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MODI DI DIRE: "Parla cùma te màiet"

CULTURA E SPETTACOLO - 20 02 2014 -

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Antonio, sin da piccolo aveva sempre mangiato semplice e genuino. Tanto per intenderci , al mattino beveva una scodella di latte attingendo mezzo pane di segale. A mezzogiorno polenta, chisciöl, salsicce e i prodotti dei suo orto e della sua vigna. Alla sera, un minestrone con l’eventuale aggiunta del cibo che era avanzato a mezzodì. Così a rotazione per i giorni della settimana, nulla sprecando. Con quel cibo semplice e genuino era diventato un giovane intelligente ed era, per la sua bravura e semplicità, stato eletto ad una carica pubblica importate per il suo paese. Quel cibo, povero e autoctono della sua Valle, gli aveva insegnato ad essere semplice, naturale con tutti, senza finzioni o condizionamenti. Quel cibo gli aveva inculcato, forse senza avvedersene, saper mangiare gustando i cibi con tranquillità e godere il profumo della sua terra. Gli aveva anche insegnato che il mangiar sano dona la parola sana, semplice, essenziale per farsi capire , dimenticando formalità molte volte fastidiose e da perditempo. Insomma parlava come la natura insegna all’Uomo a mangiar semplice e, soprattutto il cibo semplice che dà la terra natia. Un bel giorno però Antonio stupì tutti. Tenne una importante conferenza sul tema “ Carpe Diem del chisciöl” , in occasione d’una giornata dedicata al piatto tipico del paese. Furono invitate persone importanti da fuori provincia e alcuni rappresentati di regioni italiane e estere. Non v’era dubbio: il discorso doveva essere importante, significativo e parlato in italiano, tutto teso ad illustrare e divulgare la prestigiosa specialità gastronomica cucinata solo con materie autoctone. Il discorso doveva essere imperniato soprattutto per fare capire che il chisciöl travolge i sensi del buongustaio per la sua bontà, donando meravigliose sensazioni al palato e, a tutti gli organi del corpo. Per redigere il discorso che Antonio doveva leggere in pubblico ci pensò Bruno , un suo amico letterato e uomo di cultura, almeno così lui si autodefiniva . Aveva convinto a malavoglia Antonio a pronunciare quel discorso che in verità non condivideva. Lui avrebbe preferito dire due paroline di saluto e la bontà del chisciöl cucinato dalle chisciöliere presenti avrebbe fatto il resto. Venne, il giorno, l’ora e il momento del convegno. La sala era gremita e, all’esterno della sala, in un locale appartato e predisposto per l’assaggio dell’osannato chisciöl , alcune brave massaie chisciöliere erano pronte con fuochi, padelle e tutti gli ingredienti tradizionali per cucinare il chisciöl. Dopo il discorso ufficiale per illustrare il piatto tipico della città , i partecipanti del convegno avrebbero gustato il chisciöl accompagnandolo con sorsate di vini di Valle. Così iniziò il discorso Antonio : “ Signore e signori qui convenuti, con viva e vibrante soddisfazione oggi vi parlerò d’un cibo che vi coinvolgerà tutti gli organi dei vostri sensi. I vostri occhi coglieranno il colore e la sua forma, il vostro naso sentirà il suo profumo, il vostro palato il suo sapore. Il vostro cervello, in questo spazio tridimensionale di questa sala, memorizzerà un cibo che non dimenticherete tanto presto poiché i vostri neuroni riceveranno forti e chiari segnali della prelibatezza del chisciöl. I vostri neuroni non si limiteranno solo a ricevere i segnali dei dentriti e a trasportarli lungo l’assone del neurone, ma rielaboreranno le meravigliose sensazioni visive, chimiche nella vostra corteccia celebrale portandovi alla goduria. La vostra corteccia celebrale, impregnata di sinapsi, tante quante il numero di stelle della nostra Galassia, vi darà l’impulso nei gioiosi momenti della vostra vita, all’assaggio del chisciöl sino ad esserne sazi donandovi un delizioso , piacevole senso di benessere.” Nella sala ci fu un silenzio di tomba per circa tre minuti, mentre Antonio si grattava il capo e l’amico Bruno se la svignava alla chetichella . Poi s’udi il grido di Giuseppina, la massaia chisciöliera , che con le sue amiche, nel locale attiguo aveva preparato alcuni chisciöi belli, fumanti e croccanti. Al grido “ Tòni parla cùma te màiet. I schiscöi iè prunt, vegnì’ a mangia “ ( Antonio, parla come mangi, i chisciöi sono pronti , venite a mangiare “). Antonio riprese il microfono in mano e aggiunse: Signori, il chisciöl è servito: abbuffiamoci”. Ci fu un battimani caloroso, poi tutti si alzarono in piedi e in colonna assaggiarono il chisciöl dimenticando il difficile discorso scritto da Bruno, ma proferito da Antonio che normalmente parlava chiaro e genuino come mangiava.

Ezio Maifrè

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