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A piedi nella Valtellina e Valchiavenna di fine ‘800: Tirano – Val Poschiavo – Val Grosina

CULTURA E SPETTACOLO - 07 07 2022 - Cs

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Prima di introdurre la descrizione dettagliata e ricca di particolari accattivanti dell’itinerario (quattro), ovvero quello compreso tra Tirano – Val Poschiavo – Val Grosina, è d’obbligo sottolineare che la stessa è molto più ampia e approfondita nel numero “Estate 2022” del trimestrale “Le Montagne Divertenti” di Beno (www.lemontagnedivertenti.com).

 

La Valtellina, sin da epoche remote è sempre stata un crocevia, un importante luogo di scambio e di transito sulla rotta sud-nord e viceversa. Melchiorre Gioia - a fine ‘700 - riferiva a Napoleone I che “i coloni valtellinesi, invece di un’imposta meritavano un premio per la loro fatica, e per l’attività con cui fabbricavano sui nudi greppi i loro stupendi vigneti”.

 

“Una delle pratiche che subì una totale trasformazione nello spirito e nel vivere la montagna nell’Ottocento fu l’alpinismo che, nascendo come presa di conoscenza dell’ambiente, diventa un’esperienza ludica a contatto con la natura, non più orrida, ma sublime”. In questo secolo le Alpi, e le nostre montagne, passano da oggetto a soggetto di interesse anche e soprattutto da parte di intellettuali, scrittori, scienziati e artisti che ci hanno lasciato su carta … preziose testimonianze letterarie e iconografiche. Grande menzione, tra le tante, la si deve alla seconda pubblicazione (versione più ricca ed ampliata della prima del 1873) della “Guida alla Valtellina ed alle sue acque minerali” pubblicata nel 1884 per cura del Club Alpino Italiano - sezione valtellinese.

 

Erik Viani, titolare della Libreria del Viaggiatore di Sondrio, grande appassionato di trekking e di alpinismo, ripercorrerà alcune grandi vie in Valtellina con l’ausilio di questa guida tratteggiata con sapiente cura da Fabio Besta. Il manuale descrive, con rara efficacia ed accuratezza, lo stato orografico della Valle e delle Alpi che la circondano, con un richiamo agli usi e costumi del popolo che vi abitava due secoli fa; queste descrizioni costituiscono una grande testimonianza del passato, nonché una chiave di lettura del continuo processo di mutamento del paesaggio e del territorio alpino. Verranno rappresentati, anche, alcuni capitoli della storia di questa regione, confrontandola con la nostra attuale realtà, grazie alla collaborazione di: Guido Scaramellini, presidente del Centro di Studi Storici Valchiavennaschi, Saveria Masa, storica valtellinese, M.V.S.A. (Museo Valtellinese di Storia e Arte) di Sondrio, Anna Lanfranchi, componente del C.S.S.A.V. (Centro Studi Storici Alta Valtellina), Riccardo Scotti, geologo e socio del Servizio Glaciologico Lombardo, oltre a Mario Vannuccini e Michele Comi, guide alpine; Andrea Mori, Andrea Panighetti e Laura Besseghini, accompagnatori di media montagna, tutti grandi conoscitori della nostra Valle e Thomas Ruberto, autore di diverse pubblicazioni su Livigno! Ecco, qui di seguito, l’itinerario numero quattro! Buona lettura e buone escursioni … oltre che auguraVi buona estate 2022!

 

ITINERARIO 4

Tirano – Val Poschiavo – Val Grosina

“Abitare in Valtellina, cinti da alte montagne, immersi in una natura ancora viva, vera, permette di cogliere ciò che determina e segna lo scorrere delle stagioni e della vita” [1]. Così Antonio Sisana, nel saggio “Il vecchio del bosco”, definisce lo stile di vita nella nostra Valle prima dell'arrivo di COVID 19. Il periodo di pandemia conseguente coincide con l'inizio della paura che poi sarebbe stata fattore emotivo dominante della nostra quotidianità. La fortuna di abitare in Valtellina, una zona ricca di boschi e montagne, è un privilegio ed anche un'occasione da cogliere al volo. Come accenna Antonio Sisana nel suo racconto, ricominciando dalla natura, attraverso un rapporto profondo con essa, questa paura può essere domata, se non dissipata. “Non appena ci troviamo in mezzo alle piante, ci sentiamo al sicuro. Non appena percepiamo la presenza degli alberi, la nostra intima essenza si mette in modalità sicurezza, rilassamento e benessere. Quando siamo vicino alle piante, non dobbiamo rimanere costantemente in stato di allarme, ma possiamo finalmente tranquillizzarci e fare il pieno di nuove energie” [2]. La “regola” del distanziamento sociale mi ha di fatto avvicinato alle mie passioni praticate all'aria aperta, con la sana abitudine di mettermi sulle spalle uno zainetto contenente un panino, una birra, una mela ed un libro da leggere in mezzo al bosco in rigorosa e tranquilla solitudine. Questa spinta mi ha permesso di conoscere la “Guida alla Valtellina ed alle sue acque minerali” del 1884, scritta con grande intensità emotiva da Fabio Besta e, attraverso la sua lettura, ho iniziato a progettare un mosaico di itinerari per poi percorrerli passo dopo passo a partire dalla tarda primavera 2021. Spinta predominante è stata la curiosità nel ricercare prima e percorrere poi (ove possibile) i sentieri descritti nel volume. Un parallelismo a cui ho dato particolare risalto: la fisicità dei percorsi, trovati spesso senza traccia e in abbandono; la ri-scoperta di borghi, molti dei quali disabitati ed in stato di degrado; la morfologia di un territorio oggi più ostico, conseguenza dell'incuria e della trascuratezza umana.

 

Mi rivolgo a Laura Besseghini, accompagnatrice di media montagna, profonda conoscitrice del nostro territorio, per una riflessione personale su ciò che la pandemia ha creato nel nostro ecosistema, gli effetti che ha causato ed i possibili risvolti futuri in virtù di una nuova e possibile ripresa delle attività escursionistiche in montagna: “In tutto il territorio italiano risuona, negli ultimi mesi, una sola parola, “ripartenza”: ricominciare dopo due anni tormentati e trovare nuove soluzioni ad antichi problemi.

 

Se da un lato, infatti, in questi ultimi anni, sono emersi i profondi limiti della monocultura dello sci, dall’altro sono saltati agli occhi quelli legati al disinteresse per valli e borghi montani, oggi sempre più poveri di servizi e quindi poco attraenti per un ripopolamento e per creare nuovi circuiti turistici. In questo contesto, a tratti sconfortante, a vincere è la NATURA, quella che ci è mancata nei mesi del primo lockdown e delle successive chiusure, quella che ci ha fatto capire che senza di essa non siamo nulla e andando contro essa rischiamo solo di soccombere. Ed è lì che la montagna ha avuto un suo riscatto. Dobbiamo auspicarci un ritorno a quel turismo che possiamo definire “dolce” e “sostenibile”, diverso dai flussi di massa poiché profondamente radicato nel contesto territoriale e partecipe alla vita della comunità.

 

Il virus ci ha uniti, ma in montagna lo si è era già prima: quando si combatte quotidianamente con le difficoltà ambientali o si fa squadra o non si combina nulla. Se c’è una cosa che il Coronavirus ha portato in montagna o, meglio, giù dalle montagne, è un disperato grido di attenzione.

 

Affollare un parcheggio in quota, riversarsi in migliaia sullo stesso sentiero, stiparsi in qualche rifugio, sono azioni che possono avere conseguenze deleterie non solo sulla nostra voglia di ricercare pace, ma anche  per quell’ambiente che vorremmo mantenere intonso. Il risultato più ovvio della massificazione è l’omologazione, che vorrebbe dire cancellare le peculiarità del turismo lento. Come gestire quindi questo fenomeno? “Facendo cultura”, con attività che permettano ai nuovi frequentatori di conoscere le nostre montagne ed osservarle con maggior rispetto e consapevolezza.

 

Penso quindi sia necessario differenziare l’offerta, proponendo una RISCOPERTA di percorsi non commerciali o convenzionali, al di fuori delle mete turistiche di massa, con l’obiettivo di ritrovare i grandi spazi, i silenzi e il vero contatto con il territorio e coloro che lo abitano, senza forzature, puntando su quel che di più prezioso la montagna ha da offrirci: la sua natura!”

Annibale Salsa, docente di antropologia filosofica e culturale all'Università di Genova, appassionato studioso della cultura alpina, sosteneva che alla fine del Novecento ci furono processi di spaesamento e disagio dettati dalle trasformazioni di più fattori: “emigrazione permanente, turismo di massa, affermazione del modello consumistico urbano, crisi e scomparsa della cultura del limite e della solidarietà” [4]. “Se, come sostiene Salsa: il relativismo culturale dei saperi tradizionali contadini viene a confliggere, fino a soccombere, di fronte al sapere scientifico-tecnologico e se gli stili di vita dei montanari appartenenti alle società tradizionali pre - moderne non possono che entrare in una crisi letale irreversibile di fronte all'avanzata degli stili di vita urbani e industriali, è giunto il momento di chiedersi quali possano essere il montanaro e le Alpi di domani”.[5]

 

Questo itinerario, nella fattispecie, va a toccare il Tiranese, la val Poschiavina sino alla val Grosina, in un intreccio di particolare interesse a cavallo tra storia, tradizione e territorio. Voglio approfondire il significato di “identità alpina” del mio passato. La guida di fine Ottocento scritta da Fabio Besta mi è stata d'aiuto e la visita nella zona di confine compresa tra Tirano e Poschiavo, così ricca di storia, mi ha fatto da traino. Sono partito dal capoluogo dell'antico terziere superiore e, leggendo la guida, mi ha attirato l'attenzione il capitolo dedicato ai trasporti: “Trovansi sempre disponibili vetture a uno o a più cavalli per tutte le direzioni, non solo presso il Mastro di Posta, ma anche presso il signor Giacomo Tenni detto il Ciodel. Le messaggerie valtellinesi compiono giornalmente due corse da Tirano a Bormio (ore due e mezzo) a Morbegno e a Colico, e una da Tirano a Bormio (ore sei). Le diligenze svizzere fanno il giornaliero servizio da Tirano a Poschiavo (ore 4); una corriera va ogni giorno ad Edolo per Aprica (ore 5)”. Successivamente mi rivolgo alla descrizione di Tirano e dintorni: “Tirano, è borgata antichissima, divisa in due parti dall'Adda, serrata per lungo tratto fra robuste arginature. Sulla piazza maggiore verso mezzodì sorge il piccolo teatro, verso oriente la bella sede del Municipio con una vasta sala per le adunanze. La vecchia chiesa parrocchiale, pur essa ristaurata di recente, e l'antico suo campanile sono edifici notevoli. E sono parimenti degni di vedersi i palazzi dei Salis, dei Visconti-Venosta e dei Torelli. L'antica casa dei Parravicini, dalle ampie sale con soffitte finamente intarsiate, guasta ormai dal tempo, ora è disabitata. Tirano è centro di allegre gite e di interessanti escursioni. [...] Dopo pochi minuti si giunge alla Madonna di Tirano, graziosa borgata a poco più di un chilometro. Il santuario dedicato alla Madonna è senza contrasto il più bel tempio della Valtellina”. Alla pari di Chiavenna e Bormio, la guida evidenzia il fiorente splendore delle opere storico-culturali di Tirano sottolineando il grande spessore artistico.

 

Salendo da Tirano verso la Val Poschiavina si incontra la dogana la quale, come indica Besta: “Era costrutta presso l'antico forte di Piattamala distrutto in occasione del governo grigione in Valtellina. La Valle di Poschiavo appartiene al versante italiano, e i suoi abitanti parlano idioma italiano; ma i costumi loro differiscono assai da quelli de' valtellinesi e hanno grandissima somiglianza con quelli delle popolazioni svizzere. [...]… da Tirano a Poschiavo e al suo lago la via è facile, amena e non lunga. Il lago deve la sua origine ad un'enorme frana staccatasi in tempi preistorici dal versante orientale e precipitata al fondo della valle. Appare anche oggigiorno il vuoto lasciato nel monte e la collina formatasi che chiuse il corso delle acque, le quali a poco a poco si scavarono una stretta gola dond'esce il Poschiavino schiumeggiante e con grande rapidità.” Nell'Ottocento Tirano e Poschiavo hanno saputo trarre vantaggio l'uno dall'altro grazie a scambi di natura commerciale e di risorse umane. “Poschiavo fu in prima fila nell'introdurre due novità che marcarono gli ultimi decenni dell'Ottocento: la distribuzione di acqua potabile nelle case e l'illuminazione pubblica e privata. [...] La Val Poschiavo presentava presupposti favorevoli per lo sfruttamento idroelettrico su vasta scala, segnatamente la conformazione a gradini della vallata, con il lago quale invaso naturale. [3] La centrale poschiavina di Campocologno era allora una delle più moderne e potenti d'Europa, costruita esplicitamente per esportare l'energia prodotta verso la Lombardia. Parte dell'energia servì ad alimentare la linea ferroviaria del Bernina, alla cui costruzione, iniziata nel 1906 e terminata nel 1910, parteciparono operai frontalieri valtellinesi e non solo.

 

I valichi di frontiera per accedere da uno Stato all'altro erano spesso presidiati con caserme e controlli per evitare il fenomeno del contrabbando. Lungo tutto l'Ottocento e buona parte del Novecento, un ingente quantitativo di merci (sale e tabacco dapprima, riso, caffè e sigarette poi) attraversò illegalmente le frontiere, in un senso o nell'altro. Il confine italo-svizzero ha raccontato storie di contrabbandieri gentiluomini, veri e propri “Robin Hood” della povera gente e furbi e corrotti imprenditori di frontiera. Spesso erano donne capaci di trasportare sulle proprie spalle pesi di 20-25 kg e percorrere passi alpini che superavano abbondantemente i 2000 metri di quota. Tra questi valichi l'autore menziona il Passo di Sacco:”Vari sentieri pongono in comunicazione la Valle di Poschiavo colla Valle Grosina, ma il più pittoresco fra tutti è quello che attraversa il passo di Sacco, al quale si giunge percorrendo il sentiero che da Pisciadello s'addentra dell'attraente Valle di Campo. “Oppure risalta le amenità di luoghi come San Remedio per poi raggiungere la Val Grosina attraverso la Valle Pedrona: “San Remedio o Remigio, piccola e vecchia chiesa eretta su di una roccia a picco che guarda nel lago di Poschiavo. E' questo un quieto e pittoresco romitaggio. Nessuno altro logo inspira nell'animo una più dolce melanconia, nessuno invita a una più tranquilla meditazione. Un comodo sentiero attraversa la Valle Trevesina, sale alle Baite di Braga, e di là al colle di Valle Pedrona (ore tre e mezzo). In un'ora e mezza si può scendere alle casupole di Campo Pedrona; il sentiero è sassoso e ripido, ma non presenta pericolo alcuno e non è troppo faticoso.” Besta si lascia trasportare dalla bellezza della Val Grosina e non solo, tanto da elevarla a poema:”Una descrizione minuta di questo bellissimo  solitario bacino è impossibile a farsi; esso è un labirinto di valli, di balze, di carchi, di boschi, di pascoli, sormontati da ghiacciai e da cime superbe. E' tutto quest'avvicendarsi delle più disparate forme sotto le quali puossi contemplare il creato, e la ricchezza della flora, e la moltitudine dei minerali rendono questa valle gradita non meno dell'alpinista, che al botanico e al geologo. Anche gli abitanti sono ti tipo bello e robusto, e vi è tradizionale la riputazione di avvenenza del sesso femminile.”

 

Voglio approfondire questo aspetto chiedendo a Giusi Sartoris, del MVSA di Sondrio, una breve descrizione dei costumi tipici della Val Grosina: “Le prime notizie certe sui costumi tradizionali grosini risalgono al XVII secolo: proprio in questo periodo ha inizio l’arricchimento e l’evoluzione dell’abito che si differenzia subito da tutti gli altri costumi valtellinesi per lo splendore dei colori e la raffinatezza della lavorazione. Una delle caratteristiche essenziali del costume grosino è la contaminazione fra gli elementi della cultura alpina e le fogge di stile orientale: questa contaminazione conferì all’abito un tocco esotico e ne decretò il successo. Le influenze orientaleggianti arrivarono a Grosio, attraverso la Repubblica di Venezia, portate dagli emigranti che andavano a lavorare in terra di San Marco. Dal ‘600 in poi gli uomini si cingono della fascia veneziana, mentre le donne cominciano ad indossare gonne di panno fittamente pieghettate, fazzoletti e grembiuli di seta, cappelli in feltro, collane di granate, orecchini, spille ed anelli in oro. Immancabile la croce, segno di una fede religiosa profondamente radicata. La bellezza del costume tradizionale è espressa anche dall’originalità di ogni singolo vestito, spesso realizzato con scampoli di tessuto diverso che lo rendono unico, seppure in linea con la tradizione. A seconda delle necessità e delle circostanze in cui viene indossato, l’abito grosino si distingue nelle varie “Mude”: quella da Contadini per tutti i giorni; da Festa per la domenica; da Sposi come variante in occasione del Matrimonio e da Lutto durante i funerali. Le “Mude” insomma scandivano i diversi momenti della vita delle donne grosine. Gli accessori giocano un ruolo fondamentale e rendono ancor più speciale ogni singolo abito: tra quelli più conosciuti vi sono i fazzoletti da testa e da collo, il davantino che collocato alla base dello stomaco serviva come reggiseno e le calze ricamate con colori diversi a seconda del tipo di abito indossato. E poi ancora nastri, fiocchi e gioielli. Ho sempre pensato che ci fosse una grande differenza tra il vivere in montagna, l'abitarci e il solo andarci per passione. L'Ottocento era un'epoca dove la montagna rappresentava la vita, la quotidianità e la sopravvivenza. I sentieri che si praticavano erano vie di comunicazione vitali e di primaria necessità. Oggi, è tutto cambiato, a cominciare dall'approccio alla montagna, con tecnologia e digitale a volte esasperati, togliendo quel lato “romantico” dell'avventura e dello smarrire i proprio passi, tipici dell'epoca.

 

Bibliografia

1. Antonio Sisana, Il vecchio del bosco, Ed. Alpinia 2021
2. Erwin Thoma, Strategie della natura, Simbiosi Ed. Ambiente 2020

3. il Borgo di Poschiavo, Società Storica Val Poschiavo 2009

4. Annibale Salsa, Il tramonto delle identità tradizionali, 2009 Priuli & Verlucca

5. Enrico Camanni, prefazione ne “Il tramonto delle identità tradizionali”, 2009 Priuli & Verlucca

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