro “, pesando il latte che Silvia consegnava ogni sera, segnò esattamente la quantità del latte che Silvia ebbe da papà e mamma. Anzi, in quel periodo il burro e il formaggio che ebbero dalla “caséra “ fu della migliore qualità.
Un bel giorno mamma Maria incontrò la mamma di Silvia e la ringraziò per averla aiutata nel momento del bisogno. Mamma Rita, in cuor suo esultò di gioia per il gesto di sua figlia, ma non fu dato a vedere. Tornata a casa mamma Rita abbracciò Silvia ed entrambe piansero per la commozione guardando i conti dei litri del latte che il “casaro” aveva segnato sul libricino del latte versato in quei giorni. Fu il “ casaro” a sbagliare i conti o fu la Madonna della “Santella di S. Maria “ ad aggiungere latte mancante nella “ brénta” di Silvia, bambina buona? Nessuno lo seppe mai.
Ezio Maifrè
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