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Serenità e devastazione

CRONACA - 12 12 2022 - Ezio ( Méngu )

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/lettera

Passato è il tempo del navigar d’ oche nel placido

specchio d’acqua che rifrangeva  il cielo e i monti.  

Lontano è il gracidare di rane tra lo sciamar veloce

dei “scazzun” nelle rogge che irrigavano i prati.

 

Giungeva dalla piana il suono ritmico e possente

dello sbuffar e sferragliare della nera locomotiva,  

fin a rimbombare la valle del lento tambureggiare

dei carri ferroviari che passavano sul ponte in ferro.

 

Si ergeva  fiero , tra il casello e lo scuro  ponte,

l’addetto del casello con berretto e paletta rossa 

segnalando il procedere del lungo convoglio.

La gente ferma sulla strada ammirava silenziosa.

 

Rammento le crespe d’onda del volteggiar d’oche .

nel limpido catino d’acque gelide del Poschiavino

dove noi ragazzi in mutande di pezza bianca

ci immergevamo guardinghi sino al torace.

 

Poi, tra lo scivolare sui sassi tondi e muschiosi

con incedere incerto e con mutande larghe,

incuranti dell’apparire del nostro fior giovanile  

con grida festose a balzi salivamo sulla strada.

 

Le nostre fanciulle lì ci aspettavano ridendo

sulla strada che costeggia il canale della Centrale.

Il sorriso, la mano sul viso era loro paramento

mentre il nostro era uno scollare da cani bagnati.

 

Ora non è più. La placida pozza è senza oche.

Il greto di quel torrente è una landa sassosa,

tra arbusti e massi  trascinati da torbide acque.

Non v’è gracchiar di rane, né moto di “ scazzun “.

 

Quell’umile casello, un tempo pregno di vita,

ora appare desolato e  sfregiato d’un graffito.

Dov’è Il casellante dallo sguardo fiero e acuto ?

Al suo posto v’è un semaforo rosso e due sbarre !!

 

Solo un cupo frastuono di ferraglia è rimasto

al passar dei lunghi treni sul ponte di ferro.

Ora la valle rimbomba a lungo e appare sinistro,

fin villano il fischio acuto al passar del locomotore.

 

Noi sciagurati ! il caro sito, ricorda il furore di acque

quando nell’alluvione dell’87 devastò la piana. 

e quel ponte in ferro fece da truce baluardo 

alle tumultuose e scure acque pregne di fango.

 

Non fu colpa d’uomo, ma della follia della natura.

Quell’acqua che tumultuosa doveva scorrere

sotto il ponte non ebbe facile strada, s’innalzò  

e fu tappo, così come è grossa ghianda in gola.

 

Caldo e sciagurato fu quel giorno di luglio dell ’87.  

Chi osa infrangere le ferree regole della Natura

sappia per certo che sorella acqua non dimentica,

anche con il passar di molti anni, la sua strada.

 

L’acqua è una buona serva e preziosa risorsa,

al pari del pane e il rispetto le è sempre dovuto

poiché, offesa nei suoi ritmi e nella sua strada

poi si scatena in Drago dalle mille zampe rapaci.

 

Ezio ( Méngu )

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